Gennaio, mese infinito, sta volgendo al termine con i suoi giorni di gelo più intenso, i cosiddetti Giorni della merla. Il mondo sembra essere ricoperto da una lastra di ghiaccio, l’aria è ferma e tagliente come un coltello, i raggi del sole sono più opachi: gli ultimi giorni di gennaio ci immergono in un’atmosfera sospesa, in bilico tra flagello e incantamento.
Ci prepariamo al congedo dal primo mese dell’anno con una malinconica poesia di Mario Luzi intitolata Di gennaio, di notte (1947) che suggerisce una profonda riflessione sulla memoria, proponendo gennaio - il primo di tutti i mesi - come il “crocevia del tempo”. In questi versi troviamo la giovinezza, la vecchiaia e una meditazione sulla caducità della vita che questo bianco candore di neve che si scioglie al sole sembra suggerire. Luzi si domanda se l’agonia che precede ogni nuovo inizio non sia, in fondo, simile, all’agonia della fine: principio e fine si somigliano? L’atmosfera sospesa e rarefatta di gennaio sembra aprire un varco tra terra e cielo e offrire una risposta sul “transitare eterno”, proprio come in una celebre poesia di Giovanni Pascoli dedicata a questo mese.
Scopriamo testo e analisi della poesia, scritta nel 1947 e in seguito radunata nella prima raccolta di Mario Luzi edita da Garzanti nel 1960 dal titolo Il giusto della vita.
“Di gennaio, di notte” di Mario Luzi: testo
Di gennaio, di notte
quando lungo le sue vene lo spazio
trepida per un vento inesauribile, ravviva
negli alberi speranze ancora vane
e li sveglia a una vita ancora incerta,
troppo remota oltre le cime
ed oltre le radici;nei giorni incerti ai crocevia del tempo
nelle ore dopo la passione quando
anche il dolore ha fine
e l’anima si tiene appena
che non frani nel suo vuoto
e si chiede stupita più che ansiosa
s’è quella l’agonia ch’è in ogni inizio
o il termine, il termine di tutto,e accade che qualcuno
per certezza, per afferrarsi a un segno
mormori il suo tra il nome dei suoi cari
ed è strano come murare lapidi
su case per memoria d’un passaggio,
d’una sosta nel transitare eterno,viso di molto amata un tempo
che tra pagina e pagina del libro
sfogliato senza termine degli anni
hai la pace che dà l’essere fiochi
e spenti sotto la crudele patina
qualcuno soffia nelle tue fattezze,
t’eccita, ti richiama al mio tormento
quale fosti d’età in età, puerile,
puerile sotto nuvole di marzo,
giovinetta sgusciata da anni informi
tra infanzia e pubertà, donna nel vento.
Frattanto siamo divenuti grigi.Esco, guardo addossato ai muri alti
la mia patria ventosa e montuosa,
prendo fiato, poi seguo la via crucis.
“Di gennaio, di notte” di Mario Luzi: analisi e commento
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Nel tempo senza tempo di gennaio il cuore del poeta sembra anelare alla primavera: la vita chiama la vita, il vento del futuro soffia una promessa di risveglio, di rinascita. Ma gli alberi sono spogli come scheletri e il poeta sa che il suo desiderio è ancora vano, tocca vivere i “giorni incerti” di gennaio paralizzati dal gelo, come in una promessa inesaudita di felicità. L’anima è sospesa, scrive Luzi, sembra sull’orlo di un precipizio: quando il dolore ha fine, allora arriva la felicità? Questo l’interrogativo sospeso dell’autore che tuttavia sa bene che pure la felicità è destinata a passare, a finire, a trascorrere: quindi l’agonia è nell’inizio - nell’attesa della gioia - oppure nella sua fine? Con stupore Luzi medita che, in questo, principio e fine coincidono.
Dalla terza strofa con l’introduzione di un impersonale “e accade”, Luzi sembra distaccarsi dalla dimensione metafisica del tempo - a lui, del resto, molto cara - e tornare alla realtà. Un nome pronunciato lo riporta al passato: è il nome di una donna da lui molto amata un tempo, che ora rappresenta una sosta della memoria. L’autore spoglia quel viso dal peso degli anni: la rivede bambina e poi giovinetta mentre vive ridente la sua primavera sotto le nuvole incerte di marzo, non a caso il mese più imprevedibile, come l’amore. “Donna nel vento”, la definisce, come se volesse coglierne, attraverso le parole, l’essenza sfuggente, imprendibile, che non si rassegna a restare fissa in un’unica forma, in una sola posa. La rapida visione richiama un tormento nel cuore del poeta.
Ora la persona diventa plurale, anche l’io lirico si comprende nel presente della vecchiaia:
Frattanto siamo divenuti grigi.
Ora l’uomo si muove, come se attraverso il movimento potesse sfuggire alla morsa tenace del tempo che mai si placa. La “patria” - per tradizione qualcosa di sicuro, confortante, immutabile - viene definita non a caso come “ventosa e mostruosa” associata quindi alla stessa idea di tormento rimandata dalla donna inafferrabile. Tutto muta costantemente, la memoria non trova pace, appare solo come un’illusione in questo mese di gennaio che, con i suoi ghiacci, la sua staticità, ci fa credere di vivere in un istante immobile, quando, ecco, è già passato.
La poesia di Luzi non a caso si conclude con il termine “via crucis”, un’allusione alle tappe di nascita, morte, resurrezione di Cristo e anche al cammino umano. Pare di contemplare il tempo dall’alto, di osservare tutte le stagioni della vita, per poi scoprire che esiste solo il presente: una sorta di presente-passato e di presente-futuro.
“Seguo la via crucis” è la chiusura metaforica di Mario Luzi per intendere un tempo connotato dalla realtà dello spirito.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Di gennaio, di notte”: la poesia di Mario Luzi
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