Figure. Come funzionano le immagini dal Rinascimento a Instagram
- Autore: Riccardo Falcinelli
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2020
C’è stato un tempo, nella storia dell’umanità, in cui
"La fama di un artista può essere enorme anche se nessuno ha mai visto una sua opera. Non esistono riproduzioni e l’unico modo per conoscere l’arte è viaggiare". (p. 155)
A pensarci con attenzione, sembrerebbe una condizione spiazzante, irreparabile, elitaria. Eppure, nel secolo dei viaggi low cost e delle riproduzioni digitali, non necessariamente avere accesso al patrimonio artistico e amatoriale di tutto il mondo dal proprio display equivale a fruirne con cognizione di causa.
"Dati alla mano […] i visitatori del Metropolitan Museum di New York passano meno di trenta secondi davanti a ciascun quadro. Cosa si vede in trenta secondi? Spiace dirlo: niente. Tuttavia, piú che una colpa, questa sembra una forma di confusione: molte persone, se interrogate, ammettono che non sanno bene cosa devono guardare. Vanno alle mostre spinte da una sincera curiosità ma nessuno spiega loro davvero a cosa dovrebbero stare attente". (p. 473)
Così sostiene non a caso Riccardo Falcinelli, uno dei visual designer italiani più apprezzati al mondo. Di conseguenza, il motivo per cui è nato il suo Figure. Come funzionano le immagini dal Rinascimento a Instagram, edito da Einaudi a ottobre 2020 nella collana Stile Libero Extra, consiste nel tentativo di iniziare a colmare questa lacuna.
A scanso di equivoci, è importante sottolineare che non si tratta di un’opera enciclopedica dal punto di vista dei contenuti o delle correnti, ma di una sapiente interpretazione dall’approccio divulgativo, il cui obiettivo è legato alla comprensione della storia dell’arte non tanto in ottica di significati, quanto di meccanismi. È così che si scopre il rapporto tra una tela e la sua cornice, per esempio, o quello tra il soggetto rappresentato in un quadro e la sua forma geometrica; è così che si capisce la differenza connotativa tra una figura che si sposta da sinistra a destra e una che si muove nella direzione opposta; è così che viene svelata la ragione per cui i ritratti consistono sempre in dei primi piani, anche se nella realtà vedremmo una persona tanto da vicino solo se scegliessimo di baciarla.
Da un focus sul ruolo delle diagonali, del fulcro e di un repoussoir si passa quindi a un’analisi che mette in relazione le nature morte di Giorgio Morandi, la serie di Monet sulla cattedrale di Rouen e La grande onda di Kanagawa di Hokusai, con tutte le differenze tecniche, culturali e intenzionali che ne derivano. E non finisce qui, dal momento che la visione a volo d’uccello dell’autore parte da Giotto e dalla successiva teorizzazione della prospettiva per arrivare a parlare dei meccanismi alla base di fotografia e cinema. Con Leonardo Da Vinci interagisce dunque Steven Spielberg, da Michelangelo si arriva a Hitchcock, mentre le foto di Nick Út precedono solo di poche decine di pagine uno studio delle copertine di "Vogue" o delle storie di Instagram.
Le oltre cinquecento figure a colori presenti nel volume, d’altronde, per una volta non hanno bisogno di un presupposto celebrativo e sacralizzato dell’idea di arte per convivere in maniera armonica e coerente: è sufficiente una struttura di nessi logico-consequenziali in prospettiva diacronica per costruire una storia delle rappresentazioni figurative inclusiva e affascinante, godibile ed eterogenea, in grado di suggerire una guida all’osservazione e alla creazione di contenuti straordinariamente aggiornata. Per di più, la lingua fruibile e priva di barocchismi di Falcinelli, già abituato a tenere lezioni e conferenze per diversi tipi di pubblico, rende il saggio ancora più pregevole, perché accessibile e onesto intellettualmente dai capitoli sulle icone bizantine fino a quelli dedicati a Shining.
In altre parole, Figure è un libro strumentale, una chiave di lettura per comprendere – anche e soprattutto da neofiti – come pensiamo quando creiamo, quanto veniamo influenzati quando invece osserviamo, cosa determina il nostro gusto a nostra insaputa, o quale impatto ha su di noi il contesto socioculturale e filosofico da cui proveniamo. È un’operazione politica, oltre che intellettuale e chiarificatrice – uno vero e proprio spartiacque esperienziale, che segna un prima e un dopo irreversibile sia nell’uso quotidiano di una fotocamera da smartphone sia in un pomeriggio che si sceglie di trascorrere interamente al Louvre.
"È un gioco? Sí. Anche. Ma per imparare a vedere bisogna aver voglia di giocare e di divertirsi. La sfida, insomma, non è diventare tutti storici dell’arte – che è un tipo di specializzazione – ma diventare tutti piú consapevoli di come funzionano questi oggetti visivi che abbiamo intorno, che siano dipinti, film o pubblicità. L’alternativa è non vedere niente. Ritrovarsi a vivere in un mondo che non capiamo davvero e che finiamo per subire". (p. 474)
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