Il silenzio dell’altopiano
- Autore: Steinar Bragi
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2017
Lo sfondo geografico costituisce il valore aggiunto potenziale dei romanzi di tensione. Immaginate “La cosa da un altro mondo” (John W. Campbell) ambientato in un luogo diverso da quello abbacinante dei ghiacci polari. Oppure “Shining” (Stephen King) in un albergo che non guardi da presso alle Montagne Rocciose. Non dico che i plot non reggerebbero, solo non avrebbero lo stesso grado di suggestione.
La parabola di straniamento progressivo de “Il silenzio dell’altopiano” di Steinar Bragi (Marsilio, 2017) si svolge in Islanda. Più ancora: negli altopiani sconfinati dell’Islanda desertica, dove non si intravede civiltà né anima viva, per chilometri e chilometri solo natura brada e nera sabbia vulcanica. Nel solco di questo scenario da grado zero percettivo (dunque, di riflesso, esistenziale) si consuma il gioco di rifrazione psicologica della doppia coppia che in una notte di nebbia che non si vede a un palmo, va a schiantarsi con la macchina contro il muro di una casa sbucata fuori da chissà dove. Le coordinate narrative sono più da thriller metafisico che da giallo, a meno che non ci si voglia rifare a certi piani sdruccioli del reale alla David Lynch, o alla surrealtà confinante con l’horror del Lars Von Triers di Antichrist. Questo per prepararvi al fatto che “Il silenzio dell’altopiano” è un libro cinematografico. Nel senso della suspense, del richiamo e dello scavallamento dei topoi di genere, nell’alternanza riuscita di climax e anti-climax.
Della trama aggiungo soltanto che la casa nel nulla con cui si scontrano i protagonisti potrebbe a buon diritto entrare nel novero delle magioni maledette - un (non)luogo da cui è impossibile prendere le distanze - , e i suoi anziani abitanti nella progenie di streghe e orchi cattivi. A portare altra acqua al mulino della suspense ci sono le nebbie, gli animali strani, le oscure presenze, il vento, la mitologia congeniale al DNA di una Natura motore immobile della storia. Anche per questa riuscita commistione di elementi, “Il silenzio dell’altopiano” si presta alla lettura d’un fiato, come romanzo frastagliato e originale in cui il racconto psicologico sfocia nelle pieghe della denuncia sociale, e il racconto leggendario in quello visionario ad alta tensione narrativa. Steinar Bragi fa anche il filosofo: forse per questo ci regala un romanzo stratificato e dialettico, di gran lunga più denso delle comuni letture di genere. Altamente consigliato, anche per l’accattivante traduzione di Silvia Cosimini.
Il silenzio dell'altopiano
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Davvero un romanzo che definirei inutile. Se voleva essere la metafora del nulla direi che l’obiettivo è stato raggiunto. Non emoziona, non diverte, non suscita, non suggestiona. E’ il mio pensiero, ma forse la scrittura di Steinar Bragi tende all’ermetismo assoluto per annientare ogni punto di riferimento e lasciare il lettore a vagare tra le pagine. Contento lui!
Uno dei libri più inutili che abbia mai letto. L’autore si diverte (penso, non trovo altra spiegazione) a disseminare le pagine di fatto misteriosi che tali rimangono. Il finale non spiega nulla, non rivela nulla. Noioso il racconto si alimenta di tempeste di sabbia e fenomeni atmosferici vari. Se volete perdere qualche ora della vostra vita leggetelo.
Uno dei libri più inutili che abbia mai letto. L’autore si diverte (penso, non trovo altra spiegazione) a disseminare le pagine di fatto misteriosi che tali rimangono. Il finale non spiega nulla, non rivela nulla. Noioso il racconto si alimenta di tempeste di sabbia e fenomeni atmosferici vari. Se volete perdere qualche ora della vostra vita leggetelo.