Kociss. Passione e morte dell’ultimo bandito veneziano
- Autore: Roberto Bianchini
- Genere: Storie vere
- Anno di pubblicazione: 2013
Anche i fuorilegge non sono più quelli di una volta. Volete mettere l’appeal robinhoodiano di uno come Silvano Maistrello paragonato a una qualsiasi mezza tacca disideologizzata della mala di oggidì? Non esagero: la vita violenta e le gesta criminali dell’ultimo bandito veneziano - per i giornali e per tutti solo e sempre "Kociss", come il capo indiano, per via dei tratti somatici da pellerossa - sembrano piovute dritte da una canzone di Bob Dylan (una ballata alla “Pat Garret e Billy the Kid”) o da un film neorealista di Pier Paolo Pasolini, e sono invece più vere del vero.
Bambino senza padre nella Venezia dolce/amara del primo dopoguerra, figlio prediletto della nutrita stirpe di Rosina, seduttrice senza un soldo ma con un coraggio e una dignità grandi così, rapinatore quasi sempre disarmato e senza paura nel clima violento degli anni di piombo, quindi vittima sacrificale di una rapina finita male, la figura di Silvano Maestrello si incista nella fantasia popolare (soprattutto) veneziana per tutto questo e per parecchio altro ancora. Stando alla mitologia è stato acrobata e funambolo della fuga, impavido, poverissimo, generoso, affamato, attaccabrighe, sciupa femmine, capellone, un uomo che persino le sbarre delle prigioni hanno stentato a contenere (le sue ripetute evasioni hanno concorso alla sua fama): un po’ paladino di giustizia sottoproletaria, un po’ tipo da stargli alla larga, secondo qualche voce persino fiancheggiatore delle furoreggianti bierre, aldilà di tutto un classico anti-eroe da romanzo noir, come deve avere intuito il giornalista Roberto Bianchini, autore di questo “Kociss. Passione e morte dell’ultimo bandito veneziano” (Milieu edizioni, 2013; con allegato il cd delle canzoni dello spettacolo teatrale scritte da Giovanni Dell’Olivo).
Il libro è una biografia del bandito affatto romanzata, con diversi meriti e con più di una valenza (sociale) sottesa, bene individuata da Gianfranco Bettin in prefazione:
“Vite come quelle di Kociss, per quanto raramente, finiscono più facilmente nella leggenda che nella storia. In genere se ne occupa la cronaca, quella nera o quella sociale, per imprimervi stigmi patetici, grotteschi o criminali. Quanto alla storia, di solito le macina indifferente, vite di scarto, numeri vuoti. La leggenda, per queste vite, è di per sé una via di fuga, di riscatto dall’oblio e dalla desolazione della marginalità, uno strumento per restituire alla vita una consistenza, una verità”.
Toglietevi dunque dalla testa che l’intento di Bianchin (con il toccante contributo autobiografico della sorella di Silvano, Annamaria) sia quello di redigere l’apologia senz’ombre del fuorilegge e di farne una sorta di Zorro del Quarto Stato, piuttosto - credo - l’obiettivo consti nel ricondurre il romanzo criminale di Silvano Maistrello entro l’alveo circostanziato del contesto sociale e del vissuto che ne hanno determinato la scelta, la parabola criminosa, quindi la morte (ucciso dalla polizia in uno scontro a fuoco dalle molte zone oscure).
Una narrazione tesa, documentata e documentaristica, dove dramma, commedia popolare, cronaca rosa e cronaca nera, si intersecano opportunamente, restituendo sullo sfondo anche lo scenario di un’epoca e di una Venezia che non ci sono più. Per inciso: i proventi di “Kociss” verranno interamente devoluti all’associazione “Il Cerchio”, che si occupa di assistenza ai detenuti. Un motivo in più per acquistarlo, che ne dite?
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