Killoyle
- Autore: Roger Boylan
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Nutrimenti
- Anno di pubblicazione: 2013
A quanti sarà capitato di essere stati ripresi dal proprio capo che affacciandosi alla porta dell’ufficio abbia urlato: “.. allora, che cavolo combini là dentro, scrivi un romanzo?”. A Roger Boylan, sì: impiegato a quel tempo alla Manhattan Bank, era esattamente ciò che stava facendo.
Lo scrittore americano alto, possente e dalle guanciotte piene e rosee, iniziò così a metter sui fogli le storie di Milo, Murphy, padre Doyle, scrivendole con puro divertimento personale. E’ lo stesso divertimento che contagia e cattura il lettore, rendendolo partecipe alle vicende dei protagonisti della storia.
Nella cittadina immaginaria nella piana di Dublino, Killoyle, la vita è tranquilla, il tempo scorre lento e la piccola comunità si ritrova la sera al pub e la mattina in chiesa per la confessione. Boylan inizia il suo racconto narrando lo sconvolgimento e le riflessioni di alcuni degli abitanti di Killoyle, in una notte di tempesta con lampi, tuoni e quel vento forte che agita i rami degli alberi, e forse non solo quelli.
Come il castello di Dracula, o villa Bates in Psycho, la Spudorgan Hall spiccava sul suo desolato rilievo in cima a una scarpata minacciosa, illuminata dal bagliore dei fulmini che si alternava ai rimbombi di barile vuoto e a qualche asmatico schiarimento di gola di un tuono lontano ma incombente. Era una fase piacevole dell’equinozio d’autunno, soprattutto se spiata da dietro le tende di pizzo o le serrande tremolanti.
Ci si rintana a bere birra dove si può, al pub o in casa, quando fuori diluvia. E’ ciò che sta pensando Milo, seduto nella poltrona di casa sua. Milo Rogers è capocameriere allo Spudorgan Hall oltre che un poeta sognatore. Durante l’ultimo anno di studi al Trinity perse letteralmente la testa per Martine, una francesina dalla pelle di miele. A giugno Martine ritornò a Lione mentre Milo non superò la prova finale di Storia dell’Europa, non riuscì più a laurearsi e partì per Londra a spillare pinta e per New York a fare il muratore.
… era un tipo come tanti, più comune a Dublino o a Cork che in piccolo posto come Killoyle: lo studente o mezzo intellettuale sfigato, che proclamava indifferenza per le appartenenze ma curava con attenzione la propria immagine bohémienne, indurito da un cinismo preso a prestito, forte bevitore e sognatore incallito.
Rientrato in Irlanda, l’amministratore dello Spudorgan Hall, Ennet Power, non volle perdere l’occasione di avere un cameriere colto alle sue dipendenze. Milo vive alla buona, sempre costretto com’è per mancanza di soldi, a guardare dietro l’angolo prima di avventurarsi in strada, perché terrorizzato dall’incontrare il suo padrone di casa, Tom‘ il greco’ Maher, un uomo apparentemente schietto e gioviale, ed incline a indossare stupendi maglioni delle Isole Aran e cappelli di tweed del Donegal.Quella sera di tempesta, che non avrebbe visto per strada neanche un cane, Murphy, il suo migliore amico e instancabile casanova, nonché capobarman allo Spudorgan Hall, lo raggiunge a casa, occupandone il divano e dando il via ad una grande e memorabile sbronza.
Segue una tipica scena di ospitalità irlandese: fuori la bufera che infuria, dentro, la birra che cala.
La giovane e bella vedova Kathy, quella notte, aspetterà invano l’arrivo di Murphy. Capelli biondi, naso dritto alla normanna, di robusta costituzione come una ragazza di campagna, vestita nello stile delle cittadine dublinesi, con discreta istruzione, non si scoraggia. Saprà attendere nuove opportunità.
La tempesta finirà e il sole che fa girare le ruote d’oro alzerà il sipario del cielo. Malgrado le apparenze, pensava, il clima irlandese è uno dei più grandi doni di Dio a questo paese avvezzo alla sofferenza.
Nella piccola cittadina, con la tempesta che infuria, fra i suoi abitanti c’è ancora qualcuno che sta imprecando per tutta quell’acqua che cade giù: è padre Doyle. Pensa che sia la serata giusta per annegare nel whiskey la nostalgia di Roma e concedersi una fumatina di nascosto. Non riesce proprio a dimenticare il suo noviziato e quegli anni giovanili trascorsi nella stupenda e accogliente Città Eterna. Vorrebbe essere richiamato a Roma, magari in punta di morte, è il suo ultimo desiderio, avrebbe così la certezza di essere veramente in paradiso.
“ - Dubito, quindi credo, dichiarò al secondo bicchiere di Jameson, offuscando la luce della sua lampada da scrittoio con ulteriori esalazioni di fumo. Si concesse Arrivederci Roma, con tono affilato di un controtenore. – Fanculo, strillò e la tosse ebbe il sopravvento, si limitò quindi a borbottare esaminando le immagini mentali della cara vecchia Roma e della giovinezza che vi aveva lasciato.”
Killoyle è un brillante e divertente romanzo, nel quale l’autore delinea personaggi le cui storie richiamano alla mente alcuni dei grandi autori irlandesi. Una scrittura esilarante e in alcuni tratti spietatamente satirica. Boylan non è immune a quell’umorismo nero la cui l’ilarità lo ha posto, per i più accreditati critici, fra lo scrittore statunitense candidato più volte al Nobel Thomas Pynchon e il famoso gruppo comico inglese Monty Python.
Roger Boylan, nato a New York, si trasferisce da piccolo in Europa per il lavoro del padre, un tecnico specializzato in automatismi per le campane delle chiese. Cresciuto tra l’Irlanda e la Svizzera, frequenta l’università a Coleraine e a Edimburgo, studiando storia d’Irlanda. Rientrato in America, appena trentenne, svolge molti lavori prima di diventare insegnante e redattore editoriale. Attualmente vive in Texas ed è docente alla Western Connecticut State University.
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