Tullio Avoledo è nato a Valvasone in Friuli nel 1957, ma vive e lavora a Pordenone. Ha scritto più di una dozzina di romanzi, cambiando generi e stile ogni volta. A tutt’oggi è lo scrittore più interessante della sua generazione. Ora in libreria con Nero come la notte (Marsilio, 2020), ha tra le sue opere L’elenco telefonico di Atlantide (Sironi, 2003 - Einaudi, 2003), Tre sono le cose misteriose (Einaudi, 2005), La ragazza di Vajont (Einaudi, 2008), Furland (Chiarelettere, 2018).
- 1) Questo romanzo noir le dà la qualifica di "studioso dei generi". Com’è arrivato a questo libro? Quanto tempo le ha preso?
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Più che uno studioso sono un frequentatore, dei generi. Sono un lettore onnivoro, e questo si traduce in un grande rispetto per i buoni libri, a qualunque genere appartengano. Non ho pregiudizi o allergie verso la pagina stampata. Ho scritto un romanzo, L’anno dei dodici inverni, la cui struttura era dichiaratamente un omaggio al videogame Fallout 3, e addirittura una trilogia dedicata al progetto trasversale Metro 2033 di Dmitry Glukhovsky. Il noir e la fantascienza sono generi ingiustamente considerati, da certa critica o da alcuni lettori con la puzza sotto il naso, dei “sottogeneri”, o peggio. In realtà scrivere un buon noir, e più ancora un buon romanzo di fantascienza, non è per nulla facile. Grandi autori di libri “mainstream” si sono cimentati con questi due generi, con risultati di solito pessimi, perché ogni genere ha le sue regole precise e un pubblico estremamente preparato, difficile da convincere.
Cominciando a scrivere Nero come la notte chiaramente sapevo che sarebbe stato un noir, dato che cominciava con un omicidio. Ma volevo parlare anche del percorso di redenzione di un uomo, e del declino della nostra società. I giudizi positivi della critica, e soprattutto dei lettori, mi confermano che sono riuscito a far stare tutte queste tre cose sotto la coperta (o meglio, la copertina…) del romanzo. Che è nato da stimoli diversi: un articolo che mia moglie mi fece leggere, che parlava di un condominio occupato da una comunità eterogenea di disperati, in gran parte migranti, e poi un saggio sulla battaglia di Dien Bien Phu, e una canzone di Bertrand Cantat. Come in certi cocktail, tre ingredienti diversi e apparentemente stridenti l’un con l’altro si sono uniti a fornirmi una traccia da seguire. E io l’ho seguita fino in fondo. Diciamo che man mano, come scrittore, raccoglievo gli indizi che componevano la storia. C’è voluto parecchio più del tempo che di solito impiego per scrivere un romanzo. Diciamo un anno e mezzo di scrittura e, soprattutto, riscrittura.
- 2) Nero come la notte è un romanzo di molte pagine, più di cinquecento. È cresciuto nel farsi o la struttura narrativa originaria prevedeva lunghezza del libro?
Purtroppo sono un maratoneta della scrittura e non un centometrista. Lo dico con grande rammarico, perché significa ammettere di non riuscire a scrivere un racconto breve. È un mio limite, dovuto probabilmente al fatto che ognuno dei miei libri è un mondo a sé, e descrivere un mondo e farci calare il lettore richiede un congruo numero di pagine. Ho scritto un solo romanzo breve, ed era Furland®. I miei lettori abituali però si sono lamentati del fatto che era troppo corto. Beh, facendo la media con Nero come la notte direi che ci ritroviamo con due romanzi della lunghezza giusta. Quando comincio a scrivere non ho, in realtà, idea di quante pagine scriverò. È il romanzo a ricavarsi il suo spazio, secondo le sue esigenze. Comunque il problema, coi libri, non è quando le pagine sono tante, ma quando al lettore sembrano troppe…
- 3) Elisabetta Bolondi, che ha scritto la recensione del suo libro su sololibri.net, le chiede il perché di quelle descrizioni così crude, oltraggiose per il corpo delle ragazzine, quella violenza verbale così devastante? Da dove viene?
Viviamo in un mondo violento, in un tempo cupo, in cui gli esseri umani sono merci e strumenti. Tutto ha un prezzo e più niente ha un valore. Quello che di terribile descrivo nel romanzo - gli snuff movies, in primo luogo, i film che mostrano, per il piacere sadico di chi li compra e guarda, torture e morte realmente inflitti a un uomo o a una donna - non li ho certo inventati. Così come non ho inventato il fatto che molti ragazzi e ragazze oggi imparino il sesso guardando film porno. O che tanti giovani si vendano per un iPhone o una ricarica da venti euro. I luoghi di ritrovo, come le discoteche, sono diventate delle reti da mattanza in cui i nostri figli vengono intrappolati per consumare, spendere, sballare. Non potevo restare cieco o insensibile. Volevo colpire il lettore con un pugno in pieno petto, come si fa con qualcuno che devi rianimare. Uno shock voluto. Scrivendo quelle scene terribili ho cercato di essere vero sino ai limiti del brutale, ma soprattutto di evitare ogni forma di possibile compiacimento da parte del lettore. Volevo scene dure, che non avessero l’effetto di eccitare il lettore. I riferimenti che mi ero dato erano il romanzo di fantascienza Il pianeta Sangre di Norman Spinrad e Arancia Meccanica di Anthony Burgess per il taglio delle scene, e soprattutto Il mondo nuovo di Huxley, un romanzo profetico del 1932 che descrive un futuro in cui tutti sono diventati dei consumatori e i sentimenti non esistono più, in cui la storia è stata azzerata e il sesso non ha più significato di una stretta di mano. È una dittatura morbida, la dittatura del politically correct e delle grandi corporazioni: non ci sono più guerre, né razzismo, né miseria. Ma è un mondo disumano come quello verso cui stiamo viaggiando alla velocità di internet.
- 4) Il suo romanzo non ha appigli miracolistici, gli uomini più delle donne sembrano esseri orrendi e solo pochi si salvano. Non meritiamo nemmeno la misericordia?
Ma non è vero! Sergio si salva. E alcuni dei personaggi che incontra alle Zattere sono vitali e mi fanno sperare, come mi fanno sperare i ventenni coetanei dei miei figli. Sergio si salva proprio perché la sua programmazione mentale viene azzerata e alle Zattere subisce un restart, che lo obbliga a vivere e valutare le cose senza il peso e i blocchi dei suoi pregiudizi. Dovremmo vivere meno nel virtuale e più nel reale, dove la bontà e l’onestà sono meno rare di quanto si creda. E dovremmo unirci nel nome di una vita giusta e pulita, opporre resistenza all’incanaglimento della nostra società. Non a caso il libro è dedicato “a chi resiste”. Dobbiamo redimerci e guarire il mondo, prima di tutto guarendo noi stessi, liberandoci dall’incantesimo che è calato dall’alto sulle nostre menti e sui nostri cuori. Altrimenti no, non meritiamo alcuna misericordia. E non verrà nessuno da fuori a liberarci: dobbiamo farlo da soli.
- 5) Cosa pensa delle scuole di scrittura creativa? Servono a diventare scrittori o al più lettori più assennati o non servono a niente?
Posso parlare solo per la mia esperienza diretta di un corso frequentato a Pordenone vent’anni fa. Era un corso di lettura, più che di scrittura… “Lettori più assennati” mi piace: forse, meglio ancora, lettori consapevoli. Posso dire che sono diventato scrittore perché in quel corso ci fecero leggere un racconto di Salman Rushdie, La radio gratis, dove il punto di vista del narratore era quello, di sghembo, di un vecchio seduto sotto un albero, che aveva una conoscenza solo marginale delle cose. Fu una vera folgorazione, che mi portò a scrivere con una nuova consapevolezza tecnica. Fu così che sei anni dopo, grazie a quel corso e a quel racconto, mi ritrovai sul palco di un prestigioso premio letterario, accanto a Salman Rushdie. Quindi nel mio caso posso dire che quel corso è servito. Punto e basta, però; non posso parlare di altri corsi che non conosco. Il 29 febbraio terrò una conversazione - non una lezione! - sul tema delle distopie al corso Pordenonescrive. L’argomento lo conosco e quindi non mi spaventa e la data mi sembra davvero ben scelta per dire che non lo farò troppo spesso.
- 6) Nel 2019 sono usciti romanzi o saggi che le sono piaciuti e che si sente di consigliare?
Beh, per me il saggio dell’anno è stato Il destino di Roma, di Kyle Harper, uno studio su come l’ascesa e il declino di quella superpotenza del passato siano stati influenzati, più che dalle battaglie vinte o perse, dai cambiamenti climatici e dalle epidemie. Mi sembra decisamente un saggio importante, per non dire vitale. Ma in generale è stato un anno di buone letture. Cito en passant due altri saggi, La sostanza delle cose di Mark Miodownik, che è un saggio sui materiali che usiamo ogni giorno e che nascondono incredibili segreti, e Crisi: come rinascono le nazioni di Jared Diamond, un autore che considero una guida e una fonte d’ispirazione. È poi uscita, in inglese, la raccolta di tutte le poesie di Carol Ann Duffy. Infine, anche se leggo pochi romanzi, mi sento di consigliare caldamente I cieli di Sandra Newman (un libro imperfetto, ma estremamente ben scritto) e Le sette morti di Evelyn Hardcastle di Stuart Turton, un giallo che mi ha fatto letteralmente andare fuori di testa per l’abilità dell’autore di costruire un’incredibile architettura narrativa.
Se posso aggiungere un consiglio finale a lettori assennati che ambiscono a scrivere, quando leggete un libro che vi ha colpito, chiedetevi come c’è riuscito. Io mi spingo oltre e faccio il cosiddetto reverse engineering: lo rileggo, lo smonto nelle sue componenti e poi lo riassemblo finché non capisco (o credo di capire…) come funziona. Il massimo, poi, è quando posso incontrare di persona scrittori come Turton, o David Mitchell, o Adam Thirlwell, e interrogarli dal vivo, con la spietatezza di un investigatore, sui segreti del loro mestiere. Perché non si finisce mai d’imparare. La vita è una grande scuola di scrittura a cielo aperto.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Tullio Avoledo, in libreria con “Nero come la notte”
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