L’isola delle donne
- Autore: Roberto Bertinetti
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2017
Un docente universitario, un anglista noto anche per i suoi articoli su diversi giornali, un uomo, sceglie di parlare diffusamente di donne importanti, nove, che hanno reso il Regno Unito grande nel corso dei secoli, anche per il ruolo che le donne sono riuscite a svolgere in diversi campi, ruolo fondamentale nella storia, nella letteratura, nella politica, nel costume, che Roberto Bertinetti ricostruisce ne “L’isola delle donne”, questo libro originale per il punto di vista con cui affronta le questioni legate alla società inglese, a partire dalla grande Elisabetta per giungere nella sua elegante carrellata di ritratti fino a giorni molto vicini ai nostri.
Le immagini della copertina, nove schizzi in bianco e nero, ci mostrano le protagoniste delle storie che Roberto Bertinetti ci racconta: ci sembra di conoscerle bene, tanto i loro volti sono presenti nel nostro immaginario; eppure leggendo con attenzione “L’isola delle donne”, ci si accorge che non tutto sapevamo, anzi il ritratto di queste donne eccezionali, ciascuna nel proprio tempo e nel proprio ambito, si riempie di scoperte, di aspetti mai conosciuti di personalità indubbiamente speciali. Di alcune si rivela la durezza, di altre la fragilità, di tutte la determinazione nel perseguire scopi alti, obiettivi raggiunti anche a costo di grandi rinunce personali.
Elisabetta, la figlia di Enrico VIII, giunta sul trono dopo la sorella Maria,
“decise che si sarebbe dedicata a un’unica missione: rendere grande l’Inghilterra, garantirle un ruolo di primissimo piano in un’Europa frantumata da rivalità religiose”.
anche se per far questo avrebbe dovuto sacrificare la sua vita privata, perché
“mai avrebbe voluto o potuto sottomettersi a una volontà maschile”.
Nel lungo saggio dedicato alla sposa del popolo, alla regina vergine, Roberto Bertinetti sottolinea come Elisabetta non avesse in realtà rinunciato all’amore a alla propria femminilità: il suo guardaroba era ricchissimo, abiti, sciarpe, accessori, gioielli preziosi erano una sua cifra che esibiva con orgoglio rendendo l’ambiente di corte lussuoso ed invidiabile, anche se molto inviso ai puritani; frequentava con passione il teatro, detto - da lei - elisabettiano, spesso in incognito, dove autori destinati alla fama futura come Marlowe, Ben Jonson, Shakespeare mettevano in scena le loro opere con grande piacere della regina, che per qualche ora si concedeva il lusso di dimenticare gli affanni degli affari di stato.
L’altra grande sovrana, Vittoria, occupa uno spazio altrettanto significativo nella storia inglese, e Roberto Bertinetti si sofferma su alcuni punti salienti della vicenda di questa piccola donna, divenuta regina a diciotto anni, nel 1837, che regnerà a lungo, fino al 1901, divenendo imperatrice di un vastissimo territorio, non rinunciando mai alle promesse fatte nella notte in cui era divenuta regina ed affidate al suo diario:
“Farò tutto il possibile per compiere fino in fondo il mio dovere… Pochi hanno maggiore volontà e sincero desiderio di quello che ho io di fare ciò che occorre e che è giusto”.
La regina Vittoria insieme al suo amatissimo Prince Albert regnerà convinta del proprio ruolo, e anche il marito dovrà sottoporsi alla sua volontà, in nome degli interessi superiori della Nazione. Festeggiamenti, giubilei, Vittoria fino alla fine della sua vita non si sottrae ai suoi compiti istituzionali, vestita con fasto, dopo aver accettato con riluttanza di abbandonare abiti vedovili, in una Londra che festeggia il suo lungo regno con gratitudine e riconoscenza, un milione di persone in piazza per seguire il corteo, per ascoltare le sue parole, forse le ultime:
“Dal profondo del mio cuore ringrazio i miei amatissimi sudditi. Che Dio li benedica!”.
Milioni di persone delle vie della capitale quasi due secoli dopo, per dare addio alla Principessa del Popolo, come la definì il Premier Tony Blair alla fine della giornata che vide i funerali di Lady Diana, icona divenuta planetaria, dopo le avventure/disavventure vissute quando era già principessa del Galles, dopo esser diventata, anche lei diciannovenne, moglie dell’erede al trono. La storia di questa sfortunata principessa, preda di un gossip ossessivo, è stata ampiamente raccontata ma quel che sembra sottolineare Roberto Bertinetti è l’innocente ed inconsapevole fascino che Diana ha saputo esercitare sui sudditi inglesi e non solo, divenendo in pochissimi anni un simbolo della speranza, della bontà, della capacità di ascolto, del coraggio di guardare in volto le realtà più drammatiche del pianeta:
“La sua immensa empatia la protegge ovunque, centinaia di persone la adorano”
la sua morte drammatica forse ha salvato la monarchia da una crisi che sembrava irreversibile.
Un capitolo del libro è dedicato a Margaret Thatcher, un po’ impietoso direi, dato il carattere durissimo di questa donna intransigente, coraggiosa ma certamente non amata:
“Tra le ricadute negative delle scelte dell’Iron Lady si segnala l’aumento assai significativo dei senza lavoro”
tuttavia ne “L’isola delle donne” la parte che ho preferito è quella dedicata alle scrittrici: Jane Austen, Virginia Woolf, Agatha Christie. I loro ritratti sono davvero straordinari, a cominciare dai titoli, Jane Austen è la signorina sovversiva, una mirabile sintesi della personalità di una giovane talentuosa, proveniente dalla canonica di un paesino dell’Hampshire. Austen attraverserà come Napoleone i due secoli, diverrà autonoma economicamente vivendo del suo lavoro di scrittrice, non si sposerà, rifiuterà incontri pubblici, fosse pure con la celebre Madame de Staël; contemporanea di famosi scrittori come Walter Scott e Lord Byron, lascerà un’eredità intellettuale di grandissimo valore, attraverso la battaglia per l’autonomia delle donne, di cui si trovano tracce diffuse nelle pagine nei suoi celebri romanzi.
Roberto Bertinetti traccia un ritratto originale di “Virginia Stephen, coniugata Woolf”: la sua giovinezza, la malattia mentale, raccontata dal marito Leonard, il suo snobismo, la faticosa stesura dei suoi romanzi, i legami con l’ambiente alto borghese a cui teneva, l’impegno quotidiano alla ricerca di un nuovo modo di concepire la narrativa, di un metodo diverso da quello tradizionale per descrivere la complessità del rapporto che lega gli individui alla realtà.
“Il vero materiale della letteratura è un po’ diverso da quanto l’abitudine vorrebbe farci credere”
afferma Virginia Woolf che compie nei suoi romanzi
“Una rivoluzione copernicana sul piano formale, e segna l’ingresso nella fase della piena maturità artistica”
della scrittrice, nel 1922 con “La camera di Jacob”.
Infine non poteva mancare la regina del giallo, Agatha Christie, che imprevedibilmente firma i suoi tantissimi romanzi con il cognome del marito, molto presto lasciato perché inadeguato al suo stile di vita interessante e avventuroso, che la porteranno nella maturità a divenire archeologa, al seguito del secondo giovane marito, Max Mallowan. L’autrice di celeberrimi personaggi, quali Hercule Poirot e Miss Marple, è una donna di grandissima intelligenza, è
“geniale e instancabile nel mettere a punto trame nelle quali conta esclusivamente il cervello”
pur riferendosi a realtà banali e quotidiane nelle quali i suoi lettori si sentono a proprio agio, rassicurati, anche se lei, Agatha, fa scelte di vita decisamente anticonformiste; questo comunque non le impedirà, di nutrire stima e riconoscenza per Elisabetta II, quando la regina la invitò a Buckingham Palace, intrattenendo la ormai famosissima scrittrice con grande semplicità.
Ancora due donne, contemporanee, sceglie Roberto Bertinetti per concludere la sua carrellata sull’isola protagonista del libro: Mary Quant, al centro della vita scatenata della swinging London degli anni sessanta, e Vivienne Westwood; due creatrici di moda, due imprenditrici che riusciranno a fare dei loro originali “stracci” un vero business nella opaca e nebbiosa capitale inglese. Insieme a loro e alla loro fantasia, al coraggio, alla volontà dissacrante, al desiderio di libertà per le donne ma non solo, ecco che nascono la mini gonna, nome mutuato dalla piccola Mini Morris, auto culto in quegli anni; Quant propone un modo colorato e diverso di atteggiarsi, di vestirsi, di andare al lavoro, di socializzare, di spendere. Le boutique che nascono al centro della seria e compassata Londra, sono veramente una rivoluzione totale del costume, che Roberto Bertinetti registra con particolari interessanti: i Beatles, al centro della scena, costretti a rivedere il loro look per proporsi al grande pubblico che comincia ad osannarli; la nascita del fenomeno delle modelle, la bellissima Jean Shirmpton, la filiforme Twiggy. La lotta politica, portata avanti da Westwood con la sua iconoclasta moda rivoluzionaria e dissacrante, si condensa nelle sue stesse parole:
“perché avevo capito che per fregare il sistema era indispensabile entrarci dentro”.
Mi è piaciuto molto “L’isola delle donne”, serio ed intelligente, ma raccontato con leggerezza e con una qualche dose di ironia, nei confronti di fenomeni, storico-politici o di costume, che non sempre trovano accoglienza in un saggio con caratteristiche di rigorosa indagine scientifica, come testimonia la ricca ed esauriente bibliografia. Le storie di queste donne ci raccontano un femminismo ante litteram, la ricerca di un’autonomia profonda, intellettuale, interiore, che non ha molto a che vedere con slogan di maniera che pure hanno attraversato il secolo scorso, ma che testimonia che
“è venuto dalle donne l’impulso decisivo a rendere il Regno Unito un modello al quale il mondo ha spesso volto lo sguardo per costruire il futuro”.
E dunque questo libro di Roberto Bertinetti per le donne del nostro tempo è certamente un regalo bello e gradito.
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