Èva, Acqua biellese
- Autore: Non disponibile
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2014
Mi è stato donato un libro e subito lo sguardo è caduto sul titolo. Enigmatico per certi aspetti: “Èva, Acqua biellese”. Gli scritti, si sa, viaggiano con l’uomo: dal territorio di Biella questa pubblicazione è giunta nella cuspide sud-orientale della Sicilia, dove la presenza dell’acqua è scarsa soprattutto in estate quando per il gran caldo la siccità fa sentire i suoi lamentevoli effetti. Ebbene, incuriosito dall’argomento, quest’operetta l’ho letta d’un fiato e ad ampi sorsi. L’introduzione, arricchente e disvelante, è curata da Laura Manione che ha pubblicato saggi per riviste storiche e per cataloghi di esposizioni fotografiche, oltre a presentazioni critiche di autori italiani e stranieri.
Leggendola, il lettore si immerge subito nella semantica del titolo e del sottotitolo. Quanto al primo, il nome della prima donna è legato al mondo acquatico e, di certo, l’associazione non è azzardata per l’energia generativa che appartiene ad entrambe. Tutte e due, infatti, scorrono e si mescolano in egual misura. Sono lessemi che racchiudono la storia dell’essere umano, connotata dal mistero che dona vita alla vita, tant’è che per i filosofi presocratici, vissuti a stretto contatto con la natura, il principio di tutte le cose era riconducibile a quattro elementi. Il fuoco, l’aria, la terra e l’acqua, sentiti nella loro sacralità al punto da provocare stupore e poesia, mito e profezia, conoscenza e indagine fisica.
Considerata come una ierofania del sacro, l’acqua nel sottotitolo è detta: “Un bene che fa bene”. E non è un caso che la prefatrice si soffermi sul fascino speciale dei luoghi per ricavarne dimensioni plurisignificative. Il linguaggio usato per introdurre alla rappresentazione del biellese, una provincia che si estende dalla pianura alla collina, nonché dal lago all’alta montagna, è accattivante e metaforico: “il respiro fluido del territorio” e i “saperi arcaici” invitano così alla scoperta attraverso una scrittura che si muove fra narrativa e saggistica in una ramificazione inconsueta e insolita.
Ad aprire l’itinerario, è la voce maliosa del narrante: quella dell’esploratore che, munito di borraccia, di una bussola e di una macchina fotografica, si mette in cammino per assaporare l’ignoto e farsi sorprendere dalla bellezza. Nel corso degli spostamenti conosce la sosta, cioè il possesso della visione nel vivere l’attimo senza sacrificarlo al futuro, suggerisce Claudio Magris e senza annullarlo in qualcosa di utilitaristico. Il lettore viaggia con lui: ascolta e mette in movimento tutta la sua carica sensoriale, emotiva ed empatica. Quando via via il racconto si interrompe, ecco l’inserimento di saggi: alcuni di carattere scientifico sulla preziosità dell’acqua biellese, altri più gustosi dove a prevalere è l’invenzione o il procedimento memorialistico come nella bella testimonianza di Sandra Bosco la quale, da rabdomante, parla di vissuti e di tecniche di cui si favoleggiava anche al tempo della mia infanzia:
Quando ero adolescente, verso la fine degli anni cinquanta, seguivo spesso mio padre Felice, che già possedeva quella dote e – vedendolo all’opera – mi domandavo se pure io fossi stata in grado di seguire le sue orme. Da giovani si è curiosi, si ha voglia di sperimentare, tutto appare come una sorta di gioco, di sfida; così provai scoprendo che ero capace di “sentire l’acqua” attraverso delle impressioni indipendenti della mia volontà.
I sensori si sintonizzano sulla stessa lunghezza d’onda dell’esploratore, mentre i dati conoscitivi si infittiscono nella rete degli esperti intervistati o presenti in veste di relatori. Il materiale è vario e ricchissimo e si avrebbe la voglia di farne una lettura puntuale. Ci si troverebbe a dover sottolineare la descrizione degli aspetti socio-economici legati allo sfruttamento dell’acqua, o ad evidenziare la scoperta della religiosità tipica delle tradizioni popolari che si manifesta nei santuari (la Madonna nera di Oropa), o le atmosfere esoteriche del borgo massone di Rosazza di cui avremmo voluto sapere di più. Si riterrebbe giusto e significativo soffermarsi davanti al ritratto paesaggistico, agli squarci umorosi di vita paesana, alla rievocazione dell’archeologia industriale dell’Ottocento, alla vivacissima rappresentazione di particolari usi e costumi, tra cui il gusto della buona cucina. L’opera, impreziosita in appendice da un corredo fotografico di indubbio valore che fa proseguire il viaggio per immagini, è ben riuscita nell’ottica multimediale e si pone come testimonianza identitaria di bellezze di uno specifico territorio, dove natura e uomo convivono armoniosamente.
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