Il castello in mezzo al lago di Constance Fenimore Woolson

“Non molti anni fa la spiaggia lungo la parte superiore del lago Michigan, la curva più a nord di quel mare argentato, era una zona selvaggia, inesplorata.”

Questo territorio settentrionale, situato nella regione dei Grandi Laghi, “fuori da ogni strada diretta a un luogo determinato”, era di una natura intatta, incontaminata. Questa piccola tasca di terra e acqua non possedeva montagne di ferro tra le sue pinete e il rame non si nascondeva tra i suoi sabbiosi rilievi. Era quindi rimasto un luogo sconosciuto fino al pomeriggio nel quale un uomo bianco, il cui nome era Jarvis Waring, aveva posato il proprio piede su di una spiaggia.

In questa sorta di pellegrinaggio in mezzo alla natura selvaggia, Jarvis si era incantato a seguire il lento movimento delle piccole onde. Waring, esperto cacciatore, non usava mai la bussola, si nutriva di ciò che incontrava sul suo cammino e non faceva mai piani per il domani. Era stato naturale per l’uomo, di fronte a quello spettacolo, recitare un verso di un sonetto di William Shakespeare:

“Quando al ricordo di dolci silenti pensieri, unisco il ricordo delle cose passate”.

All’improvviso, una barchetta fantasma era sbucata dalla nebbia che avvolgeva il lago, sopra la barchetta si scorgeva una figura-fantasma, un vecchio magro e ingobbito, con le braccia nude e un fazzoletto giallo legato in testa.

“Da dove venite?”

Aveva domandato Jarvis all’uomo anziano.

“Da nessun luogo.”

Aveva risposto enigmaticamente quest’ultimo. Durante il parco pasto che era seguito alla presentazione, i due avevano socializzato. La figura-fantasma aveva detto di chiamarsi Amos Fog o Old Fog.

“Sono un nomade.”

La mattina dopo Old Fog era scomparso recando con sé un po’ di zollette di zucchero, l’edizione tascabile dei sonetti di Shakespeare e il dipinto di Tiziano, raffigurante “una graziosa fanciulla che regge il vassoio di frutta” di Waring.

Alcuni giorni dopo, navigando all’alba all’interno del lago, di fronte a Waring era apparsa una “residenza acquatica” composta di tronchi d’albero, spianati e collocati su una palafitta. Da un rudimentale terrazzino di quest’arca una ragazza, vestita di bianco, seduta su una sedia di mogano leggeva e mangiava alcuni dolci. La sua chioma era dorata e fluiva sulle spalle, “morbida come quella dei neonati”, volto, collo e mani erano bianchi come petali di camelie, le fattezze infantili.

“Il mio nome è Silver. Ma voi chi siete, dunque?”

Il castello in mezzo al lago (titolo originale Castle Nowhere, traduzione di Giuliana Prato) fa parte di un ciclo di racconti dal titolo I racconti dei grandi laghi, pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1875 nella raccolta Castle Nowhere: Lake-Country Sketches. Elliot riedita con la stessa traduzione il racconto uscito nel 1992 per la casa milanese L’Argonauta.

È una novella fantastica, su un non luogo, carica di riferimenti simbolici quella di Constance Fenimore Woolson (1840-1894), pronipote di James Fenimore Cooper, della cui esistenza si sa poco. Non solo i manoscritti originali e i taccuini della Woolson sono andati perduti, ma la maggior parte della corrispondenza privata di Constance fu data alle fiamme da Henry James, suo amico e, secondo alcuni, amante.

Nata a Claremont nel New Hampshire, l’autrice americana durante l’infanzia aveva trascorso lunghi periodi di vacanze nella regione dei Grandi Laghi. Qui, la ragazzina fin da subito aveva instaurato un legame simbiotico con la natura, tema dominante di tutta la sua futura opera letteraria (racconti, poesie e appunti di viaggio), che si può dividere in tre cicli: i Racconti dei Grandi laghi, i Racconti del Sud e le Italian Stories.
Constance Fenimore Woolson si uccise a Venezia il 24 gennaio del 1894 lanciandosi dalla finestra del suo appartamento. Riposa nel cimitero acattolico di Roma.

“L’inverno pieno cadde su di loro, e assediò il castello con le sue bianche armate da sotto e da sopra, dall’acqua e dall’aria.”