Il Duca
- Autore: Matteo Melchiorre
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2022
Il Duca (Einaudi, 2022) di Matteo Melchiorre si rivela fin dall’inizio una lettura a sé, di “nicchia” si potrebbe definire, inedita e originale per molti aspetti nel panorama narrativo italiano.
Una lettura coinvolgente e avvincente, dall’ampio respiro, che istintivamente mi verrebbe da accostare all’immagine di una quercia, così robusta, solida, dalle tante, lunghe e profonde radici che si ramificano sottoterra, sorretta da una trama “a ragnatela”, estesa, complessa e articolata, che sa riservare diversi colpi di scena, che cattura pagina dopo pagina il lettore, quasi lo ipnotizza, rendendolo una facile preda.
Ma quest’ultimo non sarà vittima di alcun soffocamento, tutt’altro: sarà lentamente conquistato dalle dinamiche interne di evoluzione dei vari personaggi, figure principali e secondarie tanto funzionali quanto interessanti, ciascuna a modo suo, il cui tratteggio psicologico e lo spazio di azione viene incastonato all’interno di una prosa colta, elegante, piuttosto ricercata, impreziosita a tratti da richiami al gergo locale, da rimandi dialettali, che non stonano mai, anzi, offrono un senso di veridicità e pienezza all’intera vicenda narrata.
A Vallorgàna, piccolo paese di montagna, fa il suo ritorno l’ultimo erede dei Cimamonte, nobile casata ormai estinta; “il Duca”, così viene soprannominato con ilarità dai paesani, si ritira presso la villa antica di famiglia, nella quiete apparente della tenuta, quando un giorno la notizia, da parte del fidato boscaiolo Nelso Tabiona, di essere stato derubato nei fitti boschi della Val Fonda di seicento quintali di legname a opera dell’ottantenne e dispotico Mario Fastréda, risveglia in lui un inaspettato senso del potere, una spasmodica propensione al possesso, a ciò che gli spetta di diritto.
“Mai avrei creduto di incontrare la discordia proprio qui, a Vallorgàna, dove il peso del mondo si immaginerebbe che sia lieve, e il vivere essenziale e senza scorie, e le leggi umane, antichissime, sempre giuste e ottimamente operanti. Infida. Sleale. Subdola. Meschina. Così sarebbe stata la discordia destinata a imperversare, per mesi e mesi, nelle mie giornate, disseminandole di insensatezze, consumando il tempo, infettando e viziando ogni cosa.”
Ed ecco che il lettore assiste lentamente all’evoluzione psicologica del protagonista, che lo vede abbandonare l’indole inizialmente schiva e riservata, dedita allo studio e a piccole manutenzioni giornaliere riservate alla villa, a favore di un temperamento attivo, dinamico, “focoso”, pur sempre erudito, ma caratterizzato essenzialmente da orgoglio e frenesia.
La ricerca, lo studio e la catalogazione dei tanti documenti di famiglia, per definire il legittimo confine della proprietà terriera ereditata, da parte del duca diventano così il pretesto non solo per legittimare l’appartenenza — genetica — a un passato ben specifico ma anche per recuperare la Memoria di un intero paese, attraverso la narrazione di tradizioni e storie locali, il racconto di aneddoti popolari, conosciuti o meno.
“Nelle case, al di là delle porte, stanno racchiuse molte storie, delle quali si conoscono, se va bene, pochi brandelli appena; e diviene perciò impossibile capire pienamente il perché delle cose e delle persone. Secondo Nelso, a questo proposito, i paesani di una volta sapevano tacere, e nascondere i fatti.”
All’interno di questo pullulante ed eterogeneo microcosmo, di questo tessuto narrativo imbevuto di implicazioni politiche, economiche e sociali, di riflessi filosofici e culturali, di importanti messaggi sottesi dall’ampio respiro universale, un ruolo fondamentale è rivestito senza dubbio dalla Natura non certo idilliaca, dalla forza e dal potere evocativo che il paesaggio circostante sa racchiudere e trasmettere.
Il suo ciclo stagionale, colto nelle differenti manifestazioni atmosferiche, imprime fra le pagine di questo romanzo dai richiami gotici, dalle tinte cupe, una chiave di lettura specifica, invitando il lettore a maturare profonde riflessioni sul rapporto che l’uomo sa — e vuole — instaurare con l’ambiente che lo circonda, sulle implicazioni che ne derivano.
Ed è soprattutto il bosco a esercitare una sua funzione semantica, trasformandosi nel corso della lettura in una emblematica metafora sul buio, sulle ombre che governano l’animo umano quando quest’ultimo è mosso da sentimenti di avidità e malvagità, da intenti volti a nuocere il prossimo.
“Il bosco è così. Dà l’illusione di essere fermo e invece si muove. Cammina, ma così lentamente e astutamente da lasciarci per lungo tempo inconsapevoli di quel suo immenso e incontrastato avanzare.”
Il Duca
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