Città
- Autore: Maria Giovanna Marchesin
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2013
A guardarlo, parrebbe un manuale di storia. A dire il vero è piuttosto un manuale di forma che nasconde una gran bella storia. Ci teniamo sempre a precisarlo Maria Giovanna ed io quando andiamo per biblioteche e librerie a presentare il suo libro. Sì, perché da un annetto ormai giriamo per le province venete a far conoscere il prodotto di dieci anni di fatiche, i sogni di una giovane scrittrice sommati a quelli di una mamma, una compagna e amica dolcissima.
Maria Giovanna Marchesin (di Lonigo, provincia di Vicenza) è conosciuta nel panorama letterario, anche internazionale, per il suo primo libro, ovvero Occhi d’oro. Nato per vivere, un diario da lei scritto in occasione della delicata malattia che il figlio secondogenito ha dovuto affrontare in tenerissima età. L’autrice ha reso sotto forma di favola un periodo buio e sofferto, per lasciare una traccia di quel che con la sua famiglia ha vissuto e felicemente superato, per poter essere di supporto ad altre mamme, per poter conservare un monito di ciò che è stato. Questo libricino è stato pubblicato dalle Edizioni San Paolo nel 2006 ed è stato tradotto anche in polacco.
Ma torniamo a Città (Caosfera edizioni, 2013). Mi piace spesso iniziarne la presentazione leggendone il prologo, quello che introduce la figura di Beatrice Maccà, la protagonista femminile della storia. Colei che è Maria Giovanna, come potrebbe essere stata, come vorrebbe essere o come alcune volte si sarebbe comportata col mondo. È la figlia del Vice podestà di Lonigo, quella città al centro del romanzo che «ha attraversato secoli di storia sempre vivendola nel profondo, sempre prendendone parte, sempre lottando per non esserne travolta». Quella Lonigo di inizio Ottocento che si apprestava, da borgata, a divenire per l’appunto città, grazie all’invio di una supplica direttamente al governo di Vienna, all’impero Austro-ungarico. La Lonigo per cui Maria Giovanna prova un amore sconfinato e dalla quale siamo partite insieme, una sera di pioggia di fine gennaio 2014, per il viaggio promozionale, sperando di condividere con i futuri lettori un po’ del fascino che trabocca dalle sue pagine e che fa bere d’un fiato tutta la vicenda. Chi l’ha letto in un giorno, chi in una notte! Tra uno spuntino e una tisana e poi dritto fino al mattino, verso quest’IsolaCheNonC’è fatta tutta di emozione.
Città ha l’aria del romanzo storico ottocentesco, ma non certo per la lentezza del narrato, a cui potremmo pensare noi vittime di vincoli scolastici mal riposti e nemmeno per una forma espositiva pomposa. Città è fresco e moderno nella forma, quanto romantico nel vero e intimo senso del termine nei contenuti: personaggi forti e appassionati, vicende piene di ostacoli e pericoli, la cardinalità di un ideale difeso con decisione e, se possibile, con la vita stessa, ovvero il bisogno di indipendenza di Lonigo e dei suoi futuri cittadini. Un esempio? Prendiamo sempre Beatrice: la giovane ribelle, acculturata e irriverente che si lascia investire da un amore proibito, contesa tra l’amicizia per Carlo e la fascinazione per Friedrich. È l’adolescente bisognosa di una spalla, ritrovata in Enrica, l’amica di sempre, l’amica che tutti spereremmo di avere nella vita. Ma è anche la sorella vivace e coccolona, la nipote vezzeggiata, la figlia che rende al pari orgogliosi e tremendamente preoccupati; è la donna che si impegna attivamente per la stesura della supplica.
Perché proprio L’Ottocento? Maria Giovanna ha sempre desiderato scrivere un romanzo ambientato in quell’epoca; lei che ama Manzoni e ne cita la ventisettana dei Promessi Sposi, lei che dalla lettura della Storia di Lonigo del Mazzadi, a partire da due cartine e dalla succitata supplica inviata a Vienna, ha saputo trarre un’intera trama. Lo dice un po’ abbassando la voce, quando risponde alle domande dei lettori, venando il tutto di viva emozione: quando ha letto la supplica, ha notato che dei 21 allegati -atti a spiegare vari e più diversi aspetti della vita di borgata e i motivi per cui meritasse l’appellativo di “città”- ne mancavano tre. Da lì la sua fantasia ha fatto il resto, ha ipotizzato un perché e sulla base di quello ha ideato tutta una storia, che si intreccia a molte altre e per mezzo delle quali ha realizzato magistrali scene corali o assoli lirici e duetti ricchi di pathos.
I personaggi. Qualcuno è reale, qualche altro è pura invenzione, uno in particolare è un tributo che l’autrice ha voluto fare al nonno della sua gioventù e che nel romanzo prende le sembianze del nonno di Beatrice, con il quale lei parla in dialetto veneto, in un linguaggio dunque del tutto speciale e intimo, quale vuole essere il rapporto che omaggia. Tutti comunque sono verosimili, perché Maria Giovanna ci ha tenuto molto a studiare l’onomastica del tempo, le abitudini, la topografia. Per ricreare una città che non c’è più come è descritta nel romanzo, eppure respira ancora sotto l’asfalto nuovo e tra le mura del borgo. Soprattutto di notte o la mattina presto, quando la piazza è deserta e da essa guardando in alto è possibile scrutare il Palazzo della Deputazione Comunale all’interno del quale fu redatta la supplica; oppure, chiudendo gli occhi, si potrebbe sentire lo scalpiccio degli zoccoli e il nitrito dei cavalli (Lonigo era nota per la Fiera Cavalli che poi si è spostata a Verona), o, ancora, riaprendoli sperare che all’incrocio di due vie che sfociano in piazza, da un momento all’altro sopraggiunga la Maschera, in groppa al suo destriero nero per rapirci.
Eh, la Maschera, meriterebbe una recensione a parte, ma in questa sede non posso dilungarmi. Posso solo dirvi che la amerete almeno tanto quanto a tratti vi inquieterà. Forse la amerete proprio per questo. Forse, dico forse perché probabilmente io sono troppo coinvolta sin dal momento in cui ho incontrato la scrittrice per la prima volta, amerete anche le figure più losche e sgradevoli: le giovani compaesane piene di invidia e acredine, il cattivo. Le une perché contribuiscono a far uscire l’aspetto più pungente e più ironico del bel caratterino di Beatrice; l’altro perché, come tutti i cattivi che si rispettino, è reale e vivo, senza mezzi termini, con forze e debolezze. Amerete anche voi, ne son sicura, lo sfaccettato rapporto con la madre Irene, percepibile nel tremore emozionale che a tratti vi suggerirà una lacrima. Certo adorerete l’amore che sboccia e si fa strada, attraversando mille sgambetti della sorte, nei cuori dei protagonisti.
Città è una e tante storie insieme che, come il fiume Guà che bagna le rive di Lonigo, scorrono e intrecciano agli affluenti e ingrossano alla pioggia e seccano d’estate, tra i sassi gorgogliano e nel vento cantano la loro vita.
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