L’inghippo
- Autore: Carlo Alianello
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
Capita a volte che alcuni scrittori facciano nascere più dibattiti dopo la loro scomparsa di quando erano in vita, e questo forse è anche il caso di Carlo Alianello (1901-1981). Il suo romanzo storico L’alfiere, che racconta la vita di un fedele soldato borbonico che combatté per difendere Francesco II, apparve nelle librerie nel 1942, ma ai giorni nostri è ancora molto richiesto. Nonostante il nome dell’autore non appaia nelle antologie scolastiche delle superiori né, spesso, in quelle che vengono fatte acquistare agli studenti universitari, L’alfiere continua a far parlare di sé le nuove generazioni e questo fatto singolare deve pur significare qualcosa.
Probabilmente Alianello è stato perfino ammantato da un po’ di leggenda: secondo alcuni biografi l’aver pubblicato un libro che racconta il Risorgimento dal punto di vista degli sconfitti, a suo tempo, avrebbe esposto l’artista nientemeno che al rischio del confino. Riguardo questa notizia, tuttavia, chi scrive si permette di nutrire qualche dubbio. Quello fascista fu indubbiamente un regime durissimo, che colpì anche gli intellettuali, ciononostante non si può ignorare che sotto quel governo siano stati pubblicati liberamente dei testi letterari e storici sul Risorgimento di carattere piuttosto “controcorrente”. Inoltre si può ricordare che lo storico “tedescofilo” Alessandro Luzio (1857-1946), autore di saggi controversi sulla dominazione austriaca in Italia, aderì al fascismo e da esso fu accolto senza critiche.
Dati anche i problemi relativi alla guerra, forse, si potrebbe pure supporre che la censura non si sia occupata affatto del raffinato romanzo "legittimista".
Tornando a noi, L’alfiere è di certo il testo più famoso dello scrittore cattolico, ma non tutti i suoi lettori conoscono un altro suo romanzo storico: L’inghippo. Quest’opera fu stampata da Rusconi nel 1973 e sino ai giorni nostri non è ancora stata riproposta: le vicende narrate sono ambientate a Roma sul finire dell’Ottocento, tra lo scandalo della Banca Romana e la sconfitta di Adua del 1° marzo 1896, il protagonista è Francesco Fortemanno, un deputato meridionale di idee liberali, ma moderate. Nella trama rivivono le vicende politiche dell’epoca, gli scontri ideologici (e culturali) ed è ritratto il potere sociale della massoneria, sfruttata spregiudicatamente da alcuni individui per ottenere piccoli favori e tollerata anche in funzione anticattolica.
L’autore dà prova ancora una volta di saper scrivere con uno stile personale e si percepisce chiaramente la profondità spirituale che lo ha sempre distinto. Nel testo si trovano molti passaggi edificanti e delle riflessioni che sono cristianamente molto educative. Sono veramente esemplari le parole con cui Alianello spiega la missione della Chiesa:
“Il prete amministra i sacramenti per tutti, richiama il Signore nella Sacra Mensa per tutti, ricchi o poveri, insegna, predica e indirizza tutti, gente di ogni colore, di ogni nazione, di ogni stato sociale, alla conquista del Regno dei Cieli, alla salvezza eterna. Non c’è un compito più alto e più vasto in tutta la società degli uomini, di quello che apre loro l’eternità, che dà la chiave della felicità, che riscatta l’umano genere da ogni piaga e da ogni delitto”.
Un altro tema su cui l’autore si concentra spesso nel suo racconto è la questione linguistica nell’Italia post-risorgimentale: tra i personaggi c’è chi si sforza di parlare un italiano medio pulito e "presentabile", altri in famiglia restano devoti al dialetto, la lingua degli affetti, e poi c’è l’affermazione di usi nuovi, che indicano anche un’evoluzione dei costumi. E riguardo questo aspetto è il caso di citare per intero un breve dialogo:
“«Che è ’stu ciao?».
«È un saluto, non l’hai sentito mai?».
«Sì. Ma è un saluto piemontese».
«No, papà. È veneto. Tu hai fatto la campagna del Veneto con le truppe piemontesi, e non te ne ricordi?».
«L’ho sentito, ma non mi piace».
«E perché?», chiese il giovanotto. Aveva due bei baffetti castani e se li accarezzò perplesso.
«Perché», disse serio l’onorevole, «è un saluto confidenziale, da pari a pari. Non si saluta così il padre, dopo una lunga assenza».”
L’inghippo è un volume corposo, 512 pagine, e, come si sarà capito, le idee valide ci sono tutte, ma, almeno a parere dello scrivente, manca quel ritmo incalzante che Alianello è riuscito a creare ne L’alfiere. Sembra un uccello che non riesce ad alzarsi in volo: non c’è la giusta tensione o magari mancano i colpi di scena e così la lettura rischia di risultare prolissa. Per giunta, senza voler anticipare nulla a chi voglia avvicinarsi all’opera, si può riconoscere che il finale appare abbastanza inadeguato. È un peccato: se la stessa storia fosse stata proposta in una forma diversa, il libro avrebbe anche potuto essere un capolavoro.
L'Inghippo
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