I sette messaggeri
- Autore: Dino Buzzati
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2018
La percezione della realtà circostante è uno degli aspetti più interessanti da prendere in considerazione nella letteratura, ma anche nella vita di tutti i giorni, e sul quale è interessante soffermarsi a riflettere. Tra i compiti principali che uno scrittore deve assolvere per essere considerato tale, c’è anche quello di saper descrivere il proprio modo di percepire l’esistenza umana con uno stile personale, con chiarezza espressiva e originalità. Dino Buzzati è certamente un autore che ha saputo coniugare magistralmente l’esigenza interiore della scrittura e dell’arte più in generale, essendo anche un pittore, con la capacita di condividere la sua visione del mondo con i lettori attraverso le opere che ci ha lasciato, rimanendo estraneo a logiche meramente commerciali e mantenendo sempre una grande onestà intellettuale.
I sette messaggeri (Mondadori, 2018) è la prima raccolta di racconti scritta dal grande scrittore bellunese, pubblicata nel 1942 e composta da diciannove racconti, alcuni dei quali confluiti in seguito anche in Sessanta racconti e ne La boutique del mistero. In tale raccolta emergono subito alcuni dei tratti caratteristici dell’opera di Buzzati, presenti anche in altri suoi romanzi e racconti della maturità e che rappresentano un’occasione preziosa per accostarsi per la prima volta alla lettura di questo autore per quanti non l’avessero ancora fatto.
Tra le caratteristiche che li accomunano ci sono: il passaggio inesorabile del tempo; il pensiero della morte, che, specialmente in alcune fasi della vita, diventa ricorrente nell’essere umano, dando al tempo stesso senso, ma anche l’impressione talvolta che la nostra esistenza ne sia priva; la curiosità per l’ignoto, inteso sia come luogo geografico, ma anche dell’anima. Nell’universo narrato da Dino Buzzati i personaggi sono sempre italiani che conducono un’esistenza normale, cioè in linea con quelle che sono le caratteristiche socio-culturali del loro tempo, che si differenziano tra loro solo a volte per la condizione economica, ma che incarnano quelli che sono pregi e difetti dell’uomo contemporaneo e per questo sempre di straordinaria attualità.
Leggendo questi bei racconti c’è il rischio di cadere nella tentazione di ritenere che essi siano improntati al pessimismo, ma tale interpretazione è decisamente troppo limitativa, in quanto la dimensione spirituale della quale sono permeati conferisce a essi una straordinaria vitalità, quasi come se l’autore volesse dirci che la vita è più forte della morte, anche quando assume una forma diversa.
Troppo spesso la critica ha sottovalutato nelle opere di Dino Buzzati una componente soprannaturale che implica, se non un’autentica ammissione di fede in una religione rivelata, almeno certamente una forte sensibilità spirituale e un’aspirazione all’eternità che impreziosisce la sua narrazione, rendendola straordinaria con la sua profondità di sguardo, la sua chiarezza espressiva e l’intensa emozione che tiene viva l’attenzione del lettore.
Dino Buzzati è uno scrittore di un’attualità talvolta sorprendente, come lo sono tutti coloro che sono da annoverare tra i classici della letteratura. Egli infatti è stato capace di anticipare questioni, fenomeni e temi che ancora troviamo nelle pagine dei giornali, nel dibattito televisivo nell’ambito dell’informazione e che sono oggetto di confronto su internet attraverso i social network e i forum. Tutto questo perché Dino Buzzati era troppo avanti nella visione del mondo rispetto ai suoi contemporanei e per questo non sempre del tutto compreso, considerato e apprezzato in vita.
Il suo maggior consenso di pubblico, pur ottenendo numerosi premi e riconoscimenti tra i quali lo Strega nel 1958 per la raccolta Sessanta racconti, lo ha ottenuto dopo la sua scomparsa avvenuta a Milano, sua città d’adozione dove ha vissuto gran parte della sua vita, il 28 gennaio del 1972.
La spiegazione è abbastanza semplice: nelle sue opere si possono facilmente riscontrare elementi di grande modernità, nei quali spesso può identificarsi meglio l’uomo dei nostri giorni, anche di questo secondo Millennio o comunque degli ultimissimi anni del Novecento, piuttosto che quello degli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta, cioè di quelli nei quali si colloca la maggior parte della produzione letteraria di Buzzati.
Il suo scarso interesse per le correnti letterarie, per l’ideologia politica della quale non è mai rimasto prigioniero a differenza di molti scrittori suoi contemporanei e per la vita mondana, lo rendono diverso da molti autori italiani del Novecento, tanto da essere accostato da gran parte della critica più a Kafka, Borges, Hoffmann e Poe, che certamente egli ben conosceva per aver letto diversi loro libri, che non a suoi connazionali. In effetti l’elemento grottesco, unito a quello misterioso e fantastico, lo rende unico nel panorama letterario, anche perché in realtà è praticamente impossibile collocare i suoi libri in un solo genere. Lo stile stesso di Buzzati può essere molto raffinato, ricco di vocaboli ricercati e caratterizzato da una descrizione minuziosa di ogni singolo dettaglio caratteristico dei grandi scrittori del Novecento, con proprietà di linguaggio e utilizzo anche di termini specifici legati all’ambito narrato nei suoi testi, ma può diventare anche all’interno del medesimo racconto più informale e colloquiale, laddove Buzzati lo ritiene necessario per rendere la narrazione più consona, efficace e fluida in determinati passaggi.
Nato a Belluno, in località S. Pellegrino, il 16 ottobre del 1906, da Giulio Cesare, importante giurista bellunese di famiglia di lontanissime origini ungheresi e scomparso nel 1920, quando il futuro scrittore aveva soltanto quattordici anni, e da Alba Mantovani, veneziana che aveva avuto un padre medico e una madre di famiglia nobile, Dino Buzzati Traverso, terzogenito di quattro figli, ha vissuto un’esistenza abbastanza lineare, anche se intensa, tra servizio militare con missioni anche all’estero durante la Seconda guerra mondiale, la passione per l’alpinismo con numerose escursioni compiute con amici nella zona delle Dolomiti bellunesi, quella per la pittura e naturalmente quella per la scrittura, prima come giornalista e poi in seguito come narratore.
Proprio il lavoro come inviato cronista, in seguito come corrispondente anche dall’estero e quello di redattore svolto per tanti anni a "Il Corriere della Sera", giornale che di fatto non ha mai abbandonato, ha influenzato la sua vita ed è stato per lui fonte di ispirazione per molti suoi racconti, insieme al tanto tempo trascorso durante l’infanzia e la prima giovinezza nella villa proprio a S. Pellegrino e nella biblioteca di famiglia.
La sua straordinaria fantasia che pur se densa di simbolismo nasce partendo sempre da elementi della vita reale, come d’altronde anche i suoi personaggi, pur dando spesso loro nomi e cognomi inventati ma assolutamente verosimili, come perfette sono le descrizioni dei luoghi veri o immaginati che siano, trova forse nelle sue raccolte di racconti la massima espressione, toccando vette di assoluta grandezza.
I sette messaggeri, pubblicato come detto per la prima volta nel 1942 e da Mondadori nel 1984, con una recente ristampa dell’opera annoverata tra gli Oscar moderni nel 2018 impreziosita dalla bella introduzione di Fausto Gianfranceschi, è certamente un esempio virtuoso in tal senso e diverse sono le storie, delle diciannove che compongono la raccolta, davvero da ricordare.
Tra di esse c’è L’uccisione del drago, che narra le vicende di un gruppo di cacciatori che decide di organizzare una battuta di caccia alla ricerca di un misterioso drago che vive in uno sperduto paesino italiano di montagna, unico superstite della sua specie. Un drago classico con tanto di fauci dalle quali esce un fumo irrespirabile per l’essere umano, che si nasconde in una caverna e che tutti gli abitanti della zona temono, che solo tale gruppo di cacciatori capeggiati da un nobile, un conte per la precisione, osa affrontare, ma che in realtà sembra vecchio e praticamente innocuo se non provocato. In tale racconto è evidente la metafora tra il progresso tecnologico incarnato dall’uomo moderno incapace di accettare la presenza della natura nelle sue forme selvagge, arcaiche e misteriose incarnate dal drago, simbolo di un passato ricco di tradizioni, ma che sembra non trovare più spazio di fronte all’avanzata prepotente dell’essere umano. Egli non riesce a rispettare gli equilibri sui quali la natura si fonda, finendo con commettere atti dei quali in futuro è destinato a pentirsi.
L’assalto al gran convoglio invece è una sorta di omaggio al coraggio dei briganti, rappresentati dal personaggio di Gaspare Planetta, che pur nei loro atti violenti da fuorilegge, hanno una loro dignità per la capacita eroica che li contraddistingue e che li rende coraggiosi, perché si battono secondo i loro princìpi mantenendo un comportamento fiero da uomini veri e mai da codardi, capaci di rischiare la vita pur di non piegarsi a regole che ritengono ingiuste.
Sette piani è forse il racconto più emblematico della raccolta, dove Buzzati riflette sul peso della malattia, sul senso della vita e della morte, e su come spesso ingenuamente pensiamo di essere invulnerabili considerando che la malattia sia un problema che riguarda gli altri e mai noi. Il protagonista Giuseppe Corte, che si reca in un importante sanatorio specializzato nella cura di ogni genere di malattie per farsi ricoverare e risolvere così un suo piccolo problema di salute, scopre che in questa struttura i pazienti vengono ricoverati in stanze costruite su sette piani secondo la gravità del loro stato di salute, partendo da quelli più alti dove si trovano i degenti in condizioni migliori, fino ad arrivare gradualmente scendendo al più basso, dove ci sono quelli che sono in fin di vita senza nessuna speranza di guarigione. Le sue certezze iniziali verranno smontate a poco a poco nel corso della sua degenza tra elementi grotteschi, paradossali, ma anche con risvolti drammatici, dai quali imparerà molto senza più essere la stessa persona di prima, bensì un uomo privato di quelle certezze che lo avevano accompagnato nella sua vita fino ad allora.
Sinistre o misteriose presenze popolano racconti come Il dolore notturno e Ombra del sud, quest’ultimo ambientato tra Porto Said, in Egitto e Massaua in Eritrea. Ci sono anche attese che permangono anche oltre la durata stessa del racconto come ne Il memoriale, o ancora l’angoscia che colpisce i Gron, una famiglia molto benestante, nella loro abitazione in una sera durante un improvviso temporale, mettendone in crisi l’agiata vita domestica nel racconto Eppure battono alla porta.
Il sacrilegio è un racconto nel quale si parla invece del giudizio divino degli esseri umani alla fine della loro esistenza, ma il protagonista non è un adulto, bensi un bambino di dodici anni, Domenico Molo, che si appresta a ricevere la prima comunione. A lui non viene riservato nessun trattamento di favore nonostante la giovane età, con un finale a sorpresa che ci fa riflettere sul nostro destino, legato alle opere e ai comportamenti che hanno caratterizzato la nostra vita terrena, al quale non possiamo sottrarci, ma che fondamentalmente dipende da noi. Questo, per chi scrive, è da considerare il racconto più bello, per quanto sia difficile scegliere, per la purezza della narrazione che riflette l’animo di un bambino troppo maturo per la sua età, che con i suoi sensi di colpa, la sua umiltà e la sua sensibilità è destinato a soffrire di più, ma che grazie a questa consapevolezza riuscirà ad andare avanti.
Il mantello descrive in maniera breve ma efficace il ritorno a casa di un soldato ventenne, Giovanni, dalla guerra e dell’incontro con sua madre e i suoi fratelli con un esito davvero sorprendente.
I sette messaggeri è il racconto che dà il titolo alla raccolta, dove un principe di un immaginario e vasto regno parte per un lungo viaggio accompagnato appunto da sette messaggeri allo scopo di raggiungerne i confini dove non si è mai spinto. Durante tale spedizione li rimanda indietro, man mano che avanza, con intervalli regolari stabiliti dal principe stesso, per portargli notizie di quanto accade nella sua città d’origine. Il tempo che impiegano i messaggeri a tornare dal principe per dargli informazioni tramite notizie a voce o lettere diventa tuttavia sempre più lungo, in quanto egli sembra non riuscire a raggiungere mai i tanto sospirati confini del regno. Decide così di prendere una decisione forte: dopo ben otto anni di viaggio, facendo dei precisi calcoli, si rende conto che l’ultimo messaggero che riparte per percorrere nuovamente la strada verso casa non potrà probabilmente tornare in tempo a dargli notizie mentre egli è ancora vivo.
Dino Buzzati descrive le paure dell’uomo contemporaneo, ma anche la sua sete di conoscenza, il suo desiderio di valicare i limiti dell’ignoto, le sue passioni, il suo attaccamento ai beni terreni, ma anche in fondo la sua voglia di infinito e quindi di eternità. Questo è un libro tra i meno conosciuti di questo autore, tutto da scoprire e vivamente consigliato. Il racconto, per troppo tempo ingiustamente considerato in letteratura una forma minore di narrazione, in realtà rappresenta per lo scrittore un’occasione di condensare argomenti, temi e riflessioni spesso a lui care in un testo più breve, ma dove personaggi, luoghi e atmosfere hanno talvolta persino un’intensità maggiore in grado quindi di emozionare il lettore almeno quanto un romanzo.
Dino Buzzati resta uno dei più grandi autori italiani di ogni tempo e di grande attualità proprio perché nei suoi libri ci sono sempre elementi sui quali interrogarsi e soffermarsi a riflettere. In un’epoca frenetica dove sembra non esserci più tempo per pensare, egli sembra invitarci a recuperare il valore del tempo nella nostra vita, che non è soltanto prezioso perché fuggevole. Nei suoi racconti emerge infatti una dimensione più grande di esso, ancora a noi in gran parte ignota, non riconducibile solo a qualcosa di effimero, bensì di durevole dopo la nostra esistenza terrena, che si manifesta attraverso una forma di vita diversa che probabilmente, anche se Dino Buzzati non lo scrive apertamente, somiglia molto a quell’eternità che da sempre l’uomo va cercando affinché la sua anima possa trovare pace.
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