Un brano del romanzo Il fu Mattia Pascal (1903-1904) potrebbe fare da introduzione alla novella di Luigi Pirandello Di sera, un geranio apparsa per la prima volta sul Corriere della sera del 6 maggio 1934:
Avevo da pensare a tante cose; pure, di tratto in tratto, la violenta impressione ricevuta alla lettura di quella notizia che mi riguardava così da vicino mi si ridestava in quella nera, ignota solitudine, e mi sentivo, allora, per un attimo, nel vuoto, come poc’anzi alla vista del binario deserto; mi sentivo paurosamente sciolto dalla vita, superstite di me stesso, sperduto, in attesa di vivere oltre la morte, senza intravedere ancora in qual modo.
In modo magistrale è un moribondo a descrivere come si muore. Si trova questi negli ultimi momenti di vita, in “limine mortis”, e a restargli è una sorta di semi-incoscienza o una minima dimensione psichica con cui avvertire e analizzare ciò che gli si manifesta. Non è più nel suo corpo: “è come sospeso a galla nell’aria della sua camera chiusa”. Mostra d’avere consapevolezza di un ascolto.
Di sera, un geranio è una novella originalissima che forse mostra un Pirandello inedito, interessato all’esperienza del morire rappresentata nell’intreccio alchemico di poesia e prosa. Da considerarsi forse il suo "vero" testamento.
Le ultime parole pronunciate dal moribondo sanno di condanna a morte:
- Ma lei è di parere che, nello stato in cui sono ridotto, sia da tentare un’operazione così rischiosa?
- Al punto in cui siamo, il rischio veramente…
- Non è il rischio. Dico se c’è qualche speranza.
- Ah, poca.
- E allora...
Manca fra i sensi un coordinamento: egli “ne serba più che gli avvertimenti il ricordo”; per il suo corpo, di cui s’è liberato, prova apatia e rancore. Il sentimento prevalente, la sensazione che sperimenta è dunque il rifiuto della corporeità, scissa ormai dallo spirito:
Lui non era quel suo corpo; c’era anzi così poco; era nella vita lui; nelle cose che pensava, che gli s’agitavano dentro, in tutto ciò che vedeva fuori senza più vedere se stesso. Case strade cielo. Tutto il mondo.
D’una tale evidenza il dualismo oppositivo fra il fisico e lo spirituale, tale da modificare la percezione del tempo e dello spazio. Il disgregarsi e il diffondersi della forma in ogni cosa, cui l’io pacatamente assiste, attestano la perdita di se stesso: il non essere più. Così il morire si concretizza nello smarrimento della propria identità.
A dominare è una sorta di panteismo come dissolvimento della memoria “ipsius” negli elementi naturali. “Sparire” e “Svanire” sono i termini indicativi del rifluire dello spirito in tutte le cose:
Disgregarsi e diffondersi in ogni cosa … svanire nella cosa che resta là per sé … e questo è morire.
Viene in mente il detto alchemico del “solve et coagula”:
Una cosa, consistere ancora in una cosa, che sia pur quasi niente, una pietra. O anche un fiore che duri poco: ecco questo geranio...- Oh guarda giù, nel giardino, quel geranio rosso. Come s’accende! Perché? Di sera qualche volta, nei giardini s’accende così improvvisamente, qualche fiore; e nessuno sa spiegarsene la ragione.
Cosa significa il geranio nella novella di Pirandello
Simbolo della “vita che non finisce” il geranio: questo l’intento del narrante che si apre così al mistero della vita e la morte. Ignota la ragione per cui quel geranio “rosso” s’accende nell’oscurità, inspiegabile prodigio nella vita mutevole dell’uomo e dell’universo. Certo è un fatto: la morte interviene per distruggere e disgregare la sostanza, nonché l’unione di corpo e di anima.
Ed essa, neoplatonicamente si potrebbe dire, si libera dalla prigione in cui è racchiusa, dalle ristrettezze della “forma”. Motivo ricorrente che per esempio si riscontra nella sorte finale di Vitangelo Moscarda in Uno, nessuno e centomila (1909-1924):
Io non l’ho più questo bisogno, perché muojo ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori.
L’atarassia catartica del sentire segna il superamento dell’egoità, mentre il mutamento in nuove forme avviene senza che si conservi nulla di quelle precedenti.
Vitangelo Moscarda, diventato sé stesso senza più appartenere alla “maschera” delle apparenze, si sente in comunione con ogni frammento del reale per farsi possedere da un sentimento di beatitudine. Non possiede desideri e si è liberato dagli averi; francescanamente si immerge nella partecipazione alla vita della natura e si converte in cosa, in pietra, nuvola e vento.
Pressoché accadrà all’indefinito protagonista della novella. Non è più il suo corpo: senza materia e senza l’illusione dei sensi, lo spirito non coglie più né suoni né colori:
Ma ora lui è come la fragranza di un’erba che si va sciogliendo.
Come un profumo d’erba che si disperde “in una vana eternità” è il suo spirito.
Ma l’immagine del geranio che chiude la novella è concreta metafora di speranza: il fiore rosso che illumina la sera vorrebbe dire che nella vita rimane qualcosa ad essa appartenuta.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Di sera, un geranio”: analisi e commento della novella di Luigi Pirandello
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