Dal Caucaso agli Appennini. Gli azerbaigiani nella Resistenza italiana
- Autore: Mikhail Talalay
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2013
Non sono mai stata una grande appassionata di storia. Paradossalmente, visto il mio amore per la letteratura che alla storia è legata a doppio filo, era la materia scolastica che più mi annoiava e nella quale riuscivo sempre a malapena a strappare una sufficienza stiracchiata. Devo ammettere che sono molto più incuriosita da certe vicende particolari che dalla storia nella sua generalità: tediata da infiniti elenchi di date e battaglie, sono però attratta dalle storie che pochi conoscono, che magari, statisticamente parlando, hanno avuto pochissima influenza sul corso generale degli eventi, ma che dal punto di vista umano aprono scenari non meno veri, significativi e interessanti.
Una pagina della guerra della Resistenza italiana veramente nota a pochissimi è la partecipazione, in essa, di un notevole numero di combattenti di provenienza caucasica in generale e azera in particolare. L’Editore Sandro Teti ha un occhio di riguardo per la storia e le vicende azere, come dimostrano le precedenti pubblicazioni “Azerbaigian crocevia del Caucaso” e “Le religioni dell’Azerbaigian”. Questo spiccato interesse ha permesso che questo volume vedesse la luce, regalandoci una pagina di storia recente tutta da scoprire.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, furono alcune centinaia gli azeri fatti prigionieri dai tedeschi e inviati a combattere nell’Ovest. La maggior parte di loro non cercava altro che un’occasione per scappare e molti ci riuscirono. Alcuni di essi si riunirono all’Armata Rossa, mentre molti altri preferirono aiutare i partigiani nell’Italia settentrionale. Una scelta che a molti costò la vita, non solo in combattimento, ma anche dopo la fine della guerra, quando furono rimpatriati a forza e processati come traditori dal loro governo. Questo volume racconta la loro storia, di non facile ricostruzione e ancora densa di domande e piccoli misteri. Usando un linguaggio chiaro e scorrevole e senza indugiare troppo sui pur necessari dati oggettivi, l’autore segue il cammino di questi perlopiù giovanissimi eroi, che diedero la vita per un ideale di libertà. Descrive un’Italia che li accoglie come presenze amiche e che fa del proprio meglio per proteggerli, ma allo stesso tempo, con una curiosa generalizzazione, confonde sia loro che i vari georgiani, armeni e via dicendo, nella stessa definizione di “mongoli”, e questo malgrado l’arrivo di combattenti dalla Mongolia fosse pressoché nullo. Tanto che ancora oggi, nel cimitero di Monte di Neve, paese che fu teatro di uno spaventoso eccidio di soldati azeri, una lapide ricorda i “mongoli caduti per mano fascista”.
Fra le tante vicende umane spicca una storia d’amore, che assurge a simbolo dell’eterna lotta fra i sentimenti che tentano di abbattere i confini e il potere che li allontana inesorabilmente. Si tratta di quella fra Gina Negrini e suo marito Nuri Aliyev, convertito alla religione cattolica per poterla sposare almeno in chiesa, in quanto la legge sovietica vietava il matrimonio con le italiane. Comunista convinta, Gina non sognava che di trasferirsi a Baku con il marito, ma, dopo alcuni mesi di speranza nel campo di raccolta di Linz, i due furono separati e le ultime notizie di Nuri giunsero dalla Siberia. Una ferita ancora aperta nel cuore di una donna che non credeva nelle differenze e molto probabilmente, dopo aver letto questo libro, ci crediamo un poco meno anche noi.
Dal Caucaso agli Appennini. Gli azerbaigiani nella Resistenza italiana
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