Da pochi giorni è in libreria il saggio La scuola ci salverà (Solferino 2021, a cura di Eugenio Murriali, pp. 192), una raccolta di articoli che Dacia Maraini ha scritto negli ultimi trent’anni, per lo più per il “Corriere della Sera”, più tre racconti (L’esame, Berah di Kibawa e Il bambino vestito di scuro), che ruotano attorno a un tema attualissimo: quello della scuola. Nel volume, una sorta di saggio, memoir e manifesto, l’autrice, da noi intervistata, riflette sull’importanza della scuola, soprattutto nei momenti di crisi come quello che stiamo vivendo e sull’urgenza di garantire ai ragazzi un’istruzione sempre migliore.
“La scuola è il più grande investimento di un Paese per il futuro e noi abbiamo bisogno di futuro”.
Dacia Maraini, autrice di romanzi, racconti, opere teatrali, poesie, saggi e narrazioni autobiografiche, editi da Rizzoli e tradotti in oltre venti Paesi, nel 1990 ha vinto il premio Campiello con La lunga vita di Marianna Ucrìa, nel 1999 il premio Strega con Buio, e ha ricevuto il premio Campiello alla carriera nel 2012. I suoi ultimi romanzi sono Corpo felice (Rizzoli, 2018), e Trio. Storia di due amiche, un uomo e la peste a Messina (Rizzoli 2020).
La scuola ci salverà
Link affiliato
- Signora Maraini, lei che considera la scuola come il metronomo del progresso di qualsiasi Paese del mondo, quale voto dà alla scuola italiana e di che cosa ritiene abbia bisogno in un momento difficile come quello che il nostro Paese sta vivendo?
La scuola italiana ha una buona base, ma soffre di disorganizzazione e non pratica la meritocrazia. Questa è la ragione per cui poi i bravi studenti scappano nei Paesi stranieri, dove la meritocrazia funziona. Nei Paesi stranieri democratici i ragazzi italiani fanno subito carriera, segno che la scuola italiana non è poi così disastrosa come si racconta. Manca l’organizzazione, mancano gli investimenti, sia economici sia etici ed emotivi. Manca la stima di sé e la fiducia nel futuro.
- Come istituzione la scuola non funziona, ma c’è una rete di “insegnanti impegnati” che ce la mettono tutta. Che cosa ne pensa?
Come ho scritto, infatti, la scuola come istituzione fa acqua. Ma c’è una rete di insegnanti che la tengono in piedi con coraggio, lealtà e passione. Sono quelli a cui va il mio ringraziamento. Dovremo, però, valorizzarli di più e pagarli anche meglio.
- Ritiene che la pandemia abbia portato alla luce tutto quello che già non andava da decenni nel mondo della scuola?
La pandemia ha fatto saltare certi equilibri basati sulle abitudini e questo non è un male in sé. Purché si rimedi ai guasti fatti in tanti decenni di trascuratezza e abbandono e si ricominci con fiducia e impegno.
- Scriveva in un articolo sul “Corriere della Sera” nel luglio 2015 che il degrado di un Paese si vede dallo stato delle sue scuole, dei suoi musei e delle sue biblioteche, come investire in cultura “perché è la sola che ci rende consapevoli e responsabili, pronti ad affrontare intelligentemente qualsiasi crisi, sia spirituale sia sociale”. È cambiato qualcosa nel corso di questi ultimi anni?
La cultura della globalizzazione è basata sul mercato. Il denaro che vince sull’etica, una pratica difficile da evitare, ma si può creare un sistema di resistenza intelligente, puntando sui valori della civiltà, e dell’umanesimo.
- La recente vicenda della studentessa quindicenne di Verona, invitata dalla docente a coprirsi con una sciarpa per sostenere un’interrogazione durante una lezione in DAD, ha evidenziato tutte le storture che questo tipo di didattica può produrre?
Mi sembra eccessivo trasformarlo in un caso esemplare. È solo un caso di arbitrio senza criterio. Ma non rappresenta affatto la condizione generale delle scuole italiane.
- Ripensando anche alla sua esperienza in Giappone, dal 1939 al 1945, quale aiuto può dare la scuola all’integrazione?
A scuola si impara che l’intelligenza e le capacità umane non distinguono fra colore di pelle o genere di appartenenza. Naturalmente molto dipende dagli insegnanti, che devono dare il buon esempio. Ma a me risulta che i bambini imparano prestissimo a convivere con bambini di altri Paesi e altre culture. Se non sono talmente imbevuti di odio da trasformarsi in burattini, ma questo dipende dalle famiglie, i piccoli di solito sono aperti e tolleranti. Quindi fidiamoci di loro. Di solito i guasti e gli atteggiamenti di intolleranza vengono dalle famiglie o dagli ambienti in cui vivono. E l’insegnamento, tirandoli fuori dall’ignoranza e dagli stereotipi mentali, li aiuta a pensare con la loro testa.
- Che ricordi conserva di quando era una “Poggiolina”?
In generale buoni: l’amicizia con tante bambine che venivano da ogni parte del Paese ma anche straniere, amicizie che durano ancora; la disciplina nello studio, le brave insegnanti, la bellezza del luogo, i principi di civiltà e umanità che guidava le insegnanti, i riti musicali e teatrali. Solo qualche ricordo cattivo, come quando i miei non riuscivano a pagare la retta e gli inadempienti venivano denunciati a voce alta durante la mensa. Ma nell’insieme direi che è stata una buona esperienza. Era un collegio laico, che si ispirava ai principi risorgimentali e sebbene tenesse conto della religione, non era repressivo e sessuofobico come tanti altri collegi e tendeva a formare la brava cittadina oltre che a creare delle competenze.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Dacia Maraini parla de “La scuola ci salverà”, il nuovo saggio della grande autrice
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Ti presento i miei... libri News Libri Dacia Maraini
Lascia il tuo commento