Cent’anni di sicilitudine. Leonardo Sciascia nel centenario della nascita
- Autore: Fondazione Leonardo Sciascia
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2022
Dopo un anno dal Convegno tenutosi a Racalmuto per ricordare il centenario della nascita del famoso scrittore siciliano Leonardo Sciascia, è seguita un’apprezzatissima iniziativa: la pubblicazione di un’opera tanto complessa quanto originale, nonché ricca di problemi e di sollecitazioni a ulteriori ricerche e documentazioni.
Curata dalla bibliotecaria della Fondazione, Salvatrice Linda Graci, s’intitola Cent’anni di sicilitudine. Leonardo Sciascia nel centenario della nascita ed è stata stampata dall’editore Sciascia (Caltanissetta-Roma 2023).
Comprende interventi di autorevoli studiosi del pensiero ed è opportuno citarne i nomi con l’indicazione della tematica esposta: Salvatrice Linda Graci, In un mare di carte. L’archivio della Fondazione Leonardo Sciascia; Ettore Catalano, Da Malta a Bagdad: congetture sul Consiglio d’Egitto; Barbara Distefano Se ne ricorderà il pianeta web: spunti per un’analisi dell’impronta di Sciascia nello spazio digitale; Fernando Gioviale, Benedico il lavoro d’ogni giorno. Intorno alle solitudini di Leonardo Sciascia; Estela González de Sande, “Il matriarcato letterario di Leonardo Sciascia; Daria Karapetkova, il mondo del Vice sull’orlo dell’antiutopia; Eloisa Morra, Sciascia in Canada. L’archivio Sciascia-Jachson dell’università di Toronto; Elena Riccio, Un non arruolato difensore del vero: l’identità di Leonardo Sciascia; Lavinia Spalanca, Un’enciclopedia illustrata. Sciascia e i ritratti di scrittori; Paolo Squillacioti, Leonardo Sciascia e i giornali italiani: presupposti per una ricerca.
La copertina reca la riproduzione di un olio su tavola del maestro Giuseppe Modica, mentre in appendice sono riportate le locandine di alcune manifestazioni promosse dalla Fondazione. Colta la prefazione del prof. Antonio Di Grado, “A futura memoria” che, puntando l’attenzione sulla figura dell’intellettuale, è dimensione focale e di raccordo dei diversi contributi.
Con la magia della sua scrittura l’illustre critico muove dall’homme revolté di Albert Camus per puntualizzarne il senso (“vitale esplosione liberataria, è sdegno e ribellione della Ragione”). Citando il J’accuse di Zola (”è l’uomo contro, è l’apostolo e il martire del dubbio e del dissenso…”), commenta:
La sua dimora non va cercata, perciò, in una chiesa, in un partito, in un giornale o nell’accademia, ma sempre “in partibus infidelium”, in prossimità del rogo o dello scandalo, nel teatro d’una coscienza tormentata dal rovello dell’autocritica, costretta a mettersi costantemente in discussione, a contraddirsi per “contraddire” (come non ricordare l’adagio di Sciascia? E come non affiancargli lo “scandalo del contraddirmi, dell’essere con te e contro te” esibito da Pasolini al cospetto delle ceneri di Gramsci?).
Di solitudine e di isolamento per non avere alcun legame con ogni forma di potere è stata difatti caratterizzata la personalità di Sciascia. Da qui il titolo del saggio che richiama il noto romanzo di Gabriel García Márquez Cien años de soledad. Non a caso alle solitudini dell’intellettuale e dello scrittore di Racalmuto si riferisce lo scritto di Fernando Gioviale che spazia da un argomento all’altro, utilizzando gli apporti della più aggiornata psicologia analitica:
Solitudine, per l’appunto, in relazione all’“altro”: e letizia trovata in uno scambio privilegiato con qualcuno che ci fa sentire gioiosamente noi stessi.
Egli sottolinea dopo avere riportato un lungo brano di Borgna e una confessione di Sciascia sull’amicizia con Mario Soldati: incontro che gli dà un senso come di festa (Mario Soldati, in “Fine del carabiniere a cavallo”). Nella nota conclusiva “Rapaci notturni e cacciatori di frodo”, Fabrizio Catalano, nipote di don Leonardo, oltre alla “strenua persistenza della memoria”, evidenzia l’attualità dello scrittore data l’esigenza di tornare a pensare e a produrre idee:
È difficile scrivere di questi temi senza rischiare d’inciampare nella retorica, però forse è soprattutto per questo che Leonardo Sciascia andava ricordato a cento anni dalla sua nascita e va evocato anche oggi, anche oltre: per la sua capacità d’intuire le derive di quella che sembra sempre meno opportuno definire civiltà, d’avvertire che le aspirazioni alla libertà e alla giustizia, e quindi alla ragione, stanno per arenarsi...
Siamo nell’identità di Sciascia, così radiografata da Elena Riccio: “la coscienza civile, l’impegno, la responsabilità, l’opportunità di azione” che connotano la sua scrittura volta all’interrogazione e alla ricerca, all’indagine e al dubbio “e che in nome della ragione legittima a “contraddire e contraddirsi”.
In tutti gli interventi i riferimenti critici ai romanzi di Sciascia sono frequenti e c’è molta scrupolosità nella raccolta di citazioni, nella produzione di riflessioni sulla vita letteraria e politica dello scrittore. Si prova tanto godimento a leggere le pagine in cui Lavinia Spalanca raccorda gli scritti del racalmutese con i ritratti di intellettuali che impreziosiscono il primo piano della Fondazione. Da questo intreccio tra letteratura e arte figurativa si ricava una “sorta di enciclopedia illustrata”, un’autobiografia alla ricerca di un’identità personale nelle immagini degli altri.
Dice Hillman che possiamo rivelarci a noi stessi attraverso un altro e che da soli non possiamo riuscirci. Non a caso l’autorevole studiosa, dopo avere accennato all’effigie di Sciascia realizzata da Piero Guccione e divenuta il logo della Fondazione, riporta i versi di Paul Valéry:
Se mi trovassi davanti a questa effigie / Ignoto a me stesso, ignaro dei miei lineamenti / In tante orrende pieghe d’angoscia e d’energia / Leggerei i miei tormenti e mi riconoscerei.
Insospettabili affinità, misteriose corrispondenze, inspiegabili simmetrie si colgono, leggendo il suo ammaliante racconto che appunto offre suggestioni fra immagini e annotazioni letterarie.
È proprio un guizzo felice Cent’anni di sicilitudine: ci sono tante impronte che non possono non coinvolgere un detective dell’intelligenza.
Leggendo poi Paolo Squillacioti, le prospettive si arricchiscono ulteriormente col racconto documentato sugli aspetti maggiormente qualificanti del vasto territorio letterario e politico di Sciascia: le battaglie civili, le delusioni e i veleni con cui si entra a contatto.
Sul pessimismo di Sciascia si è discusso molto ed è nell’intervento di Elena Riccio che si legge la risposta data senza esitazione dal Nostro scrittore a Benedetta Craveri che l’aveva intervistato per Le Monde:
Sì, pessimista. Ma c’è realmente qualcosa, in Sicilia, in Italia, e direi anche nel mondo, che può incitare all’ottimismo? Pessimista, sì. Ma parlando del mio ultimo libro, Moravia ha detto una bella cosa, e ciò che più conta, di un assoluto buon senso: che c’è l’ottimismo della scrittura. […] Il vero pessimismo sarebbe di non scrivere più, di lasciare libero corso alla menzogna. Se non lo faccio, vuol dire, in definitiva, che sono incurabilmente ottimista.
Sciascia, dunque: l’intellettuale della ragione. Fa venire ancora i brividi la lettura dei suoi libri: il pensiero si scioglie dall’inerzia e l’eco delle sue parole ritorna nei sogni perché si possa sfuggire a tutte quelle degenerazioni pensate dal Vice nel romanzo Il cavaliere e la morte.
Affidiamo ora la conclusione a Daria Karapetkova:
Dopotutto, nel caso di Sciascia si tratta di un grandissimo scrittore che con costanza e determinazione ha costruito l’allegoria di tutte le facce del potere, della mafia, del degrado e delle sue metastasi senza luogo e senza confini. Ciò conferma e garantisce il carattere sempre attuale di qualsiasi opera letteraria.
Ancora adesso, resta da dire, si sente il dolore del vuoto che ha lasciato.
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