Il mistero della corazzata russa
- Autore: Luca Ribustini
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2014
Alle 18 del 28 ottobre 1955, la corazzata Novorossiysk andò ad ormeggiare lenta e maestosa alla boa n. 3 nella rada di Sebastopoli, in Crimea. Otto ore più tardi era rovesciata sul fondo. Nel 1911, operai italiani avevano cominciato a costruirla nei cantieri navali Ansaldo di Sestri Ponente. 44 anni più tardi, incursori subacquei italiani la affondarono nel porto russo, quasi certamente.
In poche righe, l’alfa, l’omega ma anche le prime indicazioni sulla possibile soluzione di un enigma impenetrabile, che Luca Ribustini ha compiutamente ma agilmente ricostruito in un libro-inchiesta pubblicato nel settembre 2014 da Luigi Pellegrini Editore (Cosenza): “Il mistero della corazzata russa” (142 pagine 15 euro).
Quel colosso del mare - 25mila tonnellate di dislocamento e quasi 180 metri di lunghezza – era nato come “Giulio Cesare” e aveva issato per quasi quarant’anni la bandiera tricolore, prima di venire ceduto come preda bellica all’URSS, nel 1949. Un dolore per la Marina italiana, un affronto per alcuni ex combattenti e un motivo di soddisfazione per la Flotta del Mar Nero, che lo schierava come l’unità più importante e militarmente efficiente (da qui l’interesse degli USA a vedere ridimensionata la forza navale sovietica in Mediterraneo).
All’1,31 e 29 secondi del 29 ottobre 1955 una colonna di fuoco, fango e sangue alta trenta metri – scrive efficacemente Ribustini – si sollevò dalle acque di Sebastopoli. 604 uomini della Marina russa cominciarono a morire. Altri l’avrebbero fatto per tentare di salvare, invano, gli intrappolati nello scafo rovesciato.
Un mistero tuttora irrisolto, come sempre quando si ha a che fare con lo spionaggio, i servizi segreti internazionali. Gli archivi CIA, interrogati di recente dall’autore - giornalista e documentarista romano da poco cinquantenne - hanno risposto col classico non sense della diplomazia spionistica, non negando né confermando l’esistenza o la non esistenza di notizie sul Novorossiysk. In pratica: se le abbiamo (e le abbiamo) non ve le diamo.
Questo è un dramma in cui tanti hanno giocato un ruolo. I sovietici, ad esempio, hanno immediatamente insabbiato, accusando il colpo: superstiti obbligati al silenzio, fonti tacitate, inchiesta stoppata. Si trovò più comodo affermare che il disastro era stato provocato dallo scoppio di una vecchia mina tedesca, attivata sotto la chiglia. Meglio far credere d’essere stati distratti durante la bonifica dei fondali che incapaci di difendere dai sub avversari uno dei porti principali della seconda potenza mondiale.
Gli italiani, per contro loro, non avevano interesse a farsi avanti in un contesto che molto opportunamente li aveva esclusi dalla scena. I russi li ritenevano incapaci di operare in basi nemiche, anche in tempo di pace. Silenzio totale, perciò e soddisfazione contenuta, in certi nostri ambienti.
Ma l’esplosione subacquea di una mina RMH avrebbe disperso sul fondale sabbioso parte dell’onda d’urto, mentre il tritolo ha trapassato il Novorossiysk dal basso verso l’alto, dalla chiglia alla coperta, perforando otto ponti corazzati 280 mm, per molti metri in altezza. L’ordigno era inoltre in mare da ben 11 anni e le batterie dell’innesco elettrico delle mine magnetiche tedesche restavano in vita al massimo nove anni e sulla boa n. 3 erano passate per anni decine di grandi navi, senza che nulla accadesse.
La tesi di Ribustini, ampiamente illustrata col corredo di atti e documenti eccezionali (riprodotti in copia nel volume) è che personale della Xa MAS – il reparto di incursori sottomarini dell’Italia fascista – avevano colpito nel 1955, innescando un grosso carico di tritolo nascosto in un vano sotto la linea d’immersione, durante l’allestimento della corazzata in Italia, in preparazione del trasferimento in Crimea.
Nel segreto assoluto, una sezione occulta della Xa aveva continuato a mantenersi in efficienza operativa, addestrandosi in località riservatissime. Avevano i requisiti e i mezzi necessari, spiega Luca, con tanto di prove. Collaboravano con la CIA – si era in piena guerra fredda - in linea con gli interessi militari americani. Dopotutto, conoscevano bene i fondali del Mar Nero, avendo avuto nel 1942-43 una base operativa proprio in Crimea, a Simferopol, non lontano da Sebastopoli.
L’indagine di Ribustini è nata dall’incontro con Ugo Esposito, classe 1922, ex sommozzatore del gruppo Gamma della Xa. In un’intervista concessa al giornalista per mettere a fuoco la figura del principe e comandante Junio Valerio Borghese, indicò con chiarezza che incursori italiani erano coinvolti nell’affondamento del già "Giulio Cesare".
È un altro testimone che non c’è più, tuttavia. Il Nocchiere Scelto T.S. Ugo D’Esposito della Xa Flottiglia MAS, Gruppo Gamma, si è spento nel sonno a 92 anni, all’alba del 19 giugno 2014.
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