Di recente è stata lanciata al MEET di Milano la mostra collettiva Forever Young: The Dorian Gray Syndrome, in cui gli artisti della digital art indagano il tema dell’eterna giovinezza oggi accentuato dal mito della rappresentazione ideale di sé.
L’esposizione sarà visitabile sino al 2 giugno 2024 e rappresenta l’inaugurazione del Longevity Summit - Rewriting Time, dedicato ai processi di invecchiamento. Viviamo in una società demograficamente sempre più anziana che pure insegue il sogno della gioventù a tutti i costi.
È come se la vecchiaia oggi non esistesse; viene progressivamente eliminata da qualsiasi processo comunicativo, non è rappresentata né espressa. Sull’ultima età della vita pesa lo stigma dell’indicibile. Nessuno vuole ammettere di essere “anziano” e nascono sempre più sistemi per eliminare i segni dell’invecchiamento, vengono implementate persino soluzioni tecnologiche innovative per contrastare l’immagine o la percezione stessa della vecchiaia. La mostra milanese propone una riflessione inedita sul tema, a partire dal titolo The Dorian Gray Syndrome che richiama il celebre romanzo di Oscar Wilde.
La sindrome di Dorian Gray e l’uomo contemporaneo
Cos’è la sindrome di Dorian Gray? A quanto pare la definizione va oltre il personaggio di finzione e si collega alla realtà, specialmente alla percezione dell’uomo contemporaneo. Filtri Instagram, Photoshop, ritocchi più o meno evidenti ci spingono a riflettere un’immagine di noi stessi sempre giovane e vitale, tentando una continua trasformazione per fuggire al tempo che passa e il naturale processo dell’invecchiamento. I social network hanno dilatato all’infinito il concetto di presente sino a sfiorare l’idea dell’immortalità; un po’ come Lord Henry Wotton che giunge a convincere Dorian, nel libro di Wilde, che l’unico bene prezioso in questo mondo è la giovinezza e un corpo giovane. Il protagonista de Il ritratto di Dorian Gray è talmente soggiogato dal discorso di Wotton da decidere di scambiare la propria sorte con quella del suo ritratto: il quadro invecchierà al posto suo, mentre lui resterà eternamente giovane. L’anima di Dorian Gray viene trasfusa nel dipinto, condannato a invecchiare e logorarsi, mentre lui resterà un giovane di bell’aspetto per sempre, almeno finché la maledizione non gli si riverserà contro portandolo alla rovina. Wilde non poteva certo immaginare di stare profetizzando, con quel romanzo scritto nel 1890, una tendenza spaventosamente contemporanea.
Nella società 2.0 invecchiare non è permesso, non è lecito; l’elogio della giovinezza è continuo e pressante, una sorta di regola non scritta. Stiamo diventando tutti Dorian Gray e non ce ne rendiamo conto. Porre l’accento sul problema dell’eterna giovinezza è una necessità e un’urgenza quantomai attuale, perché la cosiddetta Sindrome di Dorian Gray è l’inquietante aggregato di sintomi strettamente legati ai tempi moderni.
Cos’è la sindrome di Dorian Gray?
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La sindrome di Dorian Gray esiste, ce lo dice la scienza. Fu diagnosticata per la prima volta nel 2000 dagli psichiatri Burkhard Brosig, Joerg Kupfer, V. Niemeier e Uwe Gieler nel saggio omonimo intitolato proprio The Dorian Gray Syndrome. La chiamarono così ispirandosi al capolavoro letterario di Wilde.
Si tratta di un vero e proprio disturbo ipocondriaco che provoca una preoccupazione ossessiva per il proprio aspetto fisico, colpisce indistintamente sia uomini che donne. Si può curare con una forma di psicoterapia intensiva che riesca a individuare i fattori scatenanti del comportamento narcisistico.
Secondo studi più recenti questa sindrome non colpisce solo persone con bassa autostima, come precedentemente ipotizzato, ma sta crescendo in maniera esponenziale condizionata dai fattori socio-culturali contemporanei. Gli individui affetti dalla sindrome nutrono una costante preoccupazione per il mantenimento del loro aspetto giovanile, cui attribuiscono il loro stato di benessere generale. In alcuni casi la sindrome di Dorian Gray si associa a disturbi di dismorfofobia, ovvero alla percezione errata o alterata del proprio corpo e l’individuazione di difetti fisici inesistenti. Alla base del problema c’è quindi un’immagine distorta della propria percezione fisica e anche il narcisismo, inteso proprio nel senso psicologico del termine: la sensazione di essere superiori agli altri, la convinzione di meritare un trattamento migliore o maggiori attenzioni. Spesso la sindrome si accompagna ad altre patologie (che a quanto pare esistono, ma spesso non sono riconosciute quanto tali) quali la vigoressia, ovvero l’ossessione per il fisico perfetto, e l’ortoressia, l’ossessione per il mangiare sano.
Tutto questo, osservano gli psicologi, è in parte fomentato dalla nostra società digitale che mette al centro l’Io, coltiva il culto dell’ego attraverso bolle mediatiche e di attenzione, portando l’individuo a vivere in un mondo sempre più egoriferito in cui la sua immagine è amplificata oltre misura. Il modello narcisistico sta diventando, di conseguenza, un modello culturale. La resistenza all’invecchiamento secondo i primi teorici della sindrome, Burkhard Brosig, Joerg Kupfer, V. Niemeier e Uwe Gieler, era legata alla frustrazione, alla paura di invecchiare generata da una mancata maturità emotiva e personale; oggi le cause non sono più individuali, ma sociali.
Le peggiori ripercussioni della Sindrome di Dorian Gray sono disturbi d’ansia, disagio sociale, depressione sino ad arrivare - nei casi più gravi - al suicidio, proprio come nel romanzo di Wilde in cui il protagonista giunge a pugnalare il ritratto uccidendo, di fatto, sé stesso.
La sindrome di Dorian Gray oggi
Tra le opere presenti al MEET di Milano troviamo la singolare installazione di Chris Salter che cattura l’immagine frontale del singolo visitatore con una telecamera e la proietta amplificata su tutte le pareti della stanza in modalità tridimensionale. Spaventoso? Può darsi, di sicuro le reazioni dei singoli sarebbero interessanti da analizzare; se avete intenzione di andarci, preparatevi.
Il percorso della Digital art del MEET spinge il visitatore a confrontarsi, in diverse maniere e con vari approcci, al tema nocivo dell’abbellimento che affligge il mondo digitale. A quanto pare ha un nome preciso, gli studiosi lo chiamano beautification.
Avvertiamo, più o meno inconsciamente, la pressione di dover dare “l’immagine migliore di noi”, senza renderci conto di vivere nella falsa barriera dell’apparenza. Inoltre le nuove tecnologie e l’Intelligenza Artificiale stanno studiando strategie alternative di sopravvivenza, spingendosi oltre il limite fisico del concetto di mortalità: la tecnologia può sopravvivere alla persona fisica, le immagini (e con esse i commenti, le interazioni, i messaggi) spinte nell’etere digitale sopravvivono, di fatto ai loro utenti, una funzione in passato affidata all’arte. La sfida è riposta nella tecnologia; il contemporaneo patto con il diavolo oggi riguarda da vicino il digitale, poiché lì si cela l’impressione distorta, alterata, la nuova illusione di eternità (e invincibilità) dell’individuo.
L’estetismo profetizzato da Wilde sul finire dell’Ottocento, secondo cui l’uomo persegue il “bello” come finalità di vita, oggi sta raggiungendo il parossismo e siamo continuamente bombardati dall’ostentazione di stili di vita perfetti e da immagini edulcorate o ad alta saturazione - ma probabile che siano contornate dall’immancabile hashtag #nofilter. In ogni caso, non tutto è perduto, almeno non finché c’è ancora la capacità di riflettere sul rischio dettato da certe tendenze e di ricordare che, dopotutto, la vita non è un algoritmo. Dovremmo scoprire una nuova narrazione della vecchiaia, rimetterla al centro e non ai margini del discorso.
Nella società attuale Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde sarebbe, probabilmente, un selfie.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Cos’è la sindrome di Dorian Gray e perché è attuale
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