L’ultimo comunista
- Autore: Pasquale Chessa
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Chiarelettere
- Anno di pubblicazione: 2013
La presa del potere di Giorgio Napolitano
A dispetto del titolo, Giorgio Napolitano non ha l’aria del comunista trinariciuto, puro, duro, fedele alla linea come i Cccp. Non che i comunisti abbiano una fisionomia particolare da renderli subito identificabili, ma "re Giorgio" non dà la sensazione del politico ligio alle direttive del partito di falce e martello.
Distinto nel portamento, al limite dell’aristocratico, eleganza stile british, ricorda più la figura di un notabile che quella di uno di sinistra. Non a caso il nostro ha militato nelle file della "destra" del Pci, un comunista di stampo liberal, un migliorista, come si chiamava negli anni Ottanta la corrente interna di Botteghe Oscure da lui stesso capeggiata, e di cui facevano parte colonne portanti come Emanule Macaluso e Gerardo Chiaromonte. Il migliorismo non si accendeva di entusiasmo per le analisi marxiste, non rappresentava l’anima popolare del partito, né disdegnava del tutto il sistema capitalistico, prediligendo invece idee riformiste più vicine alle posizioni socialdemocratiche che all’ortodossia di Enrico Berlinguer o alla radicalità di Pietro Ingrao, due tra le stelle polari del vecchio Pci.
Al momento opportuno, però, il buon Giorgio seppe schierarsi a difesa delle ragioni della grande madre Russia, come quando appoggiò senza indugi la repressione sovietica a Budapest del 1956, a seguito del tentativo ungherese di smarcarsi dal Cremlino. Gli esiti furono drammatici, ma in quel momento storico - siamo in piena Guerra Fredda - bisognava fare squadra, e "re Giorgio" approvò quel sanguinoso intervento, ravvedendosi soltanto molti anni tardi. Sin da giovane, il suo orizzonte parlava già di Europa, precorrendone i tempi rispetto a tanti futuri convinti europeisti.
L’uomo, allievo di Giorgio Amendola, è stato un dirigente tra i più importanti del partitone rosso, con la caratteristica di non essere troppo appariscente e vistoso sulla scena pubblica. Non allineato all’etica berlingueriana - fatta di rigore, austerità, diversità rispetto alle altre forze politiche -, Napolitano è sempre stato un pragmatico capace di avere buoni rapporti, per esempio, con il Psi di Craxi.
Oggi è un presidente della Repubblica dal peso specifico notevole e lo si è visto soprattutto nella scelta del capo dell’esecutivo: non per nulla, in tanti hanno parlato di governi del presidente (Monti, Letta).
Il ritratto proposto da Pasquale Chessa evidenzia una figura con una visione politica di ampio respiro, dentro un partito che, intriso di rigidità e pregiudizi ideologici, sembrerebbe essergli stato sempre un po’ stretto, forse perché l’approdo naturale di Napolitano sarebbe dovuto essere quello socialista.
Prima di arrivare al Quirinale, questo comunista dai toni distaccati ha ricoperto altri prestigiosi incarichi istituzionali: a parte le dieci legistature al suo attivo, è stato presidente della Camera, ministro dell’Interno, europarlamentare. Non gli è mai riuscito invece diventare segretario del partito, nonostante ne avesse lo spessore. Se ce l’avesse fatta, forse il comunismo italiano avrebbe raccontato cose diverse.
La sua carriera pubblica si srotola parallela alla storica e tribolata sequenzialità nominativa di Pci-Pds-Ds-Pd: "re Giorgio" ha sempre avuto la tendenza a tirare la bandiera rossa verso la sponda socialdemocratica.
Una biografia politica interessante e ad ampio spettro, dunque, sia per conoscerne meglio l’uomo, le idee, l’impegno politico, sia per farsi un quadro sull’evoluzione delle variegate espressioni della sinistra italiana, da oltre mezzo secolo sfrangiata e litigiosa al suo interno.
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