Il garbuglio diplomatico
- Autore: Carlo M. Fiorentino
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
Estate 1866, la terza guerra d’indipendenza italiana: una stridente contraddizione tra le sconfitte sul campo e in mare e l’esito vittorioso del breve conflitto, preceduto e seguito da una gran confusione sul piano delle alleanze e dei rapporti internazionali in Europa. Un groviglio, sostiene lo storico dell’Ottocento Carlo Maria Fiorentino, dirigente archivista e autore di un’imponente quantità di saggi storici. Il più recente è Il garbuglio diplomatico. L’Italia tra Francia e Prussia nella guerra del 1866, pubblicato nei primi mesi del 2021 da Luni editrice (608 pagine).
Un intrico di sfide, patti riservati e confronti sul terreno e nelle cancellerie, con una breve e per noi infausta parentesi di combattimenti sulle colline tra Peschiera e Mantova (Custoza, 24 giugno) e nelle acque adriatiche a Lissa (20 luglio), conclusa sugli allori grazie al successo militare prussiano sulle truppe dell’imperatore di Vienna (Sadowa, 3 luglio). Una ben misera prova per l’esercito e la Marina tricolori, molto più numerose rispetto alle armi del piccolo Piemonte, ma non ancora coese dopo la leva obbligatoria dei giovani italiani e la fusione mal riuscita delle flotte sarda, toscana e napoletana.
La pace del 3 ottobre con l’Austria guadagnò al neonato Regno d’Italia il Veneto, ma non dimetterete. Venne concesso da Francesco Giuseppe alla Francia in cambio della sua mediazione (gli Asburgo non avevano relazioni diplomatiche con l’Italietta dei Savoia) e da Napoleone III gentilmente girato all’inquieta confinante.
Sicché, il breve e per noi sciagurato conflitto “regalò” all’Italia non più di quanto Vienna sembrava disposta a offrirle in cambio della neutralità nello scontro con i Prussiani per l’egemonia sulla Confederazione tedesca. Il Veneto e Venezia, ma non le terre irredente del Trentino – nonostante l’avanzata di Garibaldi in quell’area – e della Venezia Giulia, che causeranno l’immane spargimento di sangue italiano nel 1915-18.
Di fatto, sulla base di accordi segreti tra gli imperatori di Francia e Austria, comunque fossero andate le cose il Veneto sarebbe stato consegnato nelle mani di Napoleone e da questi riconosciuto al regno di Vittorio Emanuele. Ed è solo un segmento della rete complessa di rapporti tra le Case regnanti e le nascenti potenze continentali, che vedeva anche i nostri rappresentanti giocare su più tavoli, con l’ambasciatore Costantino Nigra a Parigi e col generale Giuseppe Govone presso il cancelliere prussiano Bismarck.
In tutto questo, si pensi che la Francia, amica ambigua dell’Austria, trattava segretamente con la Prussia per non ostacolare la politica aggressiva del regno settentrionale, in ascesa ai danni degli Asburgo. Il prezzo del nulla osta transalpino andava da una posta minima (qualche fortezza sul Reno) a una molto ambiziosa, destabilizzante per gli equilibri territoriali europei: l’annessione del Belgio.
Ecco il “garbuglio diplomatico”, in cui il più attivo protagonista era certamente l’imperatore dei francesi, con la collaborazione dei responsabili della politica estera delle tre nazioni protagoniste del conflitto del 1866. E i governi di Londra e San Pietroburgo stavano a guardare, pronti a recitare la parte dello struzzo, in cambio di qualche tornaconto.
È in questo gran Risiko continentale che si verificano le sconfitte di Custoza e di Lissa, causate secondo Fiorentino dall’impreparazione, oltre che dalla mancata collaborazione tra i generali in capo. In entrambe, ricorre peraltro una sorprendente ammissione di inferiorità da parte italiana, dopo fatti d’arme che si sarebbero potuti registrare come sostanziali pareggi – specie quello nel Mantovano – se le bandiere tricolori non avessero lasciato il campo e il mare. A Custoza, erano stati gli austriaci a subire le perdite più elevate e l’incursione efficace dell’ammiraglio von Teghettoff non aveva respinto la flotta italiana dalle acque dell’isola dalmata. Ma uno spaventato Lamarmora si era ritirato dietro il Mincio e l’amm. Persano aveva ordinato il rientro ad Ancona, pur con un’intera squadra e ben 400 cannoni intatti, per non avere preso parte alla battaglia navale, sempre a causa del mancato coordinamento dei vertici.
Generale e ammiraglio si erano dichiarati sconfitti al di là del risultato effettivo, per la gloria del nemico e il disonore delle nostre armi.
Erano rimaste divise anche le forze di terra italiane, pari a 220mila uomini, avviate nella pianura padana in due tronconi separati. Dodici divisioni sulla sinistra del Mincio al comando di Alfonso Lamarmora. Otto dietro il Po, affidate a Enrico Cialdini. Le rivalità dei due erano forti, i caratteri ombrosi, le comunicazioni difficili: l’avanzata di uno verso la sponda destra avvenne due giorni prima del previsto e con deboli avanguardie. Mancò invece del tutto la manovra dell’altro dal Po, che avrebbe impegnato sul fianco l’Armata Sud austriaca. Più di un terzo dei nostri restarono così inattivi, mentre avrebbero compromesso le operazioni nemiche con una manovra ben coordinata o anche solo con un’iniziativa tempestiva.
Anche qui, un groviglio di combinazioni e occasioni mancate: un garbuglio, come lo chiama Carlo Maria Fiorentino.
Il garbuglio diplomatico. L’Italia tra Francia e Prussia nella guerra del 1866
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Molto interessante x la nostra consapevolezza storica. Grazie