Luigi A. Galluzzo è nato e cresciuto in Sicilia. Da anni vive e lavora a Roma, dove si occupa di televisione e informazione. Il suo è un volto noto per i telespettatori dei programmi Mediaset, essendo stato per dieci anni e più fino a giugno 2021 conduttore di Tgcom24, poi come giornalista di Studio Aperto e del TG4. È anche giornalista parlamentare.
I giusti e i peccatori (AUGH!, 2021) è il suo primo romanzo.
Il giornalista ha risposto ad alcune domande sul libro:
- La ringrazio per la disponibilità. Quando ha deciso di scrivere I giusti e i peccatori e perché ha scelto questo titolo, molto suggestivo peraltro?
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Il libro ha avuto una gestazione piuttosto lunga, un paio d’anni. Il titolo nasce da un’intuizione dell’editor Diego Di Dio, che mi ha proposto di valorizzare una frase ricorrente all’interno del romanzo: i giusti e i peccatori, appunto. Di sicuro l’esplorazione della sottile linea di confine che corre tra il bene e il male è l’elemento principale della narrazione, il cuore della mia narrativa, il motivo stesso per cui scrivo.
- Tra serie crime televisive e letteratura di genere siamo sommersi dai commissari di Polizia italiani e stranieri e sembrano non bastare mai; qual è il motivo, secondo lei?
In parte si tratta di moda, certo, in parte deriva dal fatto che siamo di fronte ad un genere che come si dice in gergo "tira", penso però che ci sia anche una ragione più profonda. La nostra realtà è così sfuggente, multiforme, ambigua, che per indagarla, dipanarla, servono continuamente nuovi e più provveduti investigatori, oserei anzi dire che di fronte a tanto caos gli investigatori non sono mai abbastanza.
- Elena Martire è un commissario abbastanza anomalo. Perché ha deciso di darle dei poteri per capire che c’è stato un omicidio?
Sono sempre stato affascinato dal legame misterioso che a mio avviso esiste tra tutti gli elementi del cosmo. Penso che per interpretare la realtà che ci circonda bisogna dotarsi di poteri che vadano oltre quelli usati abitualmente. Ma a parte questa affermazione che magari potrà sorprendere molti, devo dire che la sensibilità di Elena per molti versi è proprio il suo elemento di maggiore fascinazione. Anche se poi, per lei, in fondo, le premonizioni diventano più che un potere, una dannazione.
- Elena Martire non fa mistero delle sue inclinazioni sessuali. E siamo in Sicilia. Solo trenta anni fa, ma anche meno, fare coming out e dichiararsi lesbica, se donna o gay, per un uomo non era ammissibile, siamo sicuri che ora ci sia realmente questa libertà sessuale?
Sicuramente siamo più liberi di esprimerla questa libertà, lo si fa apertamente nel dibattito pubblico, la si rivendica, seguendo quell’onda d’urto che sta smuovendo le coscienze, abbattendo molti pregiudizi e sta facendo cadere molti tabù. Le resistenze però sono ancora tante, troppe. Elena Martire da questo punto di vista io la vedo proprio come l’emblema della libertà sessuale come normalità. Nel romanzo semplicemente non ci si pone il problema, Elena è così e basta e nessuno osa metterla in discussione, come dovrebbe essere, appunto.
- L’inserimento di pezzi di canzoni o di poesie dà al libro uno spessore che di solito nella letteratura di genere non c’è. È avvenuto per caso o scientemente si è fatta una scelta di stile?
È una scelta che nasce dalla voglia di inserire pienamente i personaggi del romanzo in un contesto fatto di odori, di sensazioni, di percezioni ovviamente e inevitabilmente anche di suggestioni sonore. La musica è il sottofondo della vita contemporanea, sarebbe assurdo escluderla a mio avviso.
- Cosa pensa dell’editoria italiana, dove un libro sembra avere un mese, se va bene, di visibilità e poi il resto si ritaglia nei siti online di letteratura, nel passaparola etc..
Certamente esiste una sovrapproduzione libraria, ma la sovrapproduzione in quest’epoca riguarda tutti i campi, dall’arte ai formaggini. Penso che riguardo ai libri non sia una cosa da stigmatizzare però, è la semplice conseguenza dell’allargamento smisurato di quanti sanno leggere e scrivere, solo pochi anni fa erano pochi, oggi siamo miliardi. Non una cosa negativa dunque, a patto però di non considerare i libri semplici oggetti di consumo, da usare e gettare via. No, i libri sono altro, bisogna saperne sempre valorizzare la caratteristica principale, quella di essere fatti per durare. Ma credo che i buoni libri durino, se non durano è perché non sono buoni.
- Il problema Covid purtroppo ancora non è superato. Lei crede che in questo periodo si è letto di più perché si è rimasti più in casa o sono i lettori forti che determinano il successo o meno dei romanzi o dei saggi pubblicati?
Ho sempre pensato che il successo di un libro, come di un film, come di tutto in fondo, dipenda sempre da una molteplicità di fattori, non ultimo lo spirito dei tempi. Quanti libri e autori abbiamo visto trionfare e poi scomparire, oppure conoscere lunghi oblii e poi diventare o tornare ad essere dei classici? Insomma credo che il successo nella scrittura è nella vita rimanga sempre un’alchimia inafferrabile.
- Lei consiglierebbe un corso di scrittura creativa a qualcuno che le dovesse chiedere come si fa a scrivere?
Non lo so, temo che uno dei rischi che corriamo in questo periodo storico sia quello di scrivere tutti più o meno le stesse cose e nello stesso modo. Forse allora più che seguire un corso di scrittura consiglierei di coltivare una vera, spontanea, sincera, creatività.
- I lettori sono sempre curiosi di sapere cosa leggono gli scrittori. Quali libri le sono piaciuti nell’ultimo periodo?
I miei libri di riferimento? Molta fisica quantistica, compreso Rovelli, tutto Calvino e Simenon, The Crying of Lot 49 di Pynchon, El libro de arena di Borges e la vertigine del Paradiso di Dante.
Recensione del libro
I giusti e i peccatori
di Luigi A. Galluzzo
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista al giornalista Luigi A. Galluzzo, in libreria con il primo romanzo “I giusti e i peccatori”
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