Cinema dissidente e altro
- Autore: Massimo Triolo
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mimesis
- Anno di pubblicazione: 2023
In tempi di dittature inapparenti, forme di reviviscenza sociale passano anche da un immaginario opposto alle logiche distraenti del sistema mediatico.
In altri termini: se sottratte all’ingerenza del potere, le espressioni attinenti al cosiddetto immateriale - arte, cinema, letteratura – vengono a costituire potenziali strumenti di dissidenza e affrancamento. Laddove la prima diventa militanza intellettuale, e il secondo la sola teleologia possibile, antitesi del prodotto artistico innocuo gradito dal sistema.
Andrebbe dunque assunto in accezione “politica” - in termini di spessore contenutistico e difformità espressiva - l’aggettivo “dissidente” che Massimo Triolo – scrittore, giornalista, artista del disegno – spende per il titolo della propria raccolta di saggi cinematografici Cinema dissidente e altro (Mimesis edizioni, 2023).
Saggi brevi ma densi, e di contenuto trasversale, che assumono la “dissidenza” - ideativa prima ancora che dichiarata - come filo rosso per inquadrare gli specifici di capiscuola fuori canone come David Cronemberg, Woody Allen, David Lynch, George Romero, Martin Scorsese, Federico Fellini, Michael Cimino...afferenti a un cinema disallineato e culturalmente inquieto.
Un coagulo di autori per un saggio che ne traduce analiticamente le espressioni filmiche, estendendone le tematiche agli ambiti della semantica cinematografica, come ad antropologia, filosofia, psicanalisi, sociologia.
Quello di Massimo Triolo si (im)pone dunque come taglio interpretativo felicemente anomalo, rimando ai microcosmi altrettanto anomali di registi non “massificabili”, non riconducibili a scontate classificazioni.
Come scrive Alessandro Cappabianca nella sua prefazione al volume Lo schermo e il diavolo:
Dissidente è (…) l’aggettivo scelto da Massimo Triolo per il cinema che ama e che prende in esame in questo libro (…) Un cinema scisso, difficile, un cinema che divide, che si contrappone alla produzione corrente, che esige uno sforzo intellettuale al fine della sua comprensione. Al di là dell’etimologia della parola, potremmo dire: un cinema che mostra i denti, non si cura della linearità narrativa, esalta le emozioni e mette a repentaglio lo stesso equilibrio emotivo di chi lo guarda.
Se c’è una cosa in cui il disegno globalista è riuscito perfettamente, è stato l’adeguamento delle coscienze a una “quiete” funzionale all’acriticismo e all’acquiescenza. Una quiete mortifera cui gli autori convenzionali (registi, ma anche scrittori, cantautori, giornalisti, svariati maitre à penser), si adeguano attraverso prodotti mediali, allineati, non fastidiosi, comodi all’obnubilamento di massa.
I registi chiamati a raccolta da Triolo per questo suo lavoro (di rigore e coraggio adamantini), risultano al contrario di “diverso” spessore, veleggiando in direzione ostinata e contraria verso dimensioni ulteriori. Le dimensioni di un “sentire” - prima ancora che di un filmare – non concorde, non pacificato, immune al piacionismo, sordo ai richiami delle sirene tardo-capitaliste e dei suoi media artistici obbedienti.
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