La nostra collaboratrice Tiziana Viganò ha intervistato per Sololibri lo scrittore Luca Sciortino, ponendogli alcune domande sul suo ultimo libro Oltre e un cielo in più edito da Sperling & Kupfer nel 2018.
Scopriamo dalle parole dell’autore cosa lo ha portato a scrivere questo libro e conosciamolo meglio.
- 1. Luca Sciortino è scrittore, viaggiatore e giornalista. Lavora per la rivista Panorama e pubblica saggi di filosofia, fotoreportage di viaggio e racconti. Ma vorrei sentire da te: chi è Luca Sciortino?
Semplicemente una persona curiosa, innamorata della diversità del mondo, e con una naturale disposizione a porsi domande su questa complessa diversità. Come scrittore sono una persona non facilmente etichettabile: le mie pubblicazioni spaziano dai reportage foto-giornalistici, ai racconti, agli articoli di divulgazione scientifica fino agli articoli accademici di filosofia.
Il mio stesso curriculum vitae include studi in apparenza differenti come la laurea in fisica teorica e il dottorato in filosofia. In realtà, questa produzione variegata è frutto della mia disposizione naturale a esplorare prospettive e approcci differenti alle domande che mi pongo e della mia insofferenza a rinchiudermi in una singola disciplina.
Penso che la realtà sia multidimensionale e che sia importante vivere apprezzandola in tutti i suoi aspetti, per quanto ci è possibile. Esistono prima di tutto le domande, poi le risposte possono richiedere di volta in volta uno o più metodi differenti, magari appartenenti a discipline diverse di studio. Porsi domande sulle cose, essere aperti alla diversità degli approcci e dei metodi e riflettere sui loro limiti è un’attitudine tipicamente filosofica.
- 2. Posto che il “mezzo del cammin di nostra vita” si è spostato un po’ più avanti rispetto a Dante, ti sei trovato in un momento in cui sentivi l’inquietudine del vivere in una società che ti sta stretta, la routine, le mille regole e costrizioni, i rimpianti per le cose non fatte ancora….così hai preso una decisione.
Io vedo l’avventura, i libri e l’amore per gli esseri umani come tre forme diverse di viaggio. Un’avventura ti fa viaggiare nello spazio o in culture differenti; un libro in una storia, in un sistema di pensiero, in una vita; l’amore nell’universo interiore ed esteriore di un altro essere umano. Io cerco di nutrire la mia vita quanto più posso con queste tre forme di viaggio. Ciò vuol dire cercare giorno per giorno il modo per farlo in circostanze che possono anche essere sfavorevoli. Il mio viaggio dalla Scozia al Giappone, che ho raccontato in “Oltre e un cielo in più” (Sperling & Kupfer), rappresenta la soluzione, in un particolare momento della mia esistenza, al problema di nutrire la mia vita con il viaggio, in una delle tre forme appena descritte.
- 3. Parlaci del momento in cui ti è venuta l’idea di fare questo viaggio
Mi trovavo nell’isola di Skye, in Scozia, per una breve vacanza dalla vita accademica: in quel momento ero Research Fellow in filosofia della scienza all’università di Leeds, nel nord dell’Inghilterra. Dopo quattro mesi sarei dovuto tornare in Italia. Ho deciso di impiegarli nel modo migliore, mettendomi in cammino per vedere le culture cambiare dalla Scozia a Giappone. A spingermi a partire è stato un desiderio di conoscenza, di libertà e di autonomia. Volevo costruirmi il mio personale percorso attraverso Kazakistan, Russia e Mongolia per raggiungere il lontano Oriente. Oggi, molti viaggiano seguendo traiettorie stabilite da agenzie turistiche e con mezzi di trasporto che non permettono di vedere come cambiano volti, culture, paesaggi, mentalità. Io volevo costruire la mia personale traiettoria.
- 4. Quindi ti sei messo in viaggio dalla Scozia, e il tuo è stato un cammino di diciottomila chilometri, lento e senza un progetto fisso, fatto con mezzi che ti hanno permesso di goderti il percorso fino alla tua Itaca, un’Itaca interiore, che però ha un nome concreto, Tokyo. Spiegaci questo tuo andare…
Il mio andare è stato a tratti un “errare”, un essere “errabondo”. Ogni giorno cercavo il modo per andare avanti, con qualunque mezzo possibile, con il solo vincolo di fermarmi dove vi era la possibilità di conoscere o di vedere la bellezza di nuovi luoghi. L’etimologia latina di “errabondo” suggerisce l’idea di “errore”: viaggiare in questo modo, senza una meta sicura e un percorso già stabilito, significa mettere alla prova se stessi e le nostre idee, sottoporsi alla possibilità dell’errore, per imparare e disimparare, per abbandonare i preconcetti, per conoscere i propri limiti.
- 5. Tu, da filosofo, senti un’esigenza di profondità, di conoscenza, una sete che ti guida verso l’infinito. Per andare oltre le cose materiali, ma anche oltre i propri limiti, come hai detto.
Sì appunto. Quella del superare i propri limiti è da sempre la tensione dei grandi viaggiatori. Ulisse disconobbe i limiti posti alla conoscenza dell’uomo e andò impavido verso ciò che non conosceva, oltre le colonne d’Ercole. Il mio libro è un inno al coraggio di violare gli schemi imposti dalla società; è un invito a lasciare tutto per un po’ e mettersi in cammino, almeno per un tratto della propria vita; è un incitamento a conoscere per curare il proprio spirito.
- 6. “La strada la fai andando” scrivi nel tuo libro: hai detto che sei andato accettando gli eventi che ti si presentavano, accettando il Caso, la contingenza, la non-necessità…
“La strada la fai andando” è un’espressione del poeta Machado (“caminante no hay camino, se hace el camino al andar”) che io uso per indicare un tipo di viaggio che è esattamente il contrario di quello del turista. Quest’ultimo vive un’esperienza precostituita da altri e percorre sentieri battuti da milioni di altri turisti come lui. Io trovavo il modo per andare avanti di giorno in giorno, decidendo in base alle circostanze, avendo in mente una meta che non ero nemmeno sicuro di poter raggiungere.
La mia traiettoria finale riflette me stesso, le mie scelte, che sono state determinate da diversi fattori: la meta che volevo raggiungere, ciò che ho amato e ciò che è stato più forte di me nella via. Quando ho visto la mia traiettoria finale tracciata su una cartina ho visto me stesso, come in quel racconto di Borges in cui un pittore che voleva dipingere il mondo scoprì lui stesso nelle linee tracciate nella tela.
- 7. Gli occhi del viaggiatore si aprono, come la sua mente, alla scoperta di un mondo dalle facce multiformi. È sempre diverso il mondo degli uomini, ma si possono cogliere sfumature che ci rendono tutti uguali, figli della stessa Natura.
In “Oltre e un cielo in più” c’è una foto che ho scattato nella campagna ucraina alla quale sono molto affezionato. Rappresenta una madre che aggiusta il cappellino del figlioletto sorridendo. Ho scritto che quel gesto è sempre uguale, ovunque tu vada. I modi di vivere, pensare, pregare cambiano, così come i volti e il colore della pelle, ma ci sono gesti che sono sempre uguali: appartengono a ciò che chiamiamo l’essere umani.
- 8. Certamente, e il linguaggio non verbale, che si esprime attraverso i gesti e le espressioni del volto, è universale, non cambia con il cambiare del colore della pelle. Durante un viaggio si sperimenta anche un diverso approccio empatico verso altri essere umani, diverso rispetto ai modalità cui siamo abituati nella vita di tutti i giorni, si impara ad ascoltare e capire anche lingue diverse dalla nostra, si impara a condividere, si sviluppa la capacità di riconoscere la diversità come un valore prezioso, che arricchisce, di accettarla con rispetto e umiltà.
“Oltre e un cielo in più” è un libro pieno di meraviglia per la diversità umana. Il viaggio presuppone la diversità. Senza quest’ultima, collassa nel suo contrario: la ripetizione. Nel mondo aumentano i non-luoghi, come li definiva il sociologo Marc Augé, luoghi senza identità e storia. Questa omologazione è un pericolo per il pensiero umano, così come la perdita di biodiversità biologica è un pericolo per la nostra salute. Infatti il pensiero si nutre di diversità.
- 9. Tanti paesaggi naturali e tanti paesaggi umani scorrono davanti a chi sa guardare il mondo con gli occhi di chi scopre il meraviglioso, il bello e il terribile, e di chi sa godersi il viaggio senza preoccuparsi troppo della meta, perché la vera felicità sta nel viaggiare stesso.
Nel viaggio è come nella vita: la gioia di raggiungere un obiettivo è effimera. Conta più che altro avere una direzione. Quando ce l’hai, anche se stai faticando, ti scopri soddisfatto, a tratti persino felice. Io avevo una direzione e cercavo di godere di tutto ciò che incontravo sulla via.
- 10. Da un viaggio di ricerca si torna sicuramente diversi da come si è partiti, si comincia a cambiare fin dal momento in cui si progetta il viaggio.
Dipende da come viaggi, quanto sei disposto ad aprirti agli altri e quanta conoscenza hai accumulato sulle culture dei posti che visiterai. Il vuoto del viaggiatore produce la vacuità del viaggio. In generale devi vivere a lungo in un luogo ed entrare nell’orizzonte mentale di un’altra cultura per cambiare tu stesso. Devi vedere le cose da altre prospettive e accorgerti di quello che non vedevi.
- 11. L’uomo nomade, ci parli della letteratura su questo argomento?
Credo che la storia di Caino e Abele nella Genesi offra lo spunto per una riflessione sul nomadismo. Abele il pastore offre a Dio un agnello e del grasso, Caino offre i frutti dell’agricoltura. Dio apprezza più il dono del pastore Abele e Caino l’agricoltore lo uccide. Dio allora punisce Caino e lo condanna a errare. Il viaggio senza ritorno, il vagabondare, l’errare era visto come una colpa dagli antichi. Poi, per tutta la storia, i nomadi sono stati perseguitati dalle ideologie dominanti perché erano in fondo dei ribelli, uomini e donne che non volevano sottomettersi alle regole della sedentarietà. La letteratura romantica li ha esaltati, enfatizzando la loro passione per il cambiamento e la loro forte individualità.
Credo che la vita degli esseri umani oscilli tra il desiderio di stabilità e quello di cambiamento. La storia offre esempi di vite caratterizzate dalla stabilità, come quella del filosofo Immanuel Kant, che desiderava restare in Prussia per insegnare ai giovani il senso critico, ma offre anche esempi di vite caratterizzate dal cambiamento, come quella dell’esploratore James Cook che diceva di ascoltare il richiamo del mare. Su quale parte di questo spettro va a situarsi una vita umana dipende dalle circostanze e dalla propria indole. I modi di vita dei nomadi stanno sull’estremo dello spettro del cambiamento, vivono senza molte regole e per questo sono interessanti al viaggiatore europeo. “Oltre e un cielo in più” racconta i nomadi kazaki e mongoli.
- 12. Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Vivere con le tre forme di viaggio di cui parlavo prima. Il guadagno economico mi interessa nella misura in cui le rende possibili nella mia vita.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Luca Sciortino, in libreria con “Oltre e un cielo in più”
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