Io lo conoscevo bene. Storia semiseria di Gianfranco D’Angelo, eterno fanciullo
- Autore: Marina Baumgartner
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Giraldi Editore
- Anno di pubblicazione: 2022
Io lo conoscevo bene. Storia semiseria di Gianfranco D’Angelo, eterno fanciullo (Giraldi Editore, 2022) è un atto di amore nei confronti di un amico artista, una persona colta e serissima, che parlava con competenza e con il quale dialogare era sempre molto piacevole.
Dopo un anno dalla scomparsa di Gianfranco D’Angelo, la giornalista Marina Baumgartner ha sentito la necessità di tributargli il suo immutato affetto raccogliendo aneddoti e le lettere a lui indirizzate dai suoi più cari amici, da Antonio Ricci a Stefano Masciarelli, da Pierfrancesco Pingitore a Graziella Pera, da Marisa Laurito a Laura Lattuada, anche in virtù un desiderio che l’attore comico non aveva potuto realizzare, quello di scrivere insieme a lei un libro.
Un mito è un mito. Che ha scritto una pagina di storia non necessariamente con le armi e il sangue, ma anche con l’arte e il sorriso. Un mito lo riconosci e io l’ho riconosciuto.
Sempre ironico, sempre sornione, sempre pronto a ricominciare con un coraggio che hanno solo i leoni, scrive nella prefazione l’amico di sempre Ezio Greggio, ricordando quando insieme lavoravano in televisione in Drive in, scherzosi con l’amico Beruschi, vittima preferita, e divertiti nell’ indossare strane giacche, baffi nelle orecchie, pinne ai piedi e tanto altro. Marina Baumgartner gli è stato accanto curando l’ufficio stampa per trentacinque anni. Lo conosceva bene, quindi; gli organizzava interviste, servizi fotografici, ospitate nelle trasmissioni, prime teatrali. E non solo la relazione tra ufficio stampa e artista è di stima, di contatti continui e di grande dialogo, ma è un rapporto professionale che alla fine diviene anche umano.
Una grande avventura insieme iniziata nel 1985, con Gianfranco D’Angelo in teatro con Alleluja brava gente, accanto a Rascel e Proietti, sui palchi in giro per l’Italia per cinquanta minuti di fila senza mai riprendere fiato e con i pezzetti di casa dentro la valigia. Dalle trasmissioni televisive di intrattenimento ai teatri italiani, Il paradiso può attendere, I cavalieri della tavola rotonda, Il padre della sposa, Indovina chi viene a cena, solo per citarne alcuni, al cinema con i film mitici degli anni Settanta tanto amati poi da Quentin Tarantino, fino al provino per Il Divo di Paolo Sorrentino.
Memoria prodigiosa, sempre professionale e professionista, ha lavorato per la Rai e per Mediaset, ha girato 51 film, ed è stato protagonista di numerosissime pièce teatrali; è rimasto nella leggenda il suo inserire le prove fino all’ultimo giorno di spettacolo e arrivare in teatro sempre un paio d’ore prima, girare tutta la sala e rivedere le parti. Il pubblico lo ha amato e lui lo ha corrisposto. Figlio unico di una famiglia semplice, dopo la morte dei genitori all’eta di tre anni verrà affidato ad una zia. Con la guerra in corso i soldi erano sempre pochi e crescendo studiava e lavorava, ci si adattava a fare mille mestieri.
Timido e sensibile, sapeva di non essere un bello ma era un vanitoso: ci teneva molto all’aspetto e ai vestiti, e una grande passione per le camicie. Come all’aspetto anche alla buona tavola, una lotta continua con la bilancia. La dieta era una delle sue più grandi dannazione, ghiotto come era di tutto, specie di spaghetti al pomodoro, per lui cibo per antonomasia, che cucinava in modi diversi.
Amava fare gli scherzi, si divertiva tanto, e rimane nella storia il più famoso, quello del dito: camminava con l’indice puntato verso l’alto, il viso preoccupato e in pochi minuti una piccola folla cercava con lui di individuare cosa ci fosse in alto, nel cielo.
E poi i finti tic e quell’innata capacità di far raccontare alle persone le cose più nascoste, quelle che mai avrebbero voluto dire.
Io lo conoscevo bene è il ricordo affettuoso delle esperienze umane e professionali di un grande attore completamente dedito al suo lavoro, e della sua vita vissuta con la consapevolezza della leggerezza, che come scriveva Calvino“non è superficialità” ma significa vivere le cose con ironia, togliendo peso dal cuore.
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