Il consumatore socialista. Dispositivi, pratiche e immaginario del consumo di massa in DDR (1950-1989)
- Autore: Marcello Anselmo
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
La guerra fredda non prevedeva ambiti di recesso: si combatteva senza quartiere su fronti disparati. Non solo la corsa allo spazio, agli armamenti, agli ori olimpici: durante il primo e il secondo dopoguerra, la lotta ingaggiata tra i blocchi occidentale e sovietico investe anche la cerchia dei consumi. L’homo consumens della DDR - il più realsocialista degli stati aderenti al Patto di Varsavia - anela a soddisfare i suoi bisogni indotti, né più né meno che il connazionale dell’ovest. Quando il Muro non c’è ancora, la “frontiera” berlinese è di fatto permeabile come un gruviera: alla faccia delle barriere ideologiche, il commercio tra tedeschi dell’una e dell’altra parte va avanti florido e bilaterale: i tedeschi frontalieri dell’est acquistano all’ovest prodotti da immaginario merceologico capitalista (jeans, calze in nylon, futile oggettistica), i tedeschi occidentali, con meno patemi d’animo e a prezzi convenienti, il burro e la carne delle botteghe dell’est.
A pagina 37 del pregnante Il consumatore socialista. Dispositivi, pratiche e immaginario del consumo di massa in DDR (1950-1989) (Le Monier 2020), Marcello Anselmo enuclea in questo modo il discorso:
“Attraverso il confine di Berlino passava un flusso costante di merci alimentato da donne vestite con abiti lunghi e grezzi e al braccio ceste munite di nascondigli improvvisati. Ai posti di confine si aggiravano signori distinti con consunti Borsalino e alcuni etti di burro nascosti nei calzoni. Operai edili in abiti di lavoro venivano sorpresi al rientro dai cantieri occidentali con le borse piene di calze di nylon. A ragazzi di età diverse venivano sequestrati fumetti e romanzi economici dalle copertine colorate nascosti in cartelle di pelle rigonfie o nelle sacche delle biciclette. Era un lavoro sotterraneo mirato al procacciamento di merce diversa che coinvolgeva entrambi i lati della città”.
Era un andirivieni che rischiava di corrompere l’animus anti-capitalista dei tedeschi orientali: quando la nomenclatura DDR decide di intervenire con il Muro, lo fa dunque, in primo luogo, per interrompere il flusso. Un flusso reiterato quanto pernicioso. Di uomini, di merci, soprattutto di idee.
“Senza nessun preavviso il confine tra le due Germanie fu sigillato nella notte del 13 agosto 1961. L’emigrazione di massa verso la Germania Occidentale obbligò i berlinesi a rinunciare alla loro breccia in cui far passare i beni più ‘pregiati’, e da quella notte non fu possibile barattare i beni di consumo occidentali con carne o burro […]. Il Muro di Berlino, dunque, fu eretto non solo per bloccare l’ingresso di elementi ostili ed evitare provocazioni ma anche (e soprattutto) per evitare contaminazioni tra due modelli di consumo in competizione e i relativi corollari di trasformazione culturale e d economica” (pag. 39 e pag. 45).
In buona o malafede, l’apparato organizzativo della Germania dell’est è imputabile di tutto, ma non certo di inefficienza. Con il taglio netto dato dall’erezione del Muro, si inaugura per la DDR, l’epoca del consumo di massa autoctono: un guanto di sfida lanciato in faccia al consumismo occidentale. All’interno della nomenclatura comunista, sviluppo economico e comparto merceologico indirizzati diventano parole d’ordine. La formula magica tradotta in pragmatismo è questa: assecondare il popolo tedesco orientale nel suo diritto alla felicità, fornendogli l’accesso a beni di consumo ammantati di precetti socialisti. Prolifera su questa scia un indotto di prodotti tecnici e culturali: dischi, giornali, riviste a fascicoli, fumetti, letteratura popolare, riveduti e corretti in chiave funzionale al Sistema. Sono gli anni in cui si editano romanzi gialli, di avventura, di fantascienza. Persino western di impronta socialista (evviva gli indiani), e crime story con intenti educativi e/o ammonitori. Insomma: la mission principale della DDR consiste nello spuntarla sul blocco occidentale accettando il confronto sul suo stesso terreno. Nella fattispecie: l’ambito produttivo di prodotti equivalenti a quelli di estrazione capitalista caricati di significati aggiunti. In altro modo: consumare, ma all’interno di inalienabili coordinate valoriali – ma anche etiche ed estetiche – socialiste.
Questo l’itinerario esposto con minuzia da Il consumatore socialista. Un itinerario socio-antropologico e storico estremamente interessante, che viene a colmare un vuoto nella bibliografia italiana sulla DDR. Se è vero che i dispositivi del consumo realsocialista hanno comunque segnato – fuori e sottotraccia – quarant’anni di vita quotidiana e politica della Germania dell’est, tenace roccaforte anticapitalista nel cuore consumista d’Europa.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il consumatore socialista. Dispositivi, pratiche e immaginario del consumo di massa in DDR (1950-1989)
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