Il venditore di rose
- Autore: Dario Sardelli
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2021
Dario Sardelli, pugliese di nascita e romano d’adozione, ha collaborato come sceneggiatore e autore televisivo ad alcuni dei più importanti programmi di intrattenimento e satira degli ultimi anni, mentre, come scrittore, ha da poco esordito con un giallo, Il venditore di rose (Einaudi, 2021).
Anche se il sole è sorto da poco, la strada che, a Roma, porta al Parco Giordano Sangalli nei pressi dell’Acquedotto Alessandrino, a Tor Pignattara, è già intasata dal “popolo del mattino”: un magma eterogeneo di pensionati, studenti e baristi, cui si aggiunge, all’interno di quello che viene chiamato «il Pratone» – un grande spiazzo di terra infossato tra i palazzoni da un lato e una manciata di villini e casotti dall’altro –, la più acida fauna autoctona – donne disperate, uomini sempre nervosi, vecchie con badanti distratte dal cellulare.
Da lontano, gli archi dell’acquedotto che porta il nome di Alessandro Severo sembrano “le boccucce spalancate di un folto coro di angeli” ed è proprio qui, vicino a un’antica colonna di laterizi romani, che la mattina del 15 febbraio viene ritrovato, coperto da un cartone, il corpo di un uomo martoriato da decine di ferite.
Al vicequestore Piersanti Spina, incaricato di occuparsi dell’omicidio, il ventenne dalla carnagione scura che giace supino senza vita ha un che di familiare. Anche se la morte ne ha modificato i tratti, quel corpo è stato di qualcuno che Piersanti ha incontrato di recente.
La sera prima ha festeggiato San Valentino con la fidanzata Patrizia in una trattoria poco distante dal Pratone e ora non ha dubbi: è stato quell’uomo a vendergli tre boccioli di rose.
Un venditore di rose ucciso la notte di San Valentino: ce n’è già abbastanza per creare un caso mediatico, perciò è necessario trovare l’assassino e trovarlo in fretta.
La squadra investigativa è composta da un gruppo eterogeneo di persone legate fra loro da una specie di alchimia.
Contrariamente a ciò che potrebbe far pensare il suo nome, Karim Taoufik Mohamed è l’unico del commissariato VI a essere nato e cresciuto a Tor Pignattara. Fisico asciutto, occhi azzurrissimi e soltanto la pelle olivastra a tradire le sue origini tunisine, l’agente si è guadagnato il soprannome del difensore storico della Roma per la sua capacità di anticipare l’attaccante avversario quando giocava da ragazzino. È il più romano di tutti i romani anche “nell’ostentare laboriosità nella stasi”.
Occhiali a goccia, pizzetto geometrico, due metri di muscoli e grugno duro, Buttinoni è invece l’ultimo arrivato e prende il suo ruolo in maniera un po’ troppo appassionata: più che un poliziotto sembra un attore che lo impersona. Ma di una cosa si può stare certi: guida da dio.
Nulla a che vedere con l’incoscienza, nella guida, di Tonino Mio, uomo di fiducia del vicequestore:
“Per l’anagrafe, ma solo per quella, il suo braccio destro Tonino era l’ispettore Antonio Paolo Mio, classe 1968, in forze alla squadra investigativa del commissariato VI di Roma dopo dieci anni di servizio nella Digos. La corporatura nervosa, il naso arricciato a mo’ di punto interrogativo, i capelli lunghi legati in una crocchia alta che se li avesse portati così nei carabinieri non sarebbe durato un giorno. Il suo accento siciliano era triste come il tango. E al vicequestore Spina il tango non dispiaceva”.
La presenza femminile è rappresentata da una trentacinquenne partenopea di nobili natali con la vocazione per la divisa, l’agente Flavia Pepe de Vargas Machuca, per i colleghi semplicemente Pepe, un po’ snob, alle volte, ma simpatica.
Infine, lo sfacciato e distratto Parolin:
“Bizzoso, dal grappino facile, avvezzo al turpiloquio, Paolo Parolin si era guadagnato la fama di «ultima spiaggia» quando c’era da assegnare un incarico. Il suo grado era di agente scelto, ma tante volte nel corso degli anni a capo del commissariato VI Piersanti si era chiesto da chi fosse stato scelto e a quale scopo”.
Quanto al vicequestore, sul suo conto circolano tante voci. Fin da bambino si è portato appresso una sequela di leggende a causa della sua malattia:
“Non sentiva nulla, niente di niente. Il mondo delle sensazioni gli era da sempre precluso, come se l’aria che respirava fosse un potente anestetico. La sua fortuna, nella sfortuna, fu che il padre, medico, aveva azzeccato la diagnosi giusta quando Piersanti era ancora in fasce: Insensibilità Congenita al Dolore. L’unica malattia che anziché dare pena, la toglieva”.
Le piste investigative, orientate in diverse direzioni, sembrano i cavi delle antenne di un palazzo: attorcigliate e confuse. Dalla comunità bengalese che vive nel quartiere, all’azienda conserviera alla periferia est della capitale che ha fornito il contratto di lavoro e un regolare permesso di soggiorno in Italia a Rubel Roy – questo è il nome della vittima, un giovane proveniente da una ricca famiglia del Bangladesh, finito a vendere rose per orgoglio e non per necessità. Dalla ricerca di un potenziale testimone, un senzatetto che potrebbe aver visto l’assassino, e che ora è scomparso, a due giovanissimi picchiatori legati ad ambienti dell’estrema destra romana, passando per via Piero Rovetti, “la strada dei trans”.
Sono queste le linee portanti di una storia fitta di episodi, tutti significativi, che mobiliteranno le indagini. Gli elementi a disposizione degli inquirenti daranno un contributo determinante per la soluzione di questo e di altri crimini, anche se non direttamente legati all’omicidio del giovane immigrato.
L’evento centrale del romanzo è modellato su uno dei tanti avvenimenti di cronaca nera grazie al quale l’autore ha cercato di rendere la complessità e le contraddizioni di un fenomeno migratorio che da anni interessa questo luogo di frontiera e che rappresenta l’essenza stessa di Tor Pignattara:
“Tor Pignattara: l’Acquedotto Alessandrino che si dibatteva tra le palazzine popolari e le baracche condonate per grazia ricevuta, due templi indù, due moschee, il Sert, le tante bische e i troppi biscazzieri. I money transfer, gli spacciatori di yaba e quelli di eroina, i vecchi barbieri, gli smorzi, le pasticcerie indiane, le lavanderie a gettoni senza gettoni; le officine meccaniche, i bangla, i discount, le macellerie halal con l’altarino delle Vergine Maria all’ingresso. Le palestre gonfie di ormoni, le alcove dei trans di via Pietro Rovetti con i clienti che ronzano intorno come api nei Mercedes; i negozi cinesi grandi quanto centri commerciali, la galleria d’arte, il Carrefour aperto ventiquattr’ore, il forno aperto ventiquattr’ore, la farmacia aperta ventiquattr’ore con la coda per le siringhe, i gatti, i borgatari nativi e i pionieri della gentrificazione”.
Nel corso dell’inchiesta il lettore familiarizza non solo con l’ambiente in cui è maturato l’omicidio, ma anche con il protagonista e con il suo passato: come ha imparato a convivere con la malattia fin da piccolo; il periodo delle medie, durante il quale ha preso la decisione di diventare poliziotto; le difficoltà incontrate nei rapporti amorosi.
“Come accade a chi non possiede uno dei cinque sensi, con gli altri quattro che si acuiscono per compensarlo, così anche Spina aveva dovuto ingegnarsi negli anni per sopperire all’assenza di dolore. […] Quegli indicatori universali di gioia, paura, fastidio che alcuni studiosi del linguaggio del corpo avevano isolato con fatica dopo lunghi studi sui primati, Piersanti li aveva scoperti scrutando le facce dei suoi compagni di classe, dei suoi genitori, delle donne che aveva amato.
Ma il talento che sopra tutti gli altri si riconosceva, un talento maturato conseguentemente all’osservazione degli altri e senza dubbio il più utile ai fini della sua professione, era quello di intuire chi stesse mentendo”.
Rispetto a ciò che a volte accade in letteratura, ossia che l’investigatore ha una sorta di super potere (come entrare nella mente dei bambini, o percepire i pensieri e le parole dell’ultimo istante di vita delle vittime di morte violenta), Dario Sardelli, per il suo protagonista, ha preferito procedere per sottrazione.
Il risultato è un intreccio di vicende coinvolgenti per i cultori del giallo, ma il romanzo si presta anche a una lettura meditata.
Il venditore di rose riesce a sorprendere per la qualità della scrittura, la sagacia, l’umorismo di alcune situazioni e delle battute, per quanto a volte pungenti; per l’abilità nel descrivere e caratterizzare persone, relazioni, amori e ambienti – siano essi un parco, un’abitazione, una via o un quartiere –, vari aspetti della vita sociale, esperienze vissute, attualità e uno sguardo attento a tutto ciò che accade.
Ma, soprattutto, è concreto e salutare il rapporto che l’autore intrattiene con la “sua” Tor Pignattara, con i suoi colori, profumi e sapori: scoprirà il lettore come Sardelli non perda occasione di trattenersi e di ospitarlo.
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