Giro d’Italia
- Autore: Beppe Conti
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2023
Un libro di ciclismo, che racconta i segreti dello sport del pedale, non può non portare nuovi contributi sul caso Pantani. È Beppe Conti a rivelare un pezzo di verità su Campiglio, “quando cacciarono dal Giro che già aveva vinto” il più grande scalatore italiano di tutti i tempi e campione tra i più amati delle due ruote nazionali.
Il recente lavoro del noto giornalista sportivo, Giro d’Italia, è apparso alla vigilia dell’edizione 106 della corsa rosa, pubblicato dalle edizioni Diarkos di Santarcangelo di Rimini (aprile 2023, 254 pagine).
Il “Pirata di Cesenatico” entra di diritto in un testo di sfide epiche, di “salite ardite”, di discese pericolose, qualche scorciatoia e sempre tanta fatica, edito da una casa editrice romagnola.
Del Marco nazionale è stato testimone e narratore il settantaduenne giornalista torinese, cronista sportivo al debutto mezzo secolo fa nella Gazzetta dello Sport, cantore per Tuttosport del ciclismo italiano e mondiale ed ora opinionista a Rai Sport. Gli appassionati lo conoscono come presenza fissa nelle dirette delle tappe del Giro e soprattutto nei talk show di approfondimento, sul palco, dopo gli arrivi.
Al caso Pantani sembra doveroso premettere, su ispirazione proprio di Conti, che per la quantità e la serietà dei controlli antidoping oggi lo sport della bicicletta va considerato tra i più ”puliti”, rispetto alle annate avvilenti a cavallo degli anni Duemila, con Armstrong davanti a tutti. Il doping è una piaga di tante discipline sportive, non certo e soltanto del ciclismo, non sono pochi a ricorrere a risorse antisportive, falsando i risultati con l’aiuto fraudolento della chimica, della farmaceutica, della tecnologia ed ora perfino dalla genetica (atlete transgender stravincono nelle categorie femminili).
Il Pirata ha cominciato a morire da quella mattina del 5 giugno 1999 e sono state avanzate tante ipotesi, anche fantasiose e improponibili, alle quali Conti dice di non avere “mai creduto”: complotto, scommesse clandestine, camorra, deplasmazione del sangue.
A Pantani venne riscontrato un ematocrito alto, superiore al valore convenzionale 50, nel controllo ematico introdotto dall’Unione ciclistica internazionale (Uci) per limitare l’assunzione di eritropoietina (Epo), ormone che altera il rendimento di un atleta, favorendo l’ossigenazione del sangue. Marco quindi non era stato “beccato”, non erano state riscontrate sostanze dopanti nel sangue, andava però fermato per precauzione, perchè l’ematocrito fuori soglia è indice di un sangue più denso, che impegna eccessivamente l’attività cardiaca. Nessuna squalifica, soltanto quindici giorni di sospensione, prima del rientro nelle competizioni.
A Campiglio, esperti disinteressati attribuirono i valori fuori norma di Pantani allo strumento usato dai controllori, il Coulter Act 8. Tarato male, stava dando valori troppo diversi da quelli verificati dai corridori, che controllavano a loro volta l’ematocrito con la Centrifuga, un’altra macchinetta.
Il fuoriclasse romagnolo era tranquillo, avendo testato la sera prima un valore nella norma, 48,4, poi confermato dagli esami ripetuti nell’Ospedale Santa Maria della Scaletta di Imola, nove ore dopo.
Nella sua ricostruzione del KO tecnologico, Beppe Conti si basa sugli studi di un ricercatore in biochimica, Dario Corsi, che hanno dimostrato l’inadeguatezza dell’apparecchio degli accertatori, approvato dall’UCI solo perché portatile e poco costoso.
Era come prendere i tempi nella discesa libera con una sveglia. Oltretutto, per l’eccessivo range di tolleranza dello strumento (10 punti) l’ematocrito di Pantani avrebbe potuto essere 46 o 54. Cacciarlo dal Giro è stata una follia.
Che destino ingrato, povero Marco!
escluso dalla corsa da un esame inattendibile: già dalla stagione successiva l’UCI decise di comparare all’ematocrito anche i valori dell’emoglobina del sangue, per non avere dubbi sull’eventuale uso di Epo. E a Campiglio l’emoglobina di Pantani era nella norma.
Un destino ingrato, amaro, pazzesco.
Il povero Marco si perse, entrando in un vortice, nel tunnel micidiale e mortale della cocaina.
Mi sono rialzato da tante disgrazie, da incidenti tremendi, ma questa volta non mi rialzerò più.
È un mistero doloroso quello del Pirata, tra i tanti retroscena del Giro, storie a tinte forti, tanti aspetti a volte divertenti e perfino boccacceschi di un’avventura italiana nata con il Novecento e che continua ad affascinare nel terzo Millennio. Conti racconta le imprese, le vittorie, gli smacchi. Muove dal ciclismo delle tappe che partivano di notte e finivano col buio e arriva ai successi di Antonio Nibali, che avrebbe meritato il tris, sottratto di una crono finale insolitamente breve nel 2019.
C’è tanto e sono in tanti, noti e meno noti, in questo libro corale. C’è il sesso, o meglio l’astinenza, tributo obbligato pur di vincere, ossessione di tutti nei decenni lontani, con i risvolti tragicomici di cui scrive Beppe.
E, a proposito di sesso ma per un semplice discorso di genere, ecco Alfonsina Strada (1891-1959), unica ciclista rosa di sempre per la Corsa rosa, un solo Giro nel 1924, con grande dignità agonistica e sportiva. Pedalava generosamente da tempo e non arrivava sempre ultima, gli organizzatori la inserirono a sorpresa, come curiosità per fare dimenticare grandi assenti.
Ringraziamo Beppe per il ricordo dei quattro ciclisti morti durante la corsa: il veneto Orfeo Ponsin nel 1952, lo spagnolo Santistefan nel 1976, Emilio Ravasio nel 1986, il belga Weyland nel 2011. Scivolate in discesa, traumi mortali e per il brianzolo una caduta di gruppo nel finale della prima tappa.
Assurdo morire per una corsa in bicicletta. Il Giro li ha rimpianti sinceramente, ma dopo le lacrime non si è fermato.
Il ciclismo è come la vita: lo spettacolo della fatica non può che continuare...
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