La vita stessa di Costantino Kavafis si fa emblema del destino che lui aveva indagato e interrogato in tutte le sue poesie: destino inteso come “fatalità”, ananke (la parola greca che univa l’idea di fato a quella di necessità, Ndr), il poeta greco infatti nasceva e moriva nello stesso giorno, il 29 aprile, ad Alessandria d’Egitto.
Il tema del tempo è una costante nella poesia kavafiana che trova il proprio baricentro nella Memoria, nella Storia intesa come moto e forza sensuale, per cui la narrazione del passato diventa orizzonte di futuro.
Candele è la poesia di Kavafis che meglio tematizza la narrazione del tempo servendosi di un preciso correlativo oggettivo: una fila di candele accese, appunto.
T.S. Eliot, poeta modernista statunitense naturalizzato britannico, non a caso derivò il “correlativo oggettivo” come prospettiva della sua poetica proprio dalle liriche di Kavafis che avevano avuto una certa eco in Inghilterra dopo il celebre saggio di Forster. Cosa simboleggiano le candele di Kavafis? Sono una metafora del tempo; dopotutto, cos’è il passato, se non una fiamma che si spegne e svanisce in una voluta di fumo? Di quella nebbia di niente facciamo memoria, come scriveva Montale nel celebre verso de La casa sul mare: “se così tutto vanisce in questa poca nebbia di memorie”. Kavafis rende tangibile la dissoluzione attraverso l’immagine del buio che ci sgomenta perché nelle tenebre non siamo in grado di orientarci, per istinto cerchiamo la luce. Le sinestesie evocate tramite gli accostamenti visivi tra luce/calore e quelli sensoriali tra buio/freddo rendono Candele una delle opere più riuscite del poeta greco.
Scopriamone testo e analisi.
“Candele” di Costantino Kavafis: testo
Stanno i giorni futuri innanzi a noi
come una fila di candele accese
dorate, calde, e vivide.Restano indietro i giorni del passato,
penosa riga di candele spente:
le più vicine dànno fumo ancora,
fredde, disfatte, e storte.Non le voglio vedere: m’accora il loro aspetto,
la memoria m’accora del loro antico lume.
E guardo avanti le candele accese.Non mi voglio voltare, ch’io non scorga, in un brivido,
come s’allunga presto la tenebrosa riga,
come crescono presto le mie candele spente.
“Candele” di Costantino Kavafis: analisi e commento
La poetica di Costantino Kavafis compie un moto preciso, traghetta la memoria nel presente facendone “monumento” da intendere nell’accezione etimologica del termine, che deriva appunto dal latino monēre, “ricordare” ma anche “ammonire”. Il monumento è la memoria che si fa monito, non si tratta semplicemente di una testimonianza involontaria di civiltà ormai scomparse, ha un impatto preciso sulla coscienza. Kavafis nei suoi versi ci dà contezza di questo “sentimento del tempo”: nella poesia Candele tuttavia non è del tempo storico che ci parla, a differenze di altre liriche celebri tra le quali ricordiamo Termopili o Aspettando i barbari, ma esclusivamente del tempo individuale-privato, il tempo breve della vita. Le candele accese, a cui vengono attribuiti tre aggettivi positivi e confortanti, sono metafora del futuro: Kavafis ce le descrive attraverso una semantica sensoriale, prima la vista “dorate”; poi il tatto “calde”; poi di nuovo la vista mista all’udito e al tatto con “vivide”. Lo stesso accade, nella seconda strofa, con la descrizione delle candele spente, metafora del passato: prima il tatto fredde; poi la vista “sfatte”; infine “storte”, che condensa in sé entrambi i sensi e inoltre fa rima con “morte”.
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Ora la parola torna all’io lirico con un effetto drammatico: “Non le voglio vedere”, nel rifiuto - che ancora una volta con il verbo “vedere” si lega al campo semantico della vista - c’è una forte componente inconscia che è impossibile eludere. Rifiutandosi di guardare le candele spente l’io lirico è la propria stessa morte che rifiuta: colei che prende le sembianze oscure della “tenebrosa riga”, dunque del buio che vorace inghiotte la luce. La morte, Kavafis non la colloca in un’esotica Samarcanda, ma alle nostre spalle, in un “memento mori” che ci accompagna da sempre sottoforma di passato. L’intera poesia è giocata sulla stretta bipartizione tra buio e luce, cui si accostano anche le correlate sensazioni di calore e freddo esaltate nell’ultima strofa dal “brivido” provato dal poeta che si fa espressione della presa di coscienza della mortalità.
Costantino Kavafis, il poeta della Storia, proprio lui, ci invita a guardare al futuro, ai giorni che ci attendono, a voltarci nella direzione delle candele accese. Spesso la poesia di Kavafis è stata definita “sensuale”: i suoi versi, secondo Iosif Brodskij, erano una “combinazione di sensualità e storia”, questa lirica ne è la prova perché traduce una ricerca di calore, una fame di piacere e di futuro, l’ebbrezza della vita che richiama sé stessa. La memoria commuove e provoca un moto di rimpianto misto a tormento nel cuore del poeta, eppure è il futuro ciò che lui brama e ancora insegue come essere umano.
Candele è una lirica dallo stesso valore morale di Itaca: tramite una metafora solenne ci sta invitando a riscoprire il senso della vita. Parlandoci del passato Kavafis in realtà ci sta sempre parlando del presente, ma soprattutto del futuro: nella conclusione di questi versi non inserisce un’elegia del ricordo, ma un monito a guardare al futuro perché tempus fugit, questa la locuzione celata - e inespressa - nell’ultimo verso.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Candele” di Costantino Kavafis: una poesia sul tempo che fugge
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