L’onorevole
- Autore: Leonardo Sciascia
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
- Casa editrice: Adelphi
Tre i testi teatrali di Leonardo Sciascia: L’onorevole (Einaudi 1965), Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A.D. (ossia ad Alexander Dubček, Einaudi 1969), I mafiosi, rielaborazione dell’opera di Rizzotto e Mosca I Mafiusi di la Vicaria, ambientata in un carcere all’epoca dello sbarco di Garibaldi in Sicilia (Einaudi 1976). Oggi sono tutti e tre raccolti in un solo volume, edito per Adelphi nel 1995.
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Messi in scena tra il 1965 e il 1970, non hanno avuto un’adeguata attenzione da parte della critica e occupano un posto di poco rilievo sul piano drammaturgico. Tuttavia vi si colgono spunti critici sull’investigazione del Potere, nonché aspetti che caratterizzano la passione civile dello scrittore, quali per esempio la denuncia e la satira, il divertissement e lo slancio etico.
Il fine è quello "di misurare, ancora una volta, le censure istituzionali, ambientali e psicologiche del nostro paese".
L’onorevole, scritto a Racalmuto in una settimana nell’agosto del 1965, è la rappresentazione di un’attualità bruciante: la corruzione dal volto demoniaco nel sistema affaristico-mafioso. Nella Nota introduttiva che correda il testo, a definire lo scritto uno “uno sketch” in tre atti (“brevissimi tempi” senza suddivisione in scene) è lo stesso autore (attento osservatore di caratteri umani, appassionato di cinema e studioso del “più grande libro sui libri mai scritto”: il Don Chisciotte di Cervantes).
Tre i momenti della questa finissima satira: il settembre del 1947, che prelude all’affermazione elettorale della Democrazia Cristiana sul Fronte Popolare; il dopo elezioni politiche del 1953, che registra l’ulteriore affermazione democristiana; un giorno d’estate del 1964, che segna la crisi del centro-sinistra.
Protagonista è Frangipane: cattolico integerrimo, legge Manzoni, Tolstoj e Cervantes ed è colto e stimato insegnante di lettere in un liceo d’una città siciliana.
Sciascia precisa che "è democristiano, e la sua circoscrizione elettorale è quella della Sicilia occidentale, soltanto - come dire? - per comodità" e avverte:
"Purtroppo l’onorevole Frangipane potrebbe anche essere di un altro partito, di più o meno lunga esperienza governativa; e il suo collegio elettorale quello di un’altra regione italiana".
Per arrotondare lo stipendio impartisce lezioni private agli studenti rimandati a settembre (3-4 turni anche con 10 allievi alla volta); non gli pesa il vivere modestamente in un quartiere popolare ed è circondato dall’amore della sua famiglia e dal rispetto degli allievi. Trova un sostegno nella moglie Assunta che lo ammira e l’incoraggia a gestire con serenità le difficoltà quotidiane:
"Di cuore semplice ma di vibratile sensibilità; e di pronta intelligenza relativamente alle cose e ai fatti che implicano scelte e giudizi morali".
La visita che una sera gli fanno a casa alcuni dirigenti locali del partito di maggioranza, unitamente a Mons. Barbarino (cosa insolita, mai successa prima), ha uno scopo preciso: la proposta d’un seggio parlamentare qualora accetti la candidatura nella lista democristiana per le elezioni politiche che si svolgeranno da lì a qualche mese. Il professore si schermisce, si sente onorato, ma si mostra abbastanza titubante perché inadeguato. Pensa di non possedere le qualità richieste all’adempimento del compito che peraltro lo porterebbe a sacrificare affetti e interessi personali. Mons. Barbarino insiste. Gli fa presente che la sua onestà, la cultura e i suoi ideali sono requisiti essenziali per l’impegno in politica. Uomini come lui possono certamente contribuire al progresso dell’amata terra.
Così, Frangipane finisce col cedere alle lusinghe di un paio di portaborse e si candida alle elezioni del 1948 da cui esce vittorioso. Ben si adatta al nuovo contesto, mutando in primo luogo i tratti della personalità. Dapprima timido, diventa ora brillante e spregiudicato. Se aveva considerato ripugnanti i compromessi, adesso si mostra disposto agli intrallazzi. Diventa perfino ministro, risucchiato da una spirale perversa. Senza più i valori che avevano orientato la sua funzione di docente e il ruolo all’interno della famiglia, loschi affari gli fanno stringere patti con personaggi malavitosi, riducendosi a strumento di speculazioni politico-mafiose come la corruzione edilizia di cui si parla nelle pagine delle cronache.
Grazie agli agi raggiunti in questo suo percorso di crescente degradazione morale, può risiedere in una villa in un quartiere residenziale. La moglie prova dolore nel constatare il cambiamento truffaldino del marito. Contrariamente agli altri familiari, resta estranea al suo successo politico e si rifugia nella lettura e nello studio del Don Chisciotte (libro da lui preferito quando insegnava e che leggeva nei momenti di ozio). Con insistenza rivolge al marito la domanda: "Perché non leggi più il Don Chisciotte?".
Siamo nella tematica pirandelliana del sentimento del contrario: è lei ora ad appropriarsi dell’identità da lui smarrita. Lei arricchisce la sua istruzione, matura un pensiero politico ideale e sempre più acquisisce consapevolezza della spregiudicatezza del marito. Tiene sempre pronta una valigia nel caso in cui venga arrestato. L’onorevole, infastidito e preoccupato dai suoi stravaganti pensieri, visti come segni di squilibrio, chiama in aiuto Mons. Barbarino affinché la convinca ad accettare un "periodo di riposo" lontano da casa, perché giunga a un ravvedimento.
Ecco allora che la donna, preda di moralistici deliri, oppone al realismo politico del sacerdote il sogno trasparente della vita, antitetico alle regole oscure del Potere. Evocando i fantasmi dell’errabondo cavaliere e del suo scudiero, è scomoda al sistema. Per la sicurezza della società, dove il giusto non ha diritto di cittadinanza, è lei infine che volontariamente sceglie di rinchiudersi nella casa di cura.
Il colpo di scena, che stravolge l’impianto naturalistico, non si fa attendere. L’epilogo è spiazzante, sarcastico e disarmante, evoca lo straniamento brechtiano dell’attore: il prelato si libera dagli abiti di scena e informa gli spettatori che si è trattato di uno scherzo; la moglie dell’onorevole non è afflitta da scrupoli di coscienza, anzi si mostra compiaciuta a fianco del marito con cui condivide cerimonie e inaugurazioni. L’assenza della verità fa scorgere il baratro d’una società dove perfino gli uomini onesti non riescono a sottrarsi al mondo degli intrallazzi una volta entrati nella stanza del potere.
Degna di nota la definizione di Calvino, che, pur avendo ravvisato nel testo non pochi difetti, ne aveva incoraggiato la pubblicazione nella nota "Collezione di teatro" della casa editrice torinese:
“Una satira di moralità civile, la più persuasiva e precisa in un racconto che scorre senza mai una stonatura né una forzatura”.
L’onorevole intende recuperare il valore della cultura quale antidoto al sistema della corruzione da cui discende il disfacimento del tessuto etico-sociale: a essa non bisognerebbe mai rinunciare per inseguire gli idoli del vitello d’oro.
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