Nel luglio 1844 una pesante carrozza arriva a Genova. Al suo interno ci sono viaggiatori speciali: Charles Dickens e la sua famiglia. Sono venuti per restare e programmano una permanenza di mesi.
In Italia il celebre scrittore cerca sole e riposo. Troverà un meteo non sempre favorevole, stando ai suoi appunti. E un paese che gli riserva continue sorprese, spesso non proprio gradite come l’incuria dei luoghi e la povertà dei sobborghi. Ma è un uomo che non si scoraggia come lui stesso dice nelle Impressioni italiane (Robin, 2005, trad. C.M. Messina), un diario di viaggio singolare e molto in linea con il carattere dell’autore.
Armato della sua fine ironia annota dettagli, cede al fascino della novità e sorride spesso, offrendo un punto di vista originale anche ai visitatori contemporanei.
A Genova stabilisce il suo quartier generale da cui parte per visitare il resto del paese. A quella permanenza durata 12 mesi dedica un lungo capitolo, frasi appassionate e un tributo sincero ma affettuosissimo.
Io non sospettavo neanche, in quel giorno, che avrei dovuto in seguito prendere affezione persino alle pietre delle vie di Genova, e che nel lasciarla mi sarei poi tante volte voltato indietro con un senso di affetto, pel ricordo di tante ore di felicità e di pace godute in essa!
Le prime impressioni di Charles Dickens a Genova
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A Genova i Dickens arrivano per via mare, in battello da Marsiglia, dopo aver toccato Nizza. E l’impressione è folgorante:
Un poco prima delle tre Genova si mostrò alla vista, e da quel punto il nostro sguardo non si staccò più da quello splendido anfiteatro, che andava mano a mano spiegandosi, mostrando terrazzi su terrazzi, giardini su giardini, palazzi su palazzi e alture dietro alture. Finalmente entrammo nel maestoso porto.
La città vista da vicino è tutt’altra cosa però. La famiglia ha affittato una casa ad Albaro, in via San Nazaro: villa Bagnarello che Dickens definisce la Prigione rossa
trovasi in una delle più splendide situazioni che si possano immaginare. La nobile baia di Genova e l’azzurro Mediterraneo si spiegano lì subito allo sguardo.
La famiglia all’arrivo incorre nei classici disagi dei viaggiatori alle prese con alloggi non proprio soddisfacenti e usanze straniere:
La vista, come vi ho detto, è incantevole; ma durante il giorno dobbiamo tenere chiuse le persiane, se no il sole ci farebbe diventar matti; e quando il sole è tramontato dobbiamo chiudere del tutto le imposte altrimenti le zanzare potrebbero spingerci persino al suicidio.
La casa è abitata da un bestiario vario: mosche, topi, gatti, lucertole, rane e pulci.
Le pulci, di una grossezza prodigiosa, formano un esercito, e hanno fatto una tale invasione nella rimessa, che io mi aspetto di vedere, un giorno o l’altro, la carrozza andarsene, tirata da miriadi di queste ingegnose bestioline, coi finimenti e tutto.
Va meglio nella casa dove i Dickens si trasferiscono dopo tre mesi: villa delle Peschiere, in via San Bartolomeo degli Armeni.
Sorge questo palazzo su un’altura, posta dentro la cerchia della città, ma alquanto staccata da essa, in mezzo ad ameni giardini di sua pertinenza, adorni di statue, vasi, fontane, vasche di marmo, terrazzi, viali di piante d’aranci e di limoni, alternati con cespugli di rose e di camelie.
Genova, i vicoli stretti e via Nuova
A colpire la fantasia di Charles Dickens sono i vicoli. Il sistema viario è antiquato e stretto.
Si arriva a questo cantuccio di mondo passando per stradicciuole tanto strette, che quando noi arrivammo alla Dogana, vi trovammo delle persone che prendevano la misura di una di esse, la più stretta, e poi misuravano la carrozza, (il tutto con grande serietà, come fosse una cerimonia), intanto che noi eravamo lì attoniti a guardarli, tenendo il fiato.
La strada è larga quanto occorre per passare. Ma Dickens non manca di riportare un aneddoto riguardante una turista meno fortunata. La vecchia signora restò infatti imprigionata nella sua carrozza conficcatasi dentro un vicolo e dovette sottomettersi all’indegnità di essere tirata fuori per le braccia su di un vicino balconcino, come una marionetta.
Dickens è un viaggiatore vero. Entra nei cortili, sosta nei palazzi abbandonati, si fa sorprendere dalle atmosfere dei luoghi e spaventare da un grosso gatto randagio che sembra incarnare lo spirito tutelare del posto. Percorre i sentieri approfittando appieno del piacere di smarrirsi e poi ritrovarsi che ogni visitatore ben conosce. La città è una magia di contraddizioni e sorprese. Gli uomini che giocano a bocce dimostrando una bravura veramente singolare e alla Morra per le strade. L’eleganze delle donne con i veli bianchi in capo, le portantine precedute di sera da servi con le lanterne accese. Il teatro Carlo Felice ampio, ben disposto e splendidissimo, le rappresentazioni all’aperto e gli spettacoli delle marionette di una celebre compagnia venuta da Milano. E i Rolli, i palazzi di Genova:
Io non potrò mai dimenticare l’impressione che mi fece la vista delle due vie dei palazzi, la strada Nuova e la strada Balbi! E specialmente la prima, che io vidi per la prima volta in uno splendido giorno d’estate, sotto un cielo del più vivo e intenso azzurro, al quale la doppia e lunga fila di quei maestosi edifizi, restringendosi man mano verso lo sfondo, dava la forma di un cono abbagliante, che contrastava vivamente coll’ombra diffusa giù abbasso nella via!
Dickens, le chiese e la banda stonata
Lo scrittore assiste alle celebrazioni sacre. Quella in onore di San Nazaro con la chiesa ornata, i ceri accesi e, naturalmente, l’accompagnamento musicale.
L’organo suonava festosamente, e una banda musicale gli rispondeva; un maestro concertatore, su di una piccola cantoria di fronte alla banda, pestava incessantemente sul suo leggio con un rotolo di carta, e un tenore cantava con un filo di voce. Ma la banda suonava con un tempo, e l’organo con un altro, e il disgraziato maestro batteva e ribatteva il suo rotolo con un’altra cadenza sua propria, mostrando nulladimeno una piena soddisfazione pel suo concerto. Io non avevo mai inteso un sì scordato e assordante frastuono.
E poi ci sono le campane, croce e delizia del turista:
Le campane delle chiese suonano incessantemente, ma non in concerto o altra forma regolare di scampanio, bensì in un modo furioso, con un continuo e orribile: dingle, dingle, dingle, arrestandosi ad ogni quindicesimo tocco all’incirca, che gli è cosa da diventarne matti
Charles Dickens i cibi e il vino italiano
In omaggio alla sua fama di buongustaio il celebre scrittore suggerisce al visitatore di osservare qualche modello delle vere osterie genovesi ed assaggiare i prodotti locali di cui fa un’ampia rassegna:
Taglierini, ravioli, salami fortemente agliati, affettati e serviti insieme a fichi freschi, creste di polli e rognoni di pecora fatti in cibreo, con pezzetti di fegato e di carne di montone, polpettine fatte con certe misteriose parti del vitello, cotte e servite in un gran piatto.
E poi i vini di Francia, di Spagna e di Portogallo portati qui da capitani di piccolo corso che ne fanno commercio con i loro piccoli velieri.
Gli bastano due mesi per affezionarsi.
Quelle ombre che m’erano apparse come un sogno ingrato al mio arrivo, s’erano a poco a poco cangiate in realtà ed oggetti famigliari; ed io già incominciavo a pensare che quando, di lì a un anno, sarebbe venuto il tempo di chiudere la mia lunga vacanza e di ritornare in Inghilterra, mi sarei partito da Genova a gran malincuore.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Visitare Genova in compagnia di Charles Dickens
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