Febbre all’alba
- Autore: Peter Gardos
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2015
Nel volume “Febbre all’alba” (Bompiani, 2015) titolo originale Hajnali Laz, traduzione di Andrea Renyi) di Péter Gardos, nato a Budapest nel 1948, lo scrittore e regista di film e documentari per il cinema e per la televisione, racconta l’incontro tra i suoi genitori, Mikos e Lili, sopravvissuti ai campi di concentramento tedeschi, la cui storia è diventata un film diretta dallo stesso Gardos.
“La nave con mio padre a bordo attraccò in Svezia in un piovoso giorno estivo. La guerra era finita da tre settimane”
Luglio 1945, la nave che trasportava duecentoventiquattro malati in gravi condizioni provenienti dai lager tedeschi, viaggiava da Lubecca verso Stoccolma. A bordo si trovava l’ebreo Miklòs, venticinquenne giornalista originario di Debrecen, nell’Est dell’Ungheria, malato di tubercolosi e ridotto pelle e ossa. “Tossiva e sputava schiuma insanguinata”. Il capitano della nave, colpito dall’aspetto del giovane con “la pelle grigia tesa sul cranio”, gli si era seduto accanto per dirgli che l’imbarcazione avrebbe sostato cinque minuti a Malmo. Sulla banchina del porto svedese alcune donne, saputo dell’arrivo della nave, aspettavano per consegnare come benvenuto pacchetti contenenti dolci del luogo. Il gusto di vaniglia e lamponi della pasta friabile aveva riportato il socialista e poeta Miklòs a riassaporare il bello della vita. Nell’ospedale di Larbro, un villaggio della regione dell’Isola di Gotland, il giovane giornalista, dopo aver ricevuto dall’Ufficio del registro rifugiati l’elenco di centodiciassette ragazze ungheresi sotto i trent’anni sopravvissute come lui alla Shoah e ricoverate in ospedali temporanei sparsi in tutta la Svezia, scriveva a tutte loro con una calligrafia elegante dalle lettere aggraziate la stessa missiva con l’intenzione di trovare la donna giusta da sposare. Il determinato Miklòs non si era affatto arreso alla diagnosi del dottor Lindholm, che lo aveva condannato a sei mesi di vita, “La malattia sta divorando i suoi polmoni”. Una delle lettere era indirizzata a una certa Lili Reich, dai capelli castani e dagli occhi grigioblù, una diciottenne del campo di Smalandsstenar, la quale si era dedicata allo studio del pianoforte per otto anni. La ragazza, dopo aver letto la lettera, l’aveva messa da parte convinta che il giovanotto l’avesse scambiata per un’altra donna. Lo stesso giorno Lili era rimasta vittima di una colica renale e dal letto dell’ospedale, dove era degente, aveva deciso di rispondere a quell’uomo gentile, anche solo per umanità. Erano state venti le ragazze che avevano risposto a Miklòs, ma il giovane aveva intuito che la prescelta sarebbe stata Lili. La corrispondenza continuò, ma non smetteva la fastidiosa febbre di cui soffriva Miklòs, “trentotto e due, sempre lo stesso ostinato risultato, né più né meno”. Tra i due giovani stava nascendo un sentimento tenero e profondo. Attraverso una narrazione commovente e piena di poesia, Gardos racconta la storia di Miklòs e Lili, i quali dopo essere stati sfiorati dalla morte, vogliono vivere e amare per vincere nei confronti di tutto quel male vissuto ma non subìto.
Peter Gardos, in una recente intervista ha rivelato che le missive sono autentiche.
“Ho inventato molte parti della storia, ma non ho manomesso le lettere. Mio padre aveva un tocco magico con le parole”
Il padre aveva conservato le lettere in una scatola di latta per cinquant’anni, scatola che conteneva anche cartelle cliniche, radiografie, compresa l’infausta diagnosi iniziale di Miklòs e che la madre aveva consegnato al figlio dopo la morte del marito, dicendogli: “Tuo padre mi ha conquistato con le lettere”.
“Febbre all’alba” trasmette il messaggio, sempre valido, che anche nei momenti più difficili la speranza e la volontà devono sempre guidare le nostre azioni.
“Adesso faccio una domanda strana: come va la sua vita amorosa? Finirà per arrabbiarsi con me perché sono tanto indiscreto”
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