C’è una sola poesia di Constantino Kavafis dedicata a una donna, si intitola Anna Comnena. Nei versi il poeta la compiange per la sua vedovanza; eppure non ci offre di lei un’immagine pietosa, inconsolabile, anzi, la descrive come una donna “ambiziosa” e “altera”, aggettivi che il lettore comune non assocerebbe di primo acchitto a una vedova. Si prova una pena incerta nei confronti di questa donna, una pena venata di curiosità.
Il vero dolore di Anna, ci confessa Kavafis in un sussurro nell’ultimo verso, era di non essere riuscita a conquistare l’impero che le fu strappato di mano dal fratello minore, Giovanni. Non solo una sposa ferita, un’amante abbandonata, ma una combattente, una regina vittoriosa che rivendicava il potere sul proprio legittimo impero.
Chi era dunque Anna Comnena? Una principessa bizantina, nata a Istanbul nel 1083.
Nella poesia a lei dedicata, contenuta nella celebre silloge delle 75 poesie, Kavafis la ricordava così con un tono tristemente elegiaco:
Nell’Alessiade effonde un gran pena
per la sua vedovanza Anna Comnena.
Cos’è l’Alessiade (L’Ἀλεξιάς, Ndr), vi starete chiedendo - chi non se lo chiede mente, non fingete di saperlo. Non è una regione esotica o una parte dell’Impero di Bisanzio, ma si tratta di un libro scritto proprio nel 1148 da Anna Comnena in memoria del padre. L’’unica opera storiografica bizantina attribuita alla mano di una donna. Proprio così, Anna Comnena era anche una scrittrice e un’abile storiografa.
Scopriamo la sua storia.
Chi era Anna Comnena?
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Anna era la figlia dell’imperatore Alessio I Comneno, sovrano del più lungo regno dell’Impero bizantino durato ben 37 anni.
Leggenda narra che Anna Comnena nacque “nella porpora” della sala reale del Palazzo di Constantinopoli, in quanto era l’erede designata del regno; ma la nascita successiva di un fratello maschio, Giovanni, vanificò le attese e annullò le aspirazioni della principessa che pure aveva già ricevuto il “diadema imperiale” che si destinava agli eredi al trono. Le fu negata la corona, ma non l’istruzione. Anna Comnena ricevette un’educazione completa, impensabile per una donna dell’epoca: conosceva la letteratura, il greco e il latino, le scienze, le arti, la storia e la geografia. Studiò l’astrononomia - di cui diffidava - e la medicina, di cui divenne esperta.
A pochi anni di età era stata promessa sposa di Costantino Dukas, il suo matrimonio doveva incarnare una speranza di stabilità per il regno, da tempo squassato da lotte intestine; Anna Comnena incarnava l’equilibrio che l’impero bizantino aveva perduto e solo in parte ritrovato attraverso l’unione tra Alessio Comneno I e Irene Doukas, madre di Anna, appartenenti a due dinastie divise da secoli di guerre e accese rivalità.
La nascita del fratello Giovanni ruppe il fidanzamento di Anna con Costantino; poco male, perché la giovane si sarebbe sposata con colui che davvero considerava l’amore della sua vita, ovvero Niceforo Briennio, un valente combattente e un abile diplomatico che con lei condivideva la passione per la scrittura e la storiografia. Anna Comnena era infatti l’autrice di un libro di culto dell’epoca bizantina: l’Alessiade (1097), una poderosa biografia di suo padre, l’imperatore, che ripercorreva tutti gli eventi principali occorsi all’Impero bizantino sotto il suo regno. Tuttora l’Alessiade è considerata una fonte storica di primaria importanza per ricostruire l’epoca bizantina: nel libro, Anna rievocava i disagi e le lotte intestine dell’impero esposto alle mire di conquista del principe normanno Roberto il Guiscardo.
Non fu solo l’opera a segnare il destino di Anna Comnena, ma anche la sua impetuosa ribellione. La principessa non si rassegnò mai alla perdita del regno a cui era destinata. Quando il fratello Giovanni salì al potere, lei si pose a capo di una ribellione nel tentativo di destituirlo. L’impresa fallì e lei fu costretta all’esilio: un esilio dorato, certo, ma pur sempre un esilio. Nella sua gabbia dorata e profumata d’incenso ricevette la notizia della morte del marito, ferito e ucciso in battaglia dove era stato mandato come servitore fedele di Giovanni.
Devastata dal dolore Anna Comnena decise di dedicarsi interamente alla scrittura e agli studi, anziché immolarsi su una pira come molte donne abbandonate dell’antichità. Scrisse opere storiografiche, poemi, liriche: soffocò le sue ambizioni di potere nel talento letterario. Il suo orgoglio però non perdonò mai il torto subito: sarebbe morta nel silenzio di un monastero, portando a compimento la sua Alessiade, mentre il fratello Giovanni governava l’Impero.
A lungo Anna Comnena fu dipinta come una donna assetata di potere, una novella Lucrezia Borgia (anche il mito borgiano, però, è stato attenuato in epoca moderna) capace di ordire le trame dei perfidi giochi avvelenati della corte. Certo, era disposta a uccidere il fratello in cambio del regno, tuttavia la cospirazione di Anna merita di essere contestualizzata in un secolo in cui la famiglia non era un “nido” ma un terreno di congiure e cospirazioni.
L’unico a guardarla con una sensibilità più umana fu Kavafis che le dedicò una poesia commovente; quei versi, ancora oggi, perpetuano il suo nome.
La poesia di Kavafis dedicata a Anna Comnena
Nell’Alessiade effonde un gran pena
per la sua vedovanza Anna Comnena.È presa da vertigine. “E con rivi
di lacrime”, ci dice, “inondo i miei
occhi… Ahimè flutti” della sua
vita, “sconvolgimenti”. La brucia l’angoscia
“fino alle ossa, alle midolla, e fa l’anima a brani”.La verità sembra diversa: un solo cruccio
sentì, mortale, l’ambiziosa donna;
un unico dolore ebbe, profondo
(e incoffessato), quell’altera Greca:
di non aver potuto, pur con la sua destrezza,
conquistare l’impero. Glielo prese
quasi di mano quello sfacciato di Giovanni.
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Nella poesia di Kavafis il nome di Anna Comnena è preceduto dal nome dell’opera che l’avrebbe resa immortale, l’Alessiade, e non dal titolo di principessa. In poche righe il poeta greco riassume compiutamente l’esistenza di Anna fornendoce un ritratto storico e drammaticamente umano. Costantino Kavafis le dà voce come se provasse i suoi stessi sentimenti e conclude la poesia con un’accusa a quello “sfacciato di Giovanni”. L’angoscia della nobile principessa depredata del suo impero brucia ancora, non si è mai spenta. Anna non era una Didone immolata sulla pira del suo amore ormai lontano, ma ardeva di rabbia per il titolo imperiale da cui era stata defraudata in nome di una discendenza maschile. I versi di Constantino Kavafis ad Anna Comnena appaiono come un risarcimento tardivo, le vengono posti sul capo come una corona.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Anna Comnena, l’unica donna citata nelle poesie di Kavafis
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