Il mio corpo mi appartiene
- Autore: Amina Sboui
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Giunti
- Anno di pubblicazione: 2014
“Il mio corpo mi appartiene. Non è l’onore di nessuno".
Questo non è un semplice slogan e non è neanche una banale espressione su cui poter riversare le osservazioni più ovvie, quelle che cadrebbero immancabilmente nell’indifferenza generale. Non è niente di tutto questo, perché Amina Sboui, femminista e blogger di soli 19 anni, attivista tunisina, figlia di un medico e di una maestra, questa frase se l’è scritta sul corpo, se l’è dipinta sul petto, sul seno scoperto e si è fotografata, così, nuda e convinta. E si è fatta vedere da tutto il web, postando la foto su Facebook.
Una bravata? Il solito gesto goliardico di una generazione di giovani annoiati? No. Amina ha coraggio da vendere e attraverso questa provocazione ha lasciato che un uragano si scatenasse intorno a lei, intorno ai suoi principi, intorno alla sua morale, intorno al suo essere Donna, e prima ancora Essere umano, con dei doveri sì, ma anche con dei diritti.
L’esperienza incandescente e terribile di questa giovane attivista tunisina ruota attorno ad un fondamentale della vita dell’uomo sulla Terra: la libertà. La lotta per la libertà, la lotta per la giustizia sociale, la lotta per la dignità.
Gli anni salienti durante i quali si è resa celebre in tutto il mondo, e soprattutto in Tunisia, vanno all’incirca dal 2010 (anno in cui scoppiò la cosiddetta Rivoluzione tunisina e durante il quale Amina già si faceva conoscere per la sua intraprendenza ed il suo vivo interesse per la politica e la questione sociale) al 2014, anno in cui venne scarcerata e poté continuare gli studi liceali a Parigi. Tutto questo e molto altro è racchiuso nelle scattanti e sofferte pagine di "Il mio corpo mi appartiene" (Amina Sboui con Caroline Glorion, Giunti, 2014, pp. 154).
Amina Sboui è tunisina, ma non musulmana, appartiene ad una buona famiglia tradizionale, credente e perbenista, ma lei non è tradizionale né credente né, certamente, perbenista. Amina è anarchica dentro, la ribellione le scorre nel sangue, esplode anche quando lei vorrebbe mostrarsi calma e moderata; la provocazione che nasce dall’ira, dalla rabbia nel vedere i diritti umani violati, quelli delle donne calpestati e quelli dei detenuti umiliati, valica i confini della morale, quella morale pubblica e dannatamente corrotta, quella morale che ristagna, marcia e logora, nelle coscienze degli islamisti, dei salafiti, di coloro che vorrebbero imporla a tutti, uomini donne bambini.
"Fuck your moral!", lo slogan perfetto da dipingersi sul corpo, solo il primo di tanti che Amina farà suoi, durante la sua battaglia politica, culturale e sociale. Nasce tutto da lì, in quel giorno del febbraio 2013, quando la giovane e impavida diciottenne decide di squarciare il velo e di rompere quello che in Tunisia - come anche, ovviamente, in tutti i paesi arabi - è forse il tabù più grande, la nudità della donna araba, e lo fa fotografandosi vestita unicamente di parole, con grande stupore del web che la osserva indignato, estasiato, schifato, ammirato.
L’adesione al gruppo delle Femen (movimento femminista nato in Ucraina nel 2008 e divenuto famoso, a livello internazionale, per le proteste a seno nudo delle attiviste del gruppo contro le discriminazioni sociali), le foto "ingiuriose e vergognose" a seno nudo postate su Facebook, l’impegno caparbio e ostinato nella lotta politica, le manifestazioni di protesta, le provocazioni, gli striscioni e soprattutto le idee "malate" di questa ragazza che non crede in nessun dio e che, per questo, probabilmente è posseduta dal demonio, tutto ciò ha reso Amina Sboui una celebrità, il cattivo esempio che lo stato vuole sopprimere, la voce della verità e della giustizia che il popolo vuole sentire.
"Ero veramente decisa ad agire perché non volevo che il mio paese sprofondasse nel fondamentalismo religioso".
Con queste parole, quasi lapidarie, Amina dà il via al suo percorso: partendo dagli albori, rievocando gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, durante i quali il carattere ribelle di quella che era ancora una bambina veniva già fuori nel modo più limpido e sincero possibile, la neo scrittrice delinea un quadro essenziale e chiaro della realtà dei paesi islamici. La discriminazione tra maschi e femmine è uno dei punti cruciali attorno a cui ruota l’indignazione di Amina: i maschi sono, in sostanza, liberi di scegliere ciò che fare della loro vita, mentre le femmine, subissate da continui divieti, devono "stare al loro posto" e crescere nell’obbedienza e nella sottomissione, nonché prepararsi al raggiungimento dello scopo finale della loro vita, il matrimonio.
Inutile dire che Amina non accetta tutto questo, né si lascia intimidire dalle minacce della madre, che, tra un pianto e l’altro, le intima di comportarsi correttamente, altrimenti Dio l’avrebbe giudicata e sarebbe finita all’inferno.
"Con le mie parole di bambina mi sono messa a dire che non bisognava "fare i bravi" (...) solo per avere una contropartita. Che bisognava comportarsi bene semplicemente (...) perché la nostra libertà di esseri umani ci porta a fare il bene".
E conclude con un perentorio:
"Poi, se Dio ritiene che non meritiamo il paradiso, pazienza!".
Ciò che rende la Sboui così determinata è la convinzione di agire nel giusto e per il giusto, seguendo quella che lei definisce come morale individuale, qualcosa "che scegli tu", che il cuore e la mente stabilisce essere tale. Il giusto, il bene.
Forte dei suoi principi e della volontà di divenire anche portavoce di un popolo di donne che non ha la forza di ribellarsi, che non è capace di sottrarsi al dominio dell’uomo e marito, nonché carnefice, Amina Sboui affronta anni di duri scontri e mesi intensi di carcere, dove le violenze e i maltrattamenti - anche alle donne incinte - non sono solo una favola o un brutto incubo, una voce di corridoio facilmente insabbiabile. È la realtà, quella stessa realtà che Amina ha vissuto in prima persona e di cui, ora, è testimone e denunciataria.
Le parole chiave di questo libro potrebbero essere, di sicuro, "chiarezza" e "semplicità", le armi con cui Amina Sboui ha portato avanti le sue battaglie e con cui ha scritto questo feroce libro di denuncia. Lo stile asciutto, essenziale e giovanile con cui la tunisina ha espresso il proprio pensiero e ha voluto raccontare la propria storia, ha contribuito a rendere il testo leggero e fruibile, pur nella serietà degli argomenti trattati.
Un libro che è a metà tra inchiesta e storia vera, una sorta di reportage, un grido feroce che rimbomba, ora, su scala internazionale.
Il mio corpo mi appartiene
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