Karin Boye si tolse la vita il 24 aprile 1941 inghiottendo dei sonniferi. Il suo corpo venne ritrovato soltanto giorni dopo, avvolto nell’erica delle colline nei pressi di Alingsås. Era tra le più celebrate poetesse svedesi della sua generazione e, appena un anno prima di morire, aveva dato alle stampe un romanzo Kallocaina, recentemente portato sugli scaffali italiani da Iperborea. Un libro visionario che oggi, ottantadue anni dopo la sua prima pubblicazione, appare profetico nella sua capacità di intuire le inquietanti derive dei totalitarismi e i pericoli dell’avvento di una società di massa.
Karin Boye, la distopia di “Kallocaina” prima di Orwell
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Questa autrice geniale - purtroppo ancora sconosciuta ai più - aveva anticipato di ben otto anni le tematiche trattate da Orwell nel celeberrimo 1984.
Il nome di George Orwell oggi lo conosciamo tutti, sulla base di quelle logiche misteriose e imperscrutabili che governano il destino dei libri, mentre quello di Karin Boye è stato risucchiato dal vortice dell’oblio. A livello internazionale in pochi la ricordano; la fama di Boye è circoscritta alla Svezia, il suo paese natale, in cui è celebrata soprattutto per il suo alto valore di poetessa.
La sua distopia letteraria, Kallocaina. Il siero della verità (Iperborea, 2023, trad. Barbara Alinei), tuttavia mantiene intatto il proprio valore profetico: nel lontano 1940 Boye immaginava una società futura in cui sarebbe stato completamente annichilito il concetto di individuo a favore di quello di Stato, di “democrazia”, di comunità, del cosiddetto “bene comune”.
Il romanzo era narrato sotto forma di diario dal protagonista, Leo Kall, geniale inventore di una droga rivoluzionaria: la “kallocaina”, un siero della verità. Scoperto il potere miracoloso della sua invenzione Kall deve scegliere come utilizzarla: deve porla al servizio dello Stato assolutista, oppure dell’individuo innescando così una lotta per l’indipendenza?
Il Grande Fratello di Orwell in realtà aveva un predecessore più che degno, lo “Stato Mondiale” narrato da una fragile e visionaria scrittrice svedese.
Ma cosa condusse Karin Boye a compiere quel gesto estremo il 24 aprile del 1941? La sua vicenda personale, come vedremo, non fu meno tormentata della sua opera narrativa e poetica.
Karin Boye: la vita di una scrittrice inquieta
Nacque a Göteborg, nella Svezia meridionale, a inizio Novecento da una famiglia di discendenza tedesca. Il suo era un talento precoce, Karin Boye aveva pubblicato la sua prima raccolta di poesie, intitolata Moln (in italiano “Nuvole”, Ndr), a soli ventidue anni.
Era curiosa e interessata a tutto. Durante gli anni del liceo aveva letto Kipling e Tagore e si era appassionata alla mitologia indiana al punto da voler apprendere il sanscrito. La passione per le lingue non era venuta meno durante gli anni universitari: Karin si era iscritta all’università di Uppsala dove studiava il greco antico e le letterature nordiche.
Non era solo una studentessa brillante, ma anche una fervente attivista: militò nel movimento socialista “Clartè” animato da solidi ideali pacifisti, di cui faceva parte anche una certa Selma Lagerlöf che avrebbe vinto il Nobel.
In questi anni di impegno civile e politico conobbe l’attivista e intellettuale Leif Björk, colui che sarebbe diventato suo marito. La relazione tuttavia era destinata a naufragare presto, perché da tempo Karin sospettava di essere bisessuale - lo aveva confessato soltanto ai suoi diari - e proprio per quella ragione aveva rinunciato a proseguire gli studi in teologia come le era stato consigliato dagli insegnanti.
Sentiva che c’era qualcosa di sbagliato in lei, qualcosa di oscuro. Questa crisi interiore aveva trovato voce ed espressione attraverso la poesia; in Nuvole Boye scriveva:
quando i nostri dèi cadono / e stiamo soli tra i frantumi, / senza più appoggio per i piedi / come sfere nello spazio
Dietro quel titolo aereo Moln, Nuvole, si nascondeva il ritratto di un’anima inquieta avvolta da un velo di tenebra. Dopo il divorzio dal marito - il matrimonio naufragò nell’arco di due anni - Boye si trasferì a Berlino. Si strappò al suo mondo, come se si stesse sradicando dalle proprie origini, dalla propria appartenenza. Interruppe persino la collaborazione con il periodico modernista d’avanguardia Spektrum, con cui aveva contribuito a portare in Svezia la prima traduzione de La terra desolata di T. S. Eliot.
A Berlino, nella sua nuova vita, Karin Boye riuscì a dedicarsi con più continuità alla scrittura. Iniziava a guadagnare fama, le sue poesie divennero conosciute e lei fu invitata a tenere diverse letture e conferenze. Venne anche l’amore, nella persona di Margot Hanel, una giovane di origine ebrea con cui Karin svilupperà una relazione tanto intensa quanto distruttiva.
A lei, a Margot, la poetessa dedicò una struggente lirica, dal titolo To you (“Till dig” in svedese, Ndr) che recita così:
Tu, sei la disperazione e la mia forza,
hai preso tutta la vita che avevo di mio,
e poiché hai preteso tutto,
me l’hai restituita mille volte.
La sua poesia traduceva le scosse del suo spirito, la sua vita interiore, attraverso una scrittura lirica e onirica che sfumava nel surrealismo. In uno dei suoi componimenti più celebri, tradotto in italiano come Certo che fa male (n svedese “Ja visst gör det ont”, Ndr), Karin scriveva:
Certo che fa male, quando i boccioli si rompono.
Perché dovrebbe altrimenti esitare la primavera?
La morte di Karin Boye
C’è qualcosa di dolente nei suoi versi, un male che già si presagisce inguaribile: la sofferenza che lei vede nella primavera era riflessa in realtà nel fondo della sua anima. La sua fama cresceva, Karin Boye teneva corsi e letture, faceva viaggi - visitò persino la Grecia; ma nulla pareva bastarle. La Seconda guerra mondiale era alle porte e lei con angoscia ne presagiva la portata catastrofica. Non era la prima volta che tentava il suicidio. Lo psicanalista che l’aveva in cura, Walter Schindler, aveva annotato nei suoi appunti che probabilmente presto Boye si sarebbe tolta la vita. E così fu, quel 24 aprile 1941 Karin Boye lasciò la sua abitazione per viaggiare in direzione dei boschi di Alingsås; era già decisa a non fare più ritorno.
Il suo corpo esanime fu scoperto soltanto tre giorni dopo da un contadino che stava facendo una passeggiata nei dintorni di Bolltorpsvägen e vide qualcosa impigliato nell’erica. Il masso accanto a cui la poetessa fu ritrovata è stato tramutato in una targa commemorativa. Poco tempo dopo la morte di Karin Boye, anche Margot Hanel si sarebbe uccisa.
La tragica scomparsa di Boye lasciò attonito il mondo letterario svedese. Un suo caro amico poeta, Ebbe Linde, le dedicò un componimento dal titolo Amica morta (in svedese “Död kamrat”, Ndr).
Linde la ricordava così:
E lì, tra due biciclette
così piccolo e grigio su una triste barella
una piccola polvere umana grigia sotto una coperta grigia,
così silenzioso e muto e piccolo,
intravista di sfuggita, come nella vita,
e così passatoed eri tu, e non c’era nessun ponte,
una porta era chiusa e noi eravamo fuori,
tutto ciò di cui avevamo parlato era ormai dimenticato,
la piccola città non esisteva più per te.
Recensione del libro
Kallocaina. Il siero della verità
di Karin Boye
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Karin Boye, la scrittrice svedese che anticipò Orwell
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