La Guardia Nazionale Repubblicana nella memoria del generale Niccolo Nicchiarelli, 1943-1945
- Autore: Stefano Fabei
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mursia
- Anno di pubblicazione: 2020
Il paradosso di un antitedesco, costretto a essere fedele alla Germania nazista che sosteneva il suo Duce deposto, risalta in una ricerca di Stefano Fabei, pubblicata nel 2020 dalle edizioni milanesi Mursia, nella collana “Testimonianze tra cronaca e storia”, La Guardia Nazionale Repubblicana nella memoria del generale Niccolo Nicchiarelli, 1943-1945 (218 pagine).
Saggista storico e insegnante a Perugia, l’autore ha sottratto alla polvere degli scaffali la “Memoria sulla Guardia”, redatta nel dopoguerra dal tenente generale della Milizia.
Nell’autunno 1943, Nicchiarelli era stato incaricato di studiare la creazione di una gendarmeria per la sicurezza interna, al servizio della Repubblica Sociale costituita nell’Italia settentrionale, dopo l’armistizio del re con gli Alleati l’8 settembre. Realizzò la riunione in un corpo unico dell’ex MVSN, dei Reali Carabinieri e della Polizia e l’alto ufficiale umbro fu capo di stampo maggiore, vicecomandante, dapprima di Renato Ricci, poi direttamente di Mussolini.
Manoscritto nel carcere di Como, come memoria difensiva nel processo dopo l’arresto alla fine della guerra, venne rivisitato, approfondito e ampliato nel quindicennio successivo, per allargare gli obiettivi del documento. L’estensore fece tesoro anche della corrispondenza con chi come lui aveva mantenuto nella RSI un atteggiamento di moderazione e tiepida pacificazione nei confronti dei partigiani, in vista della ricostruzione postbellica di un’Italia non lacerata da divisioni sanguinarie.
Non mancarono scambi epistolari - riprodotti nella sezione documentale in appendice al libro - con qualcuno con cui non era andato d’accordo, come il generale Graziani, a capo dell’esercito repubblichino.
Cinque le bozze del lavoro, l’ultima nel 1960: è non solo una storia della GNR dalla prospettiva di chi l’ha creata e diretta, ma una testimonianza di quanto accadde su scala storico-politica più ampia, nella stagione della Repubblica mussoliniana. In sintesi, il “crepuscolo” dei fascisti che si adoperarono “a conservare le strutture di tutela di uno Stato che prevedevano sarebbe comunque sopravvissuto al fascismo”, nel quale ai Carabinieri sarebbe rimasto comunque affidato il controllo del territorio, considerata la duplice natura di forza armata e di polizia. Da qui anche l’impegno a salvaguardarli dai tedeschi e dai fascisti, che li sospettavano di fedeltà monarchica. Si adoperò anche a cambiare la divisa e nasconderli nel nuovo corpo.
Il saggio di Fabei è apprezzabile, inoltre, per un aspetto non legato all’attività della GNR, ma direttamente a Nicchiarelli. Offre un esempio della sorte favorevole, nelle ultime convulse giornate della RSI e postbelliche, di un fascista della prima ora e protagonista non secondario dei 600 giorno di Salò, per quanto schivo e meno esposto di altri.
Per i gerarchi non c’è stato un unico destino alla caduta dello staterello mussoliniano: fucilati a Dongo, giustiziati dopo processi “sul campo”, uccisi negli scontri con i partigiani, condannati ad anni di reclusione. Quella del secondo in comando della GNR si distingue: assolto dalle imputazioni perché il fatto non costituiva reato. Lo si apprende nel profilo biografico, che introduce la “Memoria”.
Nato nel 1898 a Castiglione del Lago, in provincia di Perugia (anche Fabei è originario del Trasimeno, di Passignano), Nicchiarelli partecipò volontario e poi ufficiale alla prima guerra mondiale, arruolandosi sedicenne già nel 1915, falsificando di due anni la data di nascita. Combattè, rimase ferito sul monte Seluggio nel 1916 e prese parte nel 1917 all’offensiva sulla Bainsizza. Qualche giorno dopo la rotta di Caporetto fu catturato col suo reparto sul Natisone il 27 ottobre e detenuto a Cellelager, prigioniero di guerra fino al dicembre 1918. Rimpatriato, partì ancora volontario in Libia. Fu squadrista, prese parte alla marcia su Roma e assunse un grado dal 1923 nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (MVSN).
Alternò compiti di comando, incarichi amministrativi di podestà e politici di segretario del fascio e federale, tra Umbria, Trieste, ancora Libia. In guerra operò a Sidi el Barrani, in Nordafrica. L’8 settembre lo vide comandante delle camicie nere in Jugoslavia, poi transitato nella Repubblica di Salò.
Sopravvisse ai regolamenti di conti del 25 aprile 1945, ma davanti alla Corte d’Assise straordinaria riportò la condanna, per collaborazionismo coi tedeschi, a 12 anni e mezzo e alla confisca dei beni (13 mesi complessivi in prigione). Fece ricorso e venne assolto in Cassazione con formula piena.
Non furono estranei all’assoluzione i contatti condotti copertamente con le formazioni partigiane socialiste di Corrado Bonfantini, dalla fine del 1944. Ebbe un ruolo, probabilmente, anche la sua adesione alle organizzazioni anticomuniste segrete della Nato, Stay Behind, Gladio. Fabei non ha trovato però documenti che attestino l’arruolamento come gladiatore.
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