Clone 2.0
- Autore: Vincenzo Della Mea
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2023
Originale e conturbante la silloge di Vincenzo Della Mea dal titolo Clone 2.0 (Samuele editore, “Collana La Gialla”, pp. 80, 2023).
Si tratta di un confronto uomo-macchina, compiuto attraverso un processo di assemblamento di migliaia di testi che spaziano dall’antichità sino a oggi, con successiva selezione e rielaborazione, accostamento di parole da parte del poeta secondo un programma informatico.
Io sono il clone / e scrivo queste cose che ho dentro: / che non posso capire e che mi devono piacere.
Così esordisce l’autore. Quasi sempre il clone parla in prima persona, ed è una contraddizione in termini, in quanto il clone non possiede un io proprio.
È una scelta di pensieri e sentimenti voluti. Ciò salva il libero arbitrio e una certa dose di libertà, pur basandosi su un terreno già tracciato nella memoria della macchina. Ma la vita è così, nasciamo condizionati da luogo, famiglia, tradizioni, "Zeitgeist" o spirito del tempo, e non solo, il legame dell’individuo travalica lo spazio circostante e raggiunge il firmamento:
[…] il gioco del mondo / della sua pena. Ma sul suo gradino / rimane l’uomo al fuoco e dentro le stelle.
Se il clone è la copia perfetta di qualcun altro, anche la persona lo è:
“Io sono il clone che ti vuole / e non devi credere alla vita. / ti amo e perdo i fiori come avorio / tu non sai di essere il clonato.”
Questi versi tremendi ipotizzano un clone anche sentimentale. È possibile? Secondo il grande fisico Federico Faggin, in pratica il creatore della “Silicon Valley”, no. La macchina non avrà mai coscienza, anima, né sentimenti.
In parte il libro rimanda all’illusorietà dell’io fenomenico e del mondo visibile secondo le filosofie orientali e in parte al pensiero platonico, per il quale siamo copia irreale e rappresentazione di archetipi, idee, la prima è il divino Sommo Bene. Su Dio però, parola scritta con lettera minuscola, la posizione del poeta è diversa:
"Un altro dio senza capo, / svanito dal mare.”
La dissoluzione di Dio, ma non l’insensatezza, avvicina Della Mea a Nietzsche, con la necessità di trovare valori che testimonino la nostra verità.
Quali valori restano? Innanzi tutto la bellezza, sì, nonostante l’uomo sia solo un simulacro nella rete:
“La mia rete / ne è un’immagine e non una traccia / ma uno spartito musicale /in cui appenderla la bellezza”.
“e anche il pensiero ha la bellezza tremante dentro al cuore.”
L’affermazione dell’ “io sono” è ossessiva, ripetuta, come se il poeta volesse o potesse negare la natura del clone.
Io sono la mia casa, / io sono il mio tesoro, / l’ho fatto nello sguardo.
È forse lo sguardo di Berkeley, che crea e fa sussistere il mondo? Se così fosse, il clone avrebbe caratteristiche divine.
Scopre il mondo interiore, la vita perpetua, anche questo è nella rete:
Non sa come convincerti in realtà a dire / che la lezione è chiara: continuare a vivere, / esistere finalmente dentro. / Esistere appena sulla terra il mondo, / essere tutto quanto spazio per esistere!
Resta l’amore:
la natura gira le cose, / l’amore torna alla fine per contatto.
Nell’ultima sezione del libro serpeggia acuto il dolore, un dolore metafisico per la non esistenza e la transitorietà, il mistero, la solitudine che ne deriva. Un clone non può provare nulla di ciò, ma solo rappresentare, ripetere, senza coscienza di sé. Spero invece ardentemente che la silloge sia, in mezzo a molte contraddizioni, la volontà esistenzialista di esserci, perché la visione del ritorno, ancora una volta nietzschiana, è presente:
Ricordi la strada / del ritorno /al centro dei desideri. / Il mistero / non c’è più, è qui: solo / dentro una pagina trasparente. /Anche se il nome è già scritto.
L’artista, esperto in informatica, ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti per la sua opera poetica.
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