Il grande racconto delle religioni
- Autore: Giovanni Filoramo
- Genere: Religioni
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2018
Davvero non saprei dirla meglio di come la dice (la scrive) Giovanni Filoramo, a introduzione del suo sontuoso: “Il grande racconto delle religioni” (il Mulino, 2018). E dunque (pag.11):
In quanto prodotti culturali, le religioni riflettono limiti, ma anche grandezza dell’uomo. Sono riserve di senso a cui l’umanità ha attinto a piene mani per rispondere agli interrogativi esistenziali fondamentali. Non solo quelli relativi alle origini o alla conduzione pratica e politica della vita, ma anche, prima di tutto e soprattutto, all’interrogativo che concerne il nostro destino finale (…) non solo, dunque, ‘da dove veniamo’ o ‘come dobbiamo vivere’, ma anche ‘come e perché dobbiamo morire’. Proprio perché esprimono sia le miserie sia l’incoercibile bisogno di elevarsi dell’uomo, le religioni offrono una tavolozza di colori amplissima: dal nero o grigio della violenza distruttrice alla luce splendente dei voli mistici e delle visioni divine.
A me pare implicito che le religioni siano soprattutto una faccenda di uomini. Per raccontarle dal lato brutto: retaggi di ancestrale horror vacui sublimati in improbabili supplementi oltremondani. Ciò non le sottrae (le religioni) al fascino culturale e antropologico. Un fascino da cui si dirama il fiume carsico di questo possente lavoro di Giovanni Filoramo. Il filo rosso sottotraccia si rifà, in fondo, a quanto sopra: l’essere umano si interroga strenuamente su se stesso e sul cosmo e poiché gira e rigira le risposte ultime restano inevase, la creazione del mito (della divinità) viene a salvare capra e cavoli. Quando prendono atto che “la natura non ci appartiene” ricorrono alla natura-dio gli aborigeni dell’Australia e i nativi nordamericani. A forme di credo religioso aderiscono gli antichi mesopotami devoti alla dea Ishtar e al potente dio Anu. E al cielo (al cosmo) come “specchio di polarità” contrapposte guardavano i popoli dell’ antica Cina.
La messa in discussione della visione religiosa cosmocentrica occupa tutta la seconda parte del saggio, a partire dal capitolo dedicato al “cosmo interiore” dell’induismo, quindi al logos del mondo greco e alla trovata sul Dio creatore del mondo del primo monoteismo. La divinità non si palesa più attraverso la natura e nemmeno esibisce sembianze antropomorfe, piuttosto trascende l’uomo così come il creato. La rivoluzione cristiana del dio incarnato costituisce - a detta dell’autore – una svolta di tipo “antropologico”, destinata a giocare un ruolo determinante (condizionante?) nella storia del pensiero occidentale a venire. La forbice dell’assunzione umana del divino (dio-natura/dio trascendente) in fondo è riassumibile con queste parole.
Le prime attribuite ad Alce Nero, le seconde sono del “Libro del Dao e della virtù”:
- Tutte le cose sono opera del Grande Spirito, Egli è presente in ognuna: gli alberi, le graminacee, i fiumi, le montagne, i quadrupedi e gli uccelli;
- È la figura che non ha figura, l’immagine che non ha materia: è l’indistinto e l’indeterminato. Ad andargli incontro non ne vedi l’inizio, ad andargli appresso non ne vedi la fine.
Insomma: qualunque idea vi siate fatta sull’argomento, questo grande racconto delle religioni, verrà incontro alla vostra esigenza di saperne di più. E lo farà sulla scorta di una messe tassonomica di informazioni (storiche, antropologiche, filosofiche), e di un apparato iconografico di caratura strabiliante.
Oltre cinquecento pagine patinate, per un libro che si legge con gli occhi e si assapora con la mente.
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