Dobbiamo restituire fiducia ai mercati. Falso!
- Autore: Andrea Baranes
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Laterza
- Anno di pubblicazione: 2014
Titoli bancari che crollano, spread in vertiginosa risalita, PIL che cresce meno del previsto, disoccupazione pressoché stabile: gli elementi che preannunciano l’ennesima tempesta perfetta, forse anche più pericolosa di quella del 2008, sembrano esserci proprio tutti: per questo è utile rileggere Dobbiamo restituire fiducia ai mercati. Falso! (Laterza, 2014), un saggio snello e semplice dove Andrea Baranes confuta uno dei principali dogmi dell’economia liberista.
Quali sono i risultati a cui ha condotto questo modello economico in Europa? Se ci limitiamo agli ultimi anni, nell’Unione si contrappongono stati virtuosi e PIGS, paesi con i conti in ordine e paesi inefficienti con un debito pubblico troppo alto che, per questo, devono essere sottoposti a massicce cure a base di piani di austerità e tagli alla spesa pubblica. A ben vedere però è proprio negli anni della crisi, dal 2008 in poi, per intenderci, che il debito pubblico di quei paesi è creciuto a dismisura , allontanando il rapporto debito/PIL dai parametri fissati dal cosiddetto fiscal compact. Perchè?
Di fronte alla crisi economica gli stati occidentali (non solo Europa e BCE ma anche Stati Uniti e FED) hanno scelto di ridurre la spesa pubblica e attuare piani di austerità e dall’altra di salvare le banche e non le persone. Per riuscire in quest’ultimo obiettivo sono stati emessi titoli di stato e quelli emessi dai paesi più deboli, per essere competitivi con quelli emessi dagli altri, hanno dovuto offrire tassi d’interesse più vantaggiosi: da quei il debito pubblico che lievita a dismisura proprio grazie alla cura scelta per uscire dalla crisi.
Dal canto loro le banche centrali, come la BCE, impossibilitate a prestare soldi direttamente agli Stati in difficoltà (ossia a comprare titoli di stato), hanno acquistato titoli bancari, facendo affluire liquidità nella casse degli istituti di credito. In questo passaggio un’enorme flusso di capitali, più che sufficiente per far ripartire l’economia di ciascuno dei paesi in crisi, attraverso prestiti a privati e imprese si blocca, dal momento che le banche continuano a destinarlo al settore finanziario per ottenere maggiori profitti.
Se si fa un passo indietro e si guarda, però, all’origine della crisi è proprio per il dubbio funzionamento del settore finanziario che essa è iniziata: i mutui subprime erano forme di finanziamento offerte a clienti che non potevano offrire nessuna garanzia; l’abolizione della separazione tra banche commerciali e banche d’investimento ha creato conglomerati bancari che hanno un PIL superiore a quello delle nazioni e che, quindi, devono essere necessariamente salvate perché too big to fail; la stessa finanza ha inventato strumenti, come le cartolarizzazioni e i derivati, che, lungi dall’essere così efficienti come si credeva, hanno moltiplicato a dismisura la massa di denaro circolante, al solo fine di garantire tassi di profitto soddisfacenti a una mole di capitali che cresce a velocità sempre più veloce e incontrollata.
La finanziarizzazione dell’economia che è il risultato ultimo di questo meccanismo ha degli effetti negativi per tutti gli stati, effetti che diventano devastanti nel caso dei paesi più deboli costretti a tagliare il proprio welfare, per ridurre la spesa pubblica, a negare servizi essenziali, a inserire nelle proprie costituzioni – con leggi costituzionali fatte in una notte, come nel caso italiano – vincoli di bilancio; in definitiva a sottostare ai dictat di una finanza che, come nel caso di JP Morgan, richiede lo smantellamento delle Costituzioni di stampo socialista, garanti di ampi diritti civili per ottenere degli stati più efficienti:
"Il neoliberismo non descrive la realtà, ma molto prima e molto peggio è una teoria per plasmare e indirizzare le scelte di politica economica, e quindi la realtà stessa, in una direzione ben precisa".
Come se ne esce? Di soluzioni praticabili Andrea Baranes ne segnala molte, sottolineando che non sono né le uniche né le più efficaci. Se la finanza ha dimostrato la propria inefficacia occorre riplasmarne le regole rinegoziando il debito pubblico, ormai inesigibile, di molti stati; restituendo la distinzione tra banche commerciali e banche d’investimento; tassando ogni singola transazione finanziaria e rendendole più trasparenti, così da rendere il gioco meno conveniente; riallacciando gli strumenti principali della finanza all’economia reale, prevedendo l’obbligo di consegna del sottostante per i derivati, ovvero l’obbligo per gli investitori, di avere un qualche interesse nell’asset (in genere una materia prima) a cui un derivato si riferisce.
Più di questo e oltre questo, Baranes segnala anche delle soluzioni dal basso, come il modello bancario alternativo messo in campo dalle Mag (Mutue di autogestione) e, in anni più recenti da Banca Etica. Più in generale
"indipendentemente dalle soluzioni (...) accennate (...), la direzione da intraprendere è chiara. Oggi la speculazione domina la finanza; la finanza controlla l’economia; l’economia determina le scelte politiche; la politica impatta sulla vita delle persone. Quello che dobbiamo fare è semplicemente ribaltare l’attuale scala di valori e leggere al contrario le frasi precedenti".
«Dobbiamo restituire fiducia ai mercati». (Falso!)
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