Il principe alchimista
- Autore: Paola Amadesi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2013
Raimondo di Sangro non è nella sua tomba, a Napoli. Il settimo principe di Sansevero non riposa nella Cappella sconsacrata sotto il palazzo di famiglia. Dal marzo 1771, non si sa nulla dell’inventore, del negromante, dell’illuminato. Sulla scomparsa dei suoi resti o di lui stesso - visto che sperimentava la palingenesi dei corpi, la rinascita - si interroga Paola Amadei da Ravenna, nel libro “Il principe alchimista”. Per soddisfare la curiosità di sapere di più di questa storia intrigante, occorre andare tra le pagine di un libretto piccino, con testi asciutti e foto in bianconero, pubblicato nel 2013 per le ravennati Edizioni Moderna (Collana del Mistero, 96 pagine, 9.90 euro).
Rappresentano da allora un affascinante enigma la vita e la leggenda di un uomo tra i più geniali e impenetrabili, degno figlio del secolo dei lumi, nella Napoli che all’epoca era una delle capitali europee.
Il minuto, ma ben fatto e intelligentissimo nobile partenopeo (nato in Puglia, a Torremaggiore, come l’imperatore Federico II) è stato un protagonista della rivoluzione culturale illuminista. Aderì alla Massoneria, che voleva conoscere i significati dell’universo e divenne il Gran Maestro delle Logge partenopee. E quando il re di Napoli le mise al bando, di Sangro rimase in carica anche dopo aver finto di rinnegare il credo massonico, per ovvia opportunità.
I Sansevero discendevano da Carlo Magno e vantavano tra gli avi numerosi cavalieri templari e appartenenti alla setta esoterico-alchemica dei Rosacroce (che tuttora rivendicano la sua affiliazione).
La genialità dell’inventore e uomo di scienza (oltre che di lettere) si rivelò molto precoce. Fu anche pregevole scrittore e accademico della Crusca, con l’appellativo Esercitato, dal motto scelto: “esercitar mi sole”. Ma l’attività che lo rese famoso e temuto dal popolino superstizioso fu quella che più ci intriga di straordinario ideatore e realizzatore di artifici chimici, sperimentazioni biologiche e “macchine” anatomiche. I napoletani facevano il segno della croce transitando davanti a palazzo Sansevero, che ospitava il suo laboratorio, per loro un antro nel quale si consumavano chissà quali riti indicibili.
Peraltro, quell’edificio era già segnato dal barbaro uxoricidio ordinato dal principe di Venosa, il noto madrigalista Carlo Gesualdo, per punire il flagrante adulterio della bella moglie Maria d’Avalos col duca d’Andria Fabrizio Carafa. Il sangue colato per le scale dal corpo nudo della donna aveva “gettato il seme” della maledizione di palazzo Sansevero, scrive Paola Amadesi.
Nel lavoro della ravennate ci sono tutte le meraviglie realizzate dal di Sangro e le opere straordinarie da lui commissionate ai migliori artigiani napoletani ed ai più noti artisti del suo tempo, fino a indebitarsi con un esercito di creditori.
Nella Cappella gentilizia dell’edificio, detta anche Pietatella, restaurata sempre dallo stesso principe, sono custodite, esposte e ricordate le numerose le invenzioni, che spaziava dalle armi e armamenti a battelli e carrozze, giocattoli, ornamenti. Ci sono le statue di eccellenti scultori, tra le quali alcune misteriosissime per fattura e dettagli: il Cristo Velato (scolpita da Giuseppe Sammartino e coperta da un velo marmorizzato su procedimento del di Sangro), la Pudicizia e il Disinganno (opera del Queirolo).
Le più suggestive tra le meraviglie concretizzate dal Sansevero sono le macchine anatomiche esibite nella cripta, gli scheletri di un uomo e di una donna con feto in grembo, nei quali “si osservano tutte le vene e tutte le arterie, fatte per iniezione, che per essere tutt’interi e per diligenza, si possono dire singolari in Europa”, come si legge nel manuale edito nel 1767 da Raimondo stesso. I due corpi sarebbero stati trattati dal medico Giuseppe Salerno di Palermo, con tecniche suggerite dal principe, ma tuttora ignote. Nei vicoli circostanti si sostiene tuttora che si tratti delle spoglie di due servi del nobile, ai quali sarebbero stati iniettati liquidi (probabilmente tossici) per evidenziare il sistema circolatorio. Ad ucciderli sarebbe stata proprio quella somministrazione, che andava effettuata in corpi viventi per sfruttare l’azione di “pompaggio” del cuore. Una fake news in anticipo di duecentocinquant’anni sui social? Per Paola, è più probabile che i cadaveri siano stati normali reperti post mortem.
Un’altra curiosità. Come si legge in una nota del maggio 1751 a firma nientemeno del Nunzio Apostolico a Napoli, “con sommo segreto mi è stato confidato che il principe di Sansevero abbia composto una certa materia simile al sangue di San Gennaro”. Aveva infatti messo insieme una sostanza con le stesse proprietà di quella contenuta nell’ampolla: tissotropiche, capaci di cambiare il proprio stato da solido a fluido, se agitate e sottoposte all’azione del calore. Il principe poteva ripetere a comando il “miracolo” del santo.
Era blasfemo, per la Chiesa, l’avere imitato un fenomeno al quale veniva attribuito un significato religioso. Era pericoloso l’essere riuscito a riprodurlo chimicamente, a rischio di turbare la credulità popolare. Ma Sansevero non aveva fatto altro che compiere un altro dei suoi prodigiosi esperimenti: realizzare il solve et coagula, il principio alchemico più importante per la trasmutazione dei metalli e dello spirito dell’alchimista.
Solve-sciogli: gli elementi di frantumano, le negatività si dissolvono, per poi ricomporsi nel coagula, in una nuova unificazione. La Grande Opera.
Il principe alchimista. Vita e leggenda di Raimondo di Sangro, principe di Sansevero
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