Da bambina Gesù mi accompagnava nell’agire quotidiano. “Gesù non vuole”, diceva mia nonna, e io provavo dentro di me un profondo senso di colpa che poi confessavo la domenica prima della messa, dove andavo a celebrare il sacrificio di chi si era immolato sulla croce per riscattare i peccati di tutti i peccatori del mondo.
Aver letto il Gesù di Vito Mancuso ne I quattro maestri a un’età in cui ormai ho sospeso il giudizio su di esso, rimasto vivo solo nei momenti corrispondenti al Natale e alla Pasqua, mi ha consentito di conoscerlo nei suoi risvolti umani e mortali e di aver imparato a distinguere il Cristo da quel Gesù storico che pensavo di conoscere.
I quattro maestri
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Chi crede che incontrare Gesù non sia per nulla difficile perché è sufficiente prendere in mano i Vangeli e leggerli deve ricredersi, perché le fonti evangeliche divergono tra loro, a volte in modo così notevole da generare contraddizioni. Lo stesso Ratzinger, quando si trovò di fronte a uno dei problemi più spinosi della storia di Gesù (quello della responsabilità della sua morte), fu costretto a prendere atto che gli evangelisti hanno tesi diverse e che una di esse “sicuramente non esprime un fatto storico”.
È quindi più che legittimo che nella mente si profili un dubbio: se il brano in questione di Matteo “sicuramente non è storico”, perché dovrebbero esserlo tutti gli altri? Non resta che concludere ribadendo quella che la più seria esegesi insegna ormai da tempo: la netta differenza tra narrazione evangelica e vita reale.
Dire differenza non significa opposizione nel senso che la narrazione evangelica sia totalmente falsa, ma significa che dobbiamo aver fiducia in ciascun evangelista nel narrare la figura di Gesù, simbolo della libertà cui è chiamato ogni cristiano nel viverne il messaggio.
Chi era Gesù?
Cosa è stato Gesù nella sua valenza storica e spirituale? Dopo aver sostenuto che Socrate è stato un educatore dell’anima, il Buddha un medico della sofferenza umana, Confucio un politico architetto della convivenza umana, come possiamo definire Gesù? Tra le numerose risposte, quattro se ne impongono: un fondatore religioso, un rivoluzionario, un saggio e filosofo itinerante, un ebreo osservante e radicale.
Il fondatore del cristianesimo
La più diffusa modalità interpretativa e la più seguita ancora oggi presenta Gesù come fondatore di una nuova religione, anzi “la” nuova e definitiva religione dell’umanità” destinata a portare a compimento le promesse divine rivolte al popolo eletto di Israele estendendole a tutti i popoli della terra.
Gesù con la sua predicazione è il fondatore del cristianesimo (il cui rito centrale avrebbe reso presente col suo stesso corpo) e di un’istituzione che l’avrebbe rappresentato integralmente: la Chiesa con le sue gerarchie, dottrine, riti e sacramenti.
Questa linea interpretativa fu consacrata dal vangelo di Matteo. Ma tale collegamento tra Gesù e Chiesa è discontinuo: per Gesù il centro dell’annuncio della Chiesa era la venuta imminente del regno di Dio, per la Chiesa è Gesù stesso, nella sua morte redentrice, resurrezione e nuova venuta (come recita la liturgia della Messa “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”).
Un leader politico carismatico
Che Gesù fosse un leader politico carismatico e il cui obiettivo fosse quello di liberare la patria dall’oppressione straniera è innegabile. Per un certo periodo questo lo portò a esercitare un grande ascendente sulle folle, giungendo a preoccupare il potere che lo eliminò.
Ciò che a lui stava veramente a cuore era l’indipendenza politica del suo popolo: quando diceva regno intendeva il regno terreno di Israele che presto, grazie a lui, sarebbe tornato libero. Questo obiettivo squisitamente politico fu la causa che lo portò a essere condannato dal potere romano alla pena capitale mediante crocifissione.
Se poi consideriamo che nella sua cerchia di discepoli ci fossero degli zeloti, appartenenti a un movimento politico attivo nella lotta armata per l’indipendenza politica di Israele, che oggi definiremmo terroristi, non possiamo non capire perché Erode Antipa, vassallo di Roma, riservasse a Gesù lo stesso trattamento che aveva riservato a Giovanni Battista, suo grande oppositore che aveva fatto decapitare.
Un saggio maestro di virtù
La terza interpretazione rappresenta Gesù come un saggio, un maestro di vita e di virtù, e risale a partire dall’Illuminismo. Secondo Voltaire egli “non predicò altro che la morale”, secondo Kant fu una manifestazione dell’ideale del Bene, secondo Hegel Gesù si appellava al giudice interno, alla coscienza.
Un ebreo radicale
Gesù però è ben lontano dal poter essere accostato alla filosofia perché privo di una caratteristica essenziale che fa di un essere umano un filosofo, vale a dire la totale indipendenza intellettuale; Gesù legava il suo io all’interpretazione della volontà di Dio a cui rimandava insistentemente: per lui l’obbedienza fu sempre il criterio essenziale.
Gesù è semmai l’opposto di un filosofo, la forma mentis teoretica atemporale gli era estranea, a lui interessavano i cosiddetti “segni dei tempi” e fu proprio in questo esercizio che giunse alla convinzione fondamentale del suo pensiero: la venuta imminente del regno di Dio.
Oggi è più diffusa la quarta interpretazione che lo pone all’interno della tradizione ebraica non solo dal punto di vista teologico-spirituale, ma anche perché essendo nato da madre ebrea fu un vero ebreo, soprattutto per la sua fedele adesione all’ebraismo. Nello stesso tempo il Mancuso ne riconosce una discontinuità decisiva che si basa su tre argomenti:
- La venuta del regno di Dio;
- L’interpretazione della Torah;
- Il ruolo di Israele.
Gesù fu discontinuo rispetto all’ebraismo perché annunciava che il Regno di Dio arrivava ora, con lui; anzi almeno in parte era già arrivato.
Per quanto riguarda l’interpretazione della Torah, a differenza dei fedeli ortodossi, giunse a trasgredirla superandola in rigore, quando in materia di etica sessuale Gesù estese il peccato di adulterio e negò la legittimità del divorzio.
Un profeta
Nessuna delle quattro interpretazioni - continua Vito Mancuso - coglie Gesù nella sua peculiarità, egli è piuttosto un profeta e in quanto tale parlava nel nome di Dio, come indica il termine che significa “colui che parla al posto di” e fu un profeta il cui messaggio aveva una forte connotazione politica: Gesù annunciava un mondo che sarebbe presto diventato “dominio di Dio”.
Gesù interpretò se stesso come latore di un messaggio, come un messaggero, esattamente come la più tipica autocomprensione che caratterizza la figura del profeta.
A differenza di tutti i fondatori di religioni (da Mosè a Maometto a Buddha) a lui premevano gli uomini e le donne di questo mondo e in questo senso era analogo ad un politico, ma il rinnovamento annunciato non sarebbe scaturito dalla lotta degli esseri umani e dalla loro progressiva educazione, bensì era di tipo apocalittico, in quanto sarebbe arrivato da Dio e per questo ultimativo, escatologico.
Gesù era un profeta escatologico-apocalittico con doti taumaturgiche: era rapito dall’Altrove e per questo conduceva e ancora oggi conduce chi lo segue altrove.
L’opera di Mancuso procede analizzando le fonti che trattano l’effettiva esistenza storica di Gesù dai quattro vangeli canonici a quelli apocrifi: la sua nascita leggendaria, l’infanzia, la professione, la vita pubblica, l’affettività, il rapporto con Maria Maddalena; per poi passare ai miracoli e alla sua morte raccontata dai Vangeli con diverse contraddizioni.
Affascinante la storia del quarto maestro che Vito Mancuso ci presenta con il suo stile narrativo garbato che non suggerisce alcun intento scandalistico al lettore credente, che, anzi, potrà cogliere l’occasione di accostarsi al suo dio-uomo riscoprendolo nella sua piena umanità.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il Gesù di Vito Mancuso nel libro I quattro maestri
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