La poesia “apocalittica” di Robert Frost inizia con una profezia letteralmente agghiacciante che non si dimentica: il mondo finirà nel fuoco o nel ghiaccio?
Le parole del grande poeta e drammaturgo inglese appaiono di grande attualità a fronte degli avvenimenti climatici estremi che stiamo vivendo: proprio in questi giorni gli Stati Uniti sono investiti da una tempesta polare che ha portato alcune città ad oltre trenta gradi sotto zero, ma nessuno ha scordato l’ondata di calore senza precedenti dell’estate appena trascorsa e per quella a venire le previsioni sono, se possibile, ancora peggiori.
Dunque, quale sarà la conclusione? Analizziamo la poesia rivelatoria Fuoco e ghiaccio in occasione dell’anniversario della morte del grande poeta e drammaturgo che si spense a Boston il 29 gennaio 1963 in tempi in cui ancora il cambiamento climatico appariva come una minaccia lontana.
Chiariamo subito, di certo l’intenzione di Robert Frost quando scrisse Ice and Fire cent’anni fa, nel 1920, non erano quelle di offrire una panoramica scientifica su una possibile apocalisse imminente: “fuoco” e “ghiaccio” nell’opera di Frost erano simboli, metafore utilizzate per indicare le due forze contrastanti che governano il mondo, ovvero “l’amore” - qui intenso nel senso più stringente di desiderio - e “l’odio.” In un mondo stretto nella morsa terribile delle due guerre mondiali la ragione più probabile di una fine si poteva accostare alla follia umana, alle armi o al delirio di onnipotenza di una nazione contro l’altra. Dunque lo scenario immaginato da Frost era metaforico e ben lontano dal vero, eppure oggi le sue parole assumono una concretezza lacerante: “fuoco” e “ghiaccio”, appaiono davvero un presagio della fine e la sua profezia pare avverarsi, farsi concreta, sotto la spinta di eventi meteo estremi che sembrano prefigurare nuovi scenari.
Fuoco e ghiaccio fu pubblicata per la prima volta sulla rivista Harper’s Magazine, nel dicembre 1920, di recente è stata riproposta dalla casa editrice Adelphi nella raccolta completa delle poesie di Frost intitolata proprio Fuoco e ghiaccio (Adelphi, 2022, a cura di Ottavio Fatica, trad. di Silvia Bre).
Quale fu la risposta di Robert Frost a quel tragico interrogativo, insolitamente melodioso come una ninnananna: “finirà nel ghiaccio il mondo o nel fuoco?”
Vediamone testo , traduzione e analisi.
“Fuoco e ghiaccio” di Robert Frost: testo
Dicono alcuni che finirà nel fuoco
Il mondo; altri, nel ghiaccio.
Del desiderio ho gustato quel poco
Che mi fa scegliere il fuoco.
Ma se dovesse due volte finire,
So pure che cosa è odiare,
E per la distruzione posso dire
Che anche il ghiaccio è terribile
E può bastare.(Traduzione di Giovanni Giudici)
“Fuoco e ghiaccio” di Robert Frost: testo originale inglese
Some say the world will end in fire,
Some say in ice.
From what I’ve tasted of desire
I hold with those who favor fire.
But if it had to perish twice,
I think I know enough of hate
To say that for destruction ice
Is also great
And would suffice.
“Fuoco e ghiaccio” di Robert Frost: analisi e commento
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È una poesia breve e folgorante, cala sulle cose con l’elettricità vibrante di un fulmine pronto a ridurre tutto in cenere. Fuoco e ghiaccio di Robert Frost aleggia con la musicalità melodiosa, sospesa, dei suoi versi in una sorta di atmosfera sulfurea simile alla colata lavica di un vulcano: fa piovere cenere su ogni cosa. Non era tuttavia di eventi estremi che il poeta della contraddittoria modernità americana voleva parlarci, ma del cuore umano. “Fuoco” e “ghiaccio” erano metafore, simboli, utilizzati per rappresentare le forze estreme del desiderio e dell’odio che, in egual misura, conducono l’uomo all’annientamento. Frost voleva indagare, in verità, il valore potenzialmente distruttivo delle emozioni.
Pare che per scrivere Fire and Ice il poeta statunitense si sia ispirato all’Inferno di Dante, nello specifico all’idea di morte e di pena che è racchiusa nell’oscurità del regno delle anime. Nella Divina commedia l’Inferno non è solo il luogo delle fiamme brucianti - come siamo abituati a immaginarlo - ma anche il luogo statico, immobile, della pena e del ghiaccio come dimostra il lago ghiacciato del Cocito, nel nono cerchio, dove sono imprigionati i traditori tra i quali “lo ’mperador del doloroso regno”, ovvero lo stesso Lucifero - simbolo del Male - l’angelo caduto.
Questa dunque fu l’ispirazione per la parte più metaforica della poesia - il conflitto tra male e bene, che probabilmente stava a cuore a Frost nell’epoca a cavallo tra le due grandi guerre; mentre, per quanto riguarda, l’ispirazione scientifica, sembra che il poeta rimase colpito dall’opinione di un astronomo che parlava del possibile spegnimento del sole oppure alla sua implosione. “Fuoco e ghiaccio”, dunque, le due scelte si controbilanciano come due pesi, non esiste una terza alternativa. Frost ci presenta entrambe le soluzioni, giocando su anafora e antitesi “alcuni/altri”, ma lo scenario è cupo, drammatico, senza scampo.
L’autore traspone poi questa idea apocalittica di fine in chiave metaforica, traslitterando il disastro naturale in una sfera più spirituale. Non dimentichiamo che Robert Frost viveva in un’epoca, il Novecento, il cosiddetto “secolo breve”, in cui era l’umanità a creare maggiore danno a sé stessa: il Male più temibile era l’uomo, dunque le pulsioni segrete che si agitano nel cuore umano, fuoco e ghiaccio.
Per Frost le immagini più spaventose e concrete dovevano essere la violenza, l’avidità, la rabbia, la sete di sangue e potere; tutto assume un sinistro colore rosso, accomunando in un’unica tonalità cromatica purpurea “morte e desiderio”. Dunque “fire”: Frost immagina che il mondo finirà nel fuoco, il fuoco delle armi e delle esplosioni che aveva visto con i suoi occhi, ma anche il fuoco inestinguibile del desiderio che lui stesso aveva sentito bruciare ardente e vitale nelle proprie vene.
Eppure la poesia prosegue, dopo aver analizzato la conclusione più plausibile - una folgorante esplosione? Una bomba? Lo spettro del nucleare? - ecco che propone anche lo scenario successivo, mostrandoci che il ghiaccio non è meno letale o terribile del fuoco. Isolamento, terrore, gelo, questa la prospettiva di una temibile glaciazione o, metaforicamente parlando, delle sensazioni paralizzanti trasmesse dall’odio e dalla totale indifferenza al cuore umano. La poesia di Robert Frost si conclude cullando il lettore come una ninnananna - a lullaby - e in quel sonno cui invita con le liquide allitterazioni delle sillabe c’è un presagio di morte, ma anche di disillusione estrema.
“Anche il ghiaccio è terribile, e può bastare.”
“And would suffice”, conclude Frost con il tono di un uomo rassegnato alla prospettiva di una fine inevitabile, che forse presentiva vicina a causa della guerra.
Di certo non poteva immaginare che in un futuro per lui remoto gli uomini del XXI secolo avrebbero letto la sua poesia come una plausibile “ipotesi del vero”: finirà nel fuoco il mondo o nel ghiaccio? L’eco di queste parole assume un’inquietante evidenza dinnanzi agli scenari che stiamo vivendo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Fuoco e ghiaccio” di Robert Frost: la poesia sulla fine del mondo
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