La Grande Guerra dai nostri inviati. Giornali e giornalisti nel 1915-1918
- Autore: Pier Paolo Cervone
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mursia
- Anno di pubblicazione: 2021
Giornalisti in guerra, voyeur della violenza. È per sottrarsi al senso di colpa che in tanti vollero indossare una divisa nel primo conflitto mondiale. Lo sostiene il reporter inviato di guerra Domenico Quirico, nella prefazione al saggio del collega Pier Paolo Cervone, La Grande Guerra dai nostri inviati. Giornali e giornalisti nel 1915-1918, pubblicato da Mursia nel 2021 (224 pagine, con 16 d’inserto fotografico in bianco e nero al centro).
Secondo la ricerca aggiornata da un altro cronista, il romano Pierluigi Roesler Franz, persero la vita in 176, direttori, redattori, inviati speciali, corrispondenti, collaboratori, stenografi. Caddero in gran parte al fronte, sotto il fuoco nemico, a bordo di aerei e ambulanze, in ospedaletti da campo o grandi ospedali militari. Due vennero inghiottiti dall’Egeo, nell’affondamento di un trasporto truppe silurato da un sommergibile.
Giovani motivati e coraggiosi, come provano le numerose decorazioni: 11 medaglie d’oro, 72 d’argento, 38 di bronzo, 5 croci di guerra, 14 promozioni sul campo, 6 encomi militari solenni. Primo a cadere, il 5 gennaio 1915 nelle Argonne, l’anconetano ventiquattrenne Lamberto Duranti, volontario per la Francia contro i tedeschi nella Legione garibaldina, guidata dai nipoti del generale. Il neutrale Regno d’Italia era ancora alleato all’Impero Germanico, contro cui si batteva il collaboratore di giornali repubblicani. Pochi giorni appresso, sempre nella Champagne, cadde il legionario sassarese Ernesto Butta. Scriveva per “La Nuova Sardegna”.
La guerra contro l’Austria-Ungheria cominciò il 24 maggio e sulla lapide nella livornese Piazza Manin, tra i 22 caduti della famiglia del “Corriere di Livorno” figurano i redattori Ratcliff Crudeli e Garibaldi Franceschi, accomunati dalla morte alla stessa età (19 anni), nello stesso luogo (le rovine di Castagnevizza) e giorno, 23 maggio 1917, a poche ore e pochi metri di distanza. Il corpo del primo non è mai stato ritrovato, il sacrificio del secondo è immortalato da un’iconica copertina di Achille Beltrame sulla “Domenica del Corriere”. Ritrae il giovane aspirante colpito mentre impugna il tricolore e già ferito due volte trascina il suo plotone all’assalto. La motivazione della medaglia d’oro concessa alla memoria fa riferimento al tentativo stroncato dal nemico di piantare la bandiera sulla posizione.
Sei redattori, un proto, due tipografi il tributo del quotidiano toscano, da tempo non più in edicola. Novant’anni fa, quando la lapide venne apposta sulla sede, vantava d’essere stato tra i primi giornali a propugnare l’intervento contro i nemici dell’umanità. E questo ci porta alla divisione tra interventisti e neutralisti nella stampa, uno dei temi affrontati da Cervone, oltre alla censura, alla propaganda, ai giornali di trincea e all’attività dei reporter di guerra.
Testate, redazioni e editori si divisero, come l’opinione pubblica. I fogli principali sposarono l’intervento fin dall’estate 1914, mentre il Regno d’Italia aveva scelto di restare fuori dalla guerra, non consultato da Germania e Austria e non obbligato dalla Triplice, alleanza puramente difensiva. Il milanese “Corriere della Sera” di Luigi Albertini e “Il Messaggero” della capitale si battevano per il completamento dell’unificazione risorgimentale e quindi il coinvolgimento, che vedeva contrario un solo grande quotidiano, “La Stampa”, del direttore-editore Alfredo Frassati (1868-1961), padre del beato Piergiorgio e della scrittrice Luciana.
Biellese, imprenditore, giornalista innovatore, aveva lo sguardo lungo, non solo sull’informazione e l’industria tipografica, anche sullo sviluppo degli eventi. È di un’esattezza impressionante il futuro irrisolto di sangue e dolore che prefigurava ai suoi redattori, impensieriti dal crollo delle vendite per il non interventismo del giornale. Frassati, unico proprietario dal 1902 e protagonista della scalata del quotidiano al secondo posto per diffusione nel Paese, negava che in due o al massimo tre mesi si potessero raggiungere Trento, Trieste, perfino Vienna. Non vedeva niente di agevole nei territori al confine con l’Austria, al contrario considerava la posizione dell’Italia “irta di difficoltà come mai nella sua storia”. Non ignorava, come preferivano fare altri, che la Marna aveva decretato il tramonto delle guerre brevi. Alla controffensiva francese, era subentrata la stasi sanguinosa dominata dal filo spinato e dalle mitragliatrici. Guerra lunga, logorante, che andava impegnando tutte le risorse e le forze dei Paesi.
Applicando quell’esempio al fronte italiano, si rendeva conto che la geografia del Carso anticipava chiaramente quanto sarebbe accaduto, ma che sfuggiva anche ai nostri Comandi. “Centomila austriaci basteranno a fermare l’esercito italiano e noi, senza colpa, saremo costretti a fare cattiva figura davanti all’Europa”.
Riteneva che l’Austria avrebbe potuto restare fin quando voleva su posizioni difensive, tanto più vantaggiose delle nostre. E se pure, con sacrifici enormi, i soldati italiani fossero riusciti a compiere il miracolo di superare le difese e minacciare Trieste, si sarebbero trovati anche l’esercito tedesco a sbarrare la strada verso un porto vitale per la Germania.
Infatti, dopo l’undicesima “spallata” di Cadorna e l’avanzata italiana nella Bainsizza, Hindenburg concesse a Vienna il corpo di spedizione tedesco che favorì con le sue tattiche inedite lo sfondamento a Caporetto. Tutto questo anticipato nei primi del 1915, non da un veggente ma un professionista illuminato, senza preconcetti ideologici.
La Grande Guerra dai nostri inviati: Giornali e giornalisti nel 1915-1918
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