Guerra sul fronte orientale: 6 aprile 1942-12 maggio 1943. Il diario del sergente granatiere Mario Piccinin
- Autore: Edoardo Grassia
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mursia
- Anno di pubblicazione: 2022
Quando il sergente Piccinin tornò a Roma dalla Russia, provatissimo, a metà del 1943, la figlioletta non lo riconobbe, abituata all’unica immagine del padre conservata fino ad allora. La piccola Sofia disse alla mamma di cacciare “quel signore”, ma è grazie alla cura amorevole con cui da adulta ha custodito gli appunti paterni che Edoardo Grassia ha potuto pubblicarli, come documento storico e umano della tragedia nella steppa, del prima e del dopo la spedizione sul fronte russo, infausta per tanti italiani e tante famiglie.
Sono testimonianze che si possono leggere nel volume Guerra sul fronte orientale: 6 aprile 1942-12 maggio 1943. Il diario del sergente granatiere Mario Piccinin, edito nel 2022 da Mursia (collana “Testimonianze tra cronaca e storia”, 206 pagine).
Edoardo Grassia è un validissimo ricercatore, laureato con lode in Sociologia nel 2008 alla Sapienza di Roma con una tesi sul bombardamento aereo, in particolare dell’“Aviazione Legionaria in Spagna nel 1936-1939”. Nello stesso ateneo, ha discusso nel 2014 la tesi per la laurea sempre con lode in Storia medievale, moderna e contemporanea, argomento la “Fascistizzazione maggiore o minore degli alti ufficiali della Regia Aeronautica”. Nel 2018 ha conseguito il dottorato in Storia dell’Europa, approfondendo le crociere di Italo Balbo e verificando il peso propagandistico dei voli di massa dell’aviazione italiana tra il 1928 e il 1933. Ha poi completato gli studi di alta formazione in archivistica. L’intero curriculum formativo giustifica i contenuti delle cinque pubblicazioni dal 2009 (quattro per i tipi Mursia), compresa l’attuale, che lo studioso romano riconosce di dovere alla signora Sofia Piccinin.
La figlia ha custodito il diario del padre e poi ha voluto rendere pubblico il prezioso documento privato. Questo ha consentito, a quasi ottant’anni dagli avvenimenti descritti, di aggiungere “un importante tassello alla conoscenza storica” dell’intervento militare italiano sul fronte orientale, per la tenacia del sergente Mario Piccinin nello scrivere quasi ogni giorno e in condizioni di grande difficoltà.
La signora Sofia ricordava che da piccolina aveva imparato a conoscere il padre da una foto sul comodino. Era arrivata dalla Russia ed è riprodotta in copertina, un Mario a mezzo busto, capelli rasati, lunghi baffi, una bustina militare in testa e un pesante cappotto indosso, con le mostrine dei granatieri. Dopo il lungo viaggio di ritorno dalla steppa, si presentò a casa in licenza dal reparto stanziato a Viterbo, quasi un anno dopo l’ultima volta che aveva potuto abbracciare la moglie Elena e la bambina. Sofia era molto piccola e l’immagine incorniciata che aveva osservato tutti i giorni non somigliava affatto a quel “signore” entrato in casa. Il papà quindi comprese quanto gli undici mesi trascorsi sul fronte russo lo avessero segnato profondamente nell’animo e nel fisico.
Non accade solo a Mario Piccinin e alla sua famiglia: essere riconosciuti a stento accomunò molti dei pochi militari italiani tornati dalla ritirata di Russia, con indosso divise logore e spesso arrangiate con effetti anche di eserciti stranieri, a ulteriore testimonianza di un’esperienza umana e militare devastante.
Questa confusa realtà esteriore finì per avere un riscontro in ciò che ciascuno di loro portò dentro di sé. Fu necessario un auto riconoscimento, rapido se possibile, prima di poter affrontare la riconquista di una identità sociale e la ricostruzione di un complessivo riconoscimento familiare; essere figli, mariti padri di genitori, mogli e figli.
Perché anche i familiari avevano vissuto mesi di terribili preoccupazioni, nella lunga attesa e con la costante, devastante, incertezza sul futuro dei loro cari e loro. Grassia spiega che il problema di riacquistare un’identità non si limitò alle mura domestiche. Dopo la drammatica ritirata e la guerra, il reinserimento sociale si scontrò con la linea politica postbellica italiana che fece ricadere sui reduci le responsabilità delle condizioni in cui si trovava il Paese, bollandoli come “fascisti”. Governo e società civile stentarono a ricongiungersi con chi aveva combattuto, senza convinzione e soprattutto sofferto.
Mario riportò pochi oggetti dalla Russia: gamella, cucchiaio, forchetta, coltello, con incisi la scritta Regio Esercito e soprattutto il suo diario.
Il curatore osserva che il contenuto apre scenari importanti di conoscenza storica e personale. Una calligrafia chiara, pulita, ben leggibile, a eccezione dei difficili nomi delle località russe, spesso scritte come sentite pronunciare. A tratti però si modifica, si fa più allungata, più veloce, a imprimere “maggiore forza al senso di ansia e di paura trasmesso dal racconto”.
In quello che Piccinin ha voluto documentare giornalmente, per riportarlo chissà quando a casa, non c’è il racconto della guerra: mancano la sofferenza, la morte, gli stenti, il panico. Non figurano corpi congelati, dilaniati o mutilati. Sembrerebbe non volesse riportare particolari atrocità viste o vissute. Nel suo essere spesso telegrafico, “la tragedia umana della spedizione militare traspare chiaramente” da veloci indicazioni sulla temperatura, il clima, gli spostamenti in prima linea, l’attesa di ricevere ordini di ritirata.
In appendice, in luogo della consueta documentazione fotografica, Grassia ha ritenuto di riprodurre alcune pagine del taccuino, in cui il sergente ha descritto quell’anno di esperienza sul fronte russo.
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