Il club dei suicidi di Albert Borris

Opera prima di Albert Borris, consulente giovanile e per questo vicino agli adolescenti, “Il Club dei suicidi” (Giunti, 2011) è un libro che vuole raccontare il viaggio di giovani aspiranti suicidi, in una sorta di percorso on the road attraverso quelli che loro ritengano possano essere i santuari del suicidio, ossia tombe di personaggi famosi che hanno deciso di togliersi la vita per un motivo o per un altro. Un viaggio che dovrebbe concludersi nella Death Valley con una sorta di suicidio di gruppo.

Il romanzo vuole essere un modo di focalizzare l’attenzione sui problemi adolescenziali, soprattutto quello dell’incapacità di rapportarsi con gli altri, che portano a una chiusura in sé stessi, da dove non si vedono vie di uscita se non quella più drastica. Un modo di analizzare quel periodo delicato dell’esistenza di ognuno di noi dovuto al passaggio dal “bambino” all’ “uomo”, ma che è ancora un processo in itinere, in sospeso tra qualcosa che sembra perduto e una maturità che è ancora lontana ma il cui processo è inevitabilmente partito, periodo quindi di vulnerabilità che spesso segna il futuro di ognuno di noi e che su alcuni può avere effetti devastanti.

Un tema quindi abbastanza importante, ma trattato da Albert Borris con tranquillità e non con la pesantezza in cui sarebbe facile sfociare con questo argomento. La scrittura è sobria, veloce, giovane se si pensa anche al fatto che il racconto, fatto in prima persona da uno degli aspiranti suicidi, è interrotto di tanto in tanto dallo scambio di email dei quattro amici prima del viaggio, uno scambio riportato con la classica contrazione del linguaggio sincopato tipico dei messaggi telefonici e mail.

Un buon romanzo, che fa pensare, che a tratti diverte e che ci porta attraverso un percorso introspettivo dai concetti complessi ai pensieri più semplici ridotti quasi ai minimi termini che possono far afferrare il disagio che i protagonisti vivono.