L’ultima testimone
- Autore: Cristina Gregorin
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Garzanti
- Anno di pubblicazione: 2020
“Solo il passato ci dice chi siamo veramente”: una breve frase sulla bellissima copertina che sembra riassumere il contenuto, denso, appassionante, intrigante, de L’ultima testimone (Garzanti, 2020), romanzo della scrittrice triestina, ma che ormai da molti anni vive a Venezia, Cristina Gregorin. Dopo essere stato segnalato con menzione speciale dalla giuria del premio Calvino, il romanzo, uscito nel 2020, è arrivato nelle mie mani dopo che per circostanze fortunate ne ho incontrato a Venezia l’autrice.
Confesso che sono rimasta davvero impressionata dal lavoro di ricerca storica, di indagine politico-sociale, e soprattutto dalla abilità con cui la scrittrice ha costruito il suo romanzo che abbraccia un lungo periodo di tempo, molta parte del ’900, che ha visto quella porzione d’Europa, quella che occupa il nostro confine orientale, vivere due guerre mondiali, un tormentato secondo dopoguerra, un contrasto etnico, linguistico, territoriale che solo chi lo ha vissuto da vicino può immaginare di poter almeno in parte ricostruire.
Prima di accingermi alla lettura ho dovuto consultare una mappa, per capire meglio i labili confini dentro cui la vicenda è descritta: il Carso, l’Istria, la Croazia, la Slovenia, il Friuli, tutte queste terre sono state oggetto di contesa, di violenze indicibili e di faide che non si sono fermate e che continuano a dividere popoli e famiglie che abitavano territori vicini e che si sono ritrovati stranieri.
Non credo che il romanzo sia semplicemente la ricostruzione di un’epoca che è stata narrata con punti di vista spesso opposti, ma sia piuttosto il tentativo di far parlare le tante voci dei protagonisti di una stagione drammatica, alla ricerca di una difficile pacificazione.
Trieste è il luogo da cui si parte: siamo ai giorni nostri, e il professore di Storia Medioevale presso la locale università, Mirko Brankic, si trova in ospedale a raccogliere le ultime parole del nonno, Bruno Tommasi. Il vecchio novantaquattrenne, che è stato quasi un padre per il nipote rimasto orfano ancora bambino, gli esprime un desiderio a cui Mirko non potrà sottrarsi: deve ritrovare Francesca Molin, che nel 1976 era una bambina, per la pace di tutti.
Francesca è una ginecologa che lavora a Milano. Si è allontanata da Trieste dopo una delusione amorosa, e da allora il suo atteggiamento nei confronti della vita si è fatto severo e austero: solo lavoro, yoga, solitudine. Sua madre Anita la richiama in città perché una volta morto Bruno Tommasi, amico intimo della famiglia, il nipote Mirko vorrebbe incontrarla. Francesca trema all’idea di ripercorrere fatti e memorie che l’hanno traumatizzata da bambina, ma sa che non può sottrarsi; la nonna Alba amatissima, anche lei ultranovantenne, l’aspetta.
Tutti questi personaggi, i vivi (Alba, Anita e suo marito Ennio, la figlia Maria del suicida Vasco, l’archivista Mario, l’amica di Francesca Gloria, Mirko e il suo amico poliziotto teramano, Giuseppe Arturi), si incontrano con i tanti morti che rivivono attraverso le parole dei testimoni, una sorta di coro greco che fa da sfondo alle ricerche spasmodiche di Mirko. Ecco l’ombra di Vasco Cekic, amico fraterno di nonno Bruno, ecco Liliana, donna bellissima e misteriosa che insieme ai due amici aveva vissuto non solo la guerra, nella quale aveva avuto un posto di rilievo come staffetta partigiana, ma anche nel difficile dopoguerra. Cosa faceva Liliana con delle misteriose cartelline, mentre accompagnava a scuola la piccola Francesca, che le era affidata dalla nonna Alba, all’epoca maestra elementare? Di cosa confabulavano i tre amici, Bruno, Vasco, Liliana, sempre insieme come da ragazzi ventenni, quando si erano schierati nella Resistenza, contro i nazisti, ma poi anche contro i Titini? Quanto erano stati ambigui i loro atteggiamenti? Perché Vasco si era suicidato, dopo oltre vent’anni dalla fine della guerra?
Nel romanzo l’autrice cerca attraverso le vicende romanzesche di un gruppo di testimoni di farci rivivere la complessità nella quale si trovarono vivere e a fare scelte di vita e di amicizia, di identità e di onestà tanti cittadini triestini, istriani, croati, sloveni, tanti abitanti del Carso, insomma di tutto il territorio che siamo abituati semplificando a chiamare paesi dell’ex Jugoslavia.
“Molti comunisti di Trieste si sentivano italiani già durante la guerra. Una cosa era l’orientamento politico, un’altra la patria. Ma su questo c’era confusione e i sentimenti cambiavano con l’avanzare dei carrarmati. Piuttosto che il fascismo, tanti avrebbero preferito il socialismo di Tito. E viceversa molti triestini preferivano i nazisti agli slavi. Quando si cominciò capire che l’Italia sarebbe diventata un paese democratico, allora lottarono insieme per Trieste italiana. Nel 1953 non più nessuno a Trieste che fosse a favore di Tito, forse solo qualcuno della minoranza slovena.”
Tra i molti meriti di questo libro, oltre a una visione chiara, dall’interno di una comunità, di fatti drammatici, talvolta orribili che insanguinarono quei territori per decenni, c’è la lucidità con cui pagine oscure sono state rivelate, sia pure in forma romanzesca, ma con assoluto vigore narrativo e grande onestà intellettuale.
La lingua di Cristina Gregorin non è mai retorica, anzi è diretta, capace di mescolare con sapienza il quotidiano dei personaggi, colti nella loro vita reale, con i grandi temi della storia di una regione geografica martoriata. La nonna Alba, con la sua dentiera e la vestaglia color pastello, la bora che condiziona la vita dei triestini ma dà loro la forza di resistere, una camicia di seta grigia e un paio di scarpe col tacco che potrebbero dare un nuovo indirizzo alla vita della dura e reticente Francesca, infine i celebri caffè di Trieste, dove immaginiamo si aggirassero Saba, Svevo, i grandi scrittori che fanno parte della vera ricchezza della città.
Il tema della memoria, così frequentato dalla narrativa contemporanea, viene qui declinato in modo originale: una donna, Francesca, obbligata a ricordare, è una sorta di nuova eroina, simbolo di tanti che hanno visto, sentito, vissuto, ma poi dimenticato per salvarsi. Fatica, dolore, reticenza, memorie, segreti: queste le parole chiave de L’ultima testimone, un romanzo bello, commovente, davvero necessario.
L'ultima testimone
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