Il caporale. Dal passo Halfaya a Pietermaritzburg-Zonderwater
- Autore: Raffaello Cei
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
Un ventenne italiano in guerra nel deserto e in prigionia in Sudafrica, poco meno di ottant’anni fa: Raffaello Cei, classe 1920, militare di leva nel 1940, da Lucca alla seconda guerra mondiale, dai combattimenti sul fronte libico-egiziano nelle prime settimane del 1942 al campo di concentramento di Pietermaritzburg, fino al 1947. A cento bellissimi anni ma ancora ragazzo, “Fello” ne parla in un libro delle edizioni du pais Tralerighe Libri, Il caporale. Dal passo Halfaya a Pietermaritzburg-Zonderwater. Libia-Sudafrica 1941-1947 (gennaio 2020, 174 pagine), grazie alla collaborazione dell’amico ferrarese Gian Paolo Bertelli e dell’editore Andrea Giannasi.
L’interesse, il significato e il valore di questa pubblicazione risiedono proprio nella vicenda di un ragazzo come tanti, partito da casa nel 1940 per il servizio di leva e tornato in patria sette anni dopo. Un settennato affrontato da artigliere in guerra, senza mezzi e da prigioniero di guerra, senza libertà, in un Paese del Commonwealth tanto lontano da Lucca.
Dice di raccontare una parte importante della vita, che coincide con la sua giovinezza e con la tragedia di un intero popolo. “Non è una storia eccezionale, eroica”, ma quella di molti giovani che hanno vissuto la guerra prima “con esaltazione”, poi “con delusione”, infine “con orrore”. Aggiunge che l’esperienza di una generazione dovrebbe insegnare alle successive “l’importanza e la necessità della pace” e questo non deve sembrare retorico, perché dovremmo andare tutti oltre la frase di rito e interpretarla per quello che vuol essere: un monito.
Nato a metà ottobre del 1920 (in una famiglia di discreto credo socialista e col papà autista che lo indusse a prendere la patente da giovanissimo), il bravo Fello si ritrovò calato direttamente dal servizio militare alle operazioni belliche, come tanti coetanei. Sotto le armi dai primi di febbraio 1940, addestrato nella Caserma Gorizia di Ferrara e inquadrato come trattorista per il traino dei cannoni nel 2° Reggimento Artiglieria Celere, si ritrovò in guerra dal 10 giugno 1940.
Per una piega del destino, il suo gruppo motorizzato che sembrava destinato al terribile fronte greco, cambiò destinazione e raggiunse l’Africa Settentrionale, nei primi del 1941.
L’attraversamento del canale di Sicilia verso la Libia rappresentò un momento di grande pericolo. I sottomarini inglesi minacciavano di continuo la rotta obbligata e la nave sulla quale erano imbarcati venne costretta a tornare indietro. Ritentò e a bordo indossarono il salvagente per l’intera navigazione, attaccati a un pontone che, alle brutte, sarebbe stato gettato in mare.
Sbarcata a Tripoli, la sua colonna seguì la strada litoranea in direzione della Cirenaica, incontrando truppe italiane in ritirata davanti alla prima offensiva britannica, condotta da contingenti meno numerosi ma molto meglio armati e comandati. Dopo trecento chilometri col costante pericolo d’essere circondati da un aggiramento dal deserto, vennero fatti ritirare a Sirte. Coi cannoni puntati, protetti da mitragliatrici di recupero, gli ArtiCelere attesero l’urto, sentendo serpeggiare la paura, pur senza volerlo riconoscere. Dopotutto, si trattava di poco più che adolescenti. Ma il nemico esaurì la spinta e in Tripolitania sbarcarono gli alleati tedeschi dell’Afrika Korps, guidati dall’eccellente Rommel, che organizzò subito una brillante controffensiva.
Un anno dopo, una nuova avanzata dell’Ottava Armata britannica accerchia i presìdi di Sollum e di Halfaya, al confine con l’Egitto. Battuti da artiglierie da terra e dagli aerei dal cielo, privi di rifornimenti e a corto soprattutto d’acqua, i caposaldi dovettero arrendersi. Il 17 gennaio 1942, al Passo di Halfaya cominciò la prigionia di Raffaello Cei, trasferito via mare nella provincia sudafricana del Kwazulu-Natal, a Pietermaritzburg, il campo di transito e disinfestazione dell’immenso campo di prigionia di Zonderwater, nel quale restarono reclusi 110.000 dei nostri, a 10mila chilometri dall’Italia.
Nella sfortuna della prigionia di guerra si dice fortunato, per essere stato addetto alla mensa ed essersi ritrovato in mano ad avversari che non solo applicavano la Convenzione di Ginevra, ma rispettavano la dignità umana e militare degli sconfitti, educandoli ad accettare il loro status senza abbandonarsi alla depressione, facendone anzi un punto di ripartenza verso il ritorno alla normalità post bellica.
Anche questo può essere d’insegnamento ed è una considerazione che non abbiamo sentito spesso da altri.
Nel dopoguerra, le operazioni di rimpatrio in Italia furono lente: da Durban, sbarcò a Napoli solo il 17 febbraio 1947.
Interessante anche l’elaborazione del suo approccio all’ideologia fascista: figlio di un socialista, ma balilla e giovane avanguardista per obbligo, fino all’arruolamento. L’avere conosciuto solo la scuola mussoliniana, gli aveva fatto
“accettare come naturali idee, consuetudini e simboli che ci venivano proposti, volenti o nolenti, perché non ne avevo conosciuto di diversi e mai sorse il dubbio che potessero essere sbagliati o men che meno condurre alla rovina di tutto il paese”.
Il caporale. Dal passo Halfaya a Pietermaritzburg-Zonderwater. Libia-Sudafrica 1941–1947
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