L’universo parabolico della Grande Guerra
- Autore: Filippo Cappellano e Bruno Marcuzzo
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2023
Un volume spiccatamente tecnico, non inadatto però ai lettori generalisti appassionati di storia della Prima Guerra mondiale, con un repertorio fotografico inestimabile di tante e rare immagini in bianconero e anche disegni, scritto da una coppia di autori d’indiscutibile e provata competenza. L’universo parabolico della Grande Guerra. I 100.000 bombardieri e l’artiglieria di trincea è un gioiello del catalogo Gaspari scritto dal generale Filippo Cappellano e da Bruno Marcuzzo (2023, collana Guerra e collezionismo, 280 pagine).
Ufficiale carrista del Ruolo Normale nell’Esercito, Filippo Cappellano è uno dei maggiori storici militari italiani. Nato a Firenze nel 1963, ha frequentato il 165° corso dell’Accademia Militare di Modena, la Scuola di Applicazione di Torino e il primo anno della Scuola di Guerra di Civitavecchia. Dopo avere operato per otto anni in unità corazzate del V Corpo d’Armata in Friuli e comandato un battaglione autonomo di un comando territoriale a Roma, ha prestato servizio per oltre ventanni nell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, che ha pure diretto. Laureato in scienze politiche e in scienze strategiche, dottore di ricerca nell’Università romana “La Sapienza”, è autore di diversi volumi sulla storia dell’Esercito Italiano, ordinamenti, dottrina tattica e armamenti.
Bruno Marcuzzo, attivo in varie associazioni culturali, ha pubblicato cataloghi e studi tecnici sugli ordigni, tra i quali, per Gaspari: Scoppio Programmato (2006), L’artiglieria da trincea austroungarica e germanica (2011), Bombe a mano e da fucile tedesche 1915-1918 (2014) e Tra fuoco e acqua (2018).
Armi antiche le bombarde, largamente impiegate nel XV secolo per provocare grandi danni al nemico negli assedi e in misura minore nelle battaglie campali. Di foggia grossolana e tutto sommato rudimentale, erano grossi tubi ad anima liscia, capaci di proiettare proiettili di pietra e di metallo spinti dall’esplosione di cariche di lancio di polvere da sparo. Non contava la precisione, quanto la possibilità di raggiungere bersagli indiretti, con un tiro ad arco sensibilmente curvo.
Vennero letteralmente riesumate nel corso del primo conflitto mondiale per l’efficacia con cui consentivano di battere le difese passive nemiche, insuperabili dai fanti nella guerra di posizione caratterizzata da trincee, anche blindate con cemento e acciaio, protette da siepi di filo spinato e mitragliatrici che aravano il terreno antistante. Contro quegli ostacoli, risultavano pressoché inefficaci le artiglierie classiche a tiro teso.
Sperimentazioni condotte dal Regio Esercito già nel 1908 avevano messo a punto un mortaio da destinare al lancio contemporaneo di un certo numero di bombe, fino a circa 300 metri, assicurando la simultanea accensione delle micce di tutte le spolette. Le specifiche chiedevano un’arma di costruzione molto semplice, trasportabile con facilità da due uomini, per risparmiare personale pur contando sull’elevata intensità d’azione.
In base a tali concetti, la Direzione superiore aveva definito il progetto preliminare di una bocca da fuoco del calibro di 250 mm, pesante intorno a 40 kg, con canna lunga da 40 a 50 cm, sopra un sostegno di legno, foggiato a barella per favorire il trasporto; in pratica una culatta di ghisa atta a contenere la carica di polvere, con un tubo di acciaio collegato, rinforzato da anelli di ferro, destinato ad ospitare e a proiettare le bombe all’atto dello sparo.
L’impiego di bombarde da parte tedesca nel 1914, sul fronte occidentale, venne seguito dalla stampa italiana fin dal gennaio 1915. Un articolo sui nuovi mortai speciali germanici apparve sul periodico “L’Esercito Italiano”; vi si leggeva che l’attuale guerra d’assedio o di trincea aveva comportato l’adozione di Minenwerfer, lanciatori di mine, per distruggere le fortificazioni nemiche. Erano pezzi leggeri capaci di lanciare a corta distanza nelle trincee proiettili carichi di esplosivo, ovvero bombe destinate a devastare le opere ed esercitare effetti omicidi sui difensori.
Alla vigilia dell’entrata in guerra, in Italia non si era minimamente preso in considerazione il problema, pur avendo avuto a disposizione dieci mesi per verificare l’esperienza delle forze armate belligeranti in Europa, paralizzate dalla sanguinosa stasi della guerra di trincea. Le fanterie grigioverdi esordirono nella prima battaglia dell’Isonzo (20 giugno-7 luglio 1915) con tattiche di slancio garibaldino che subivano la micidiale efficacia delle armi automatiche, accresciuta dal largo impiego di reticolati e cavalli di Frisia da parte austriaca. Attacchi frontali costarono fiumi di sangue, senza permettere di raggiungere gli obiettivi indicati; servivano strumenti per distruggere le difese passive del nemico.
Ancora nel settembre 1915, il generale Augusto Vanzo, capo di Stato Maggiore della Terza Armata sul Carso, annotava nel suo diario:
Da più di un mese invochiamo lanciabombe, bombe a mano più potenti, razzi illuminanti, apparecchi per tagliare reticolati e non riusciamo ad avere ancora nulla.
Messi finalmente da parte i tubi di gelatina e le pinze tagliafili - più letali per gli operatori che per i reticolati nemici -, venne riscoperta l’erede della bombarda, arma a canna liscia in uso dal XV al XVIII secolo, che ora, proiettando a tiro curvo una bomba potente, poteva distruggeva trincee e reticolati nascosti alla vista, aprendo le brecce dove poteva passare la fanteria.
Il corpo dei bombardieri arrivò a contare 5.600 ufficiali e 113.000 soldati. Filippo Cappellano e Bruno Marcuzzo ne raccontano compiutamente le loro armi e le loro imprese.
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