La Spagnola. Vita e segreti di una famiglia umbra tra pandemia e fascismo
- Autore: Rosa Manganello
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2023
Da una pandemia all’altra, nell’arco di un secolo. Poco più di cento anni fa, febbre e tosse si portavano via soprattutto i giovani, al contrario del Covid che nel 2020, prima della campagna di vaccinazione, è stato fatale per gli anziani e i fragili. Al Casale dei Giornini, il dottore ha visitato il figliolo del fattore, riscontrando che si va riprendendo dopo una settimana difficile. La gioventù è la più indifesa, secondo il sanitario, tanti sono scampati alla guerra del ’15-’18 per chiudere gli occhi adesso e non per piombo o fuoco. Anche Rosa Manganello è medico, in quiescenza dalla professione, figlia con orgoglio di orgogliosi contadini viterbesi, scrittrice e autrice di romanzi. Il più recente è La Spagnola. Vite e segreti di una famiglia umbra tra pandemia e fascismo, edito da La Torre dei Venti, del Gruppo Editoriale Tabula Fati (marzo 2023, collana Zefiro, 160 pagine).
Non lunga ma intensa questa storia di gente semplice messa davanti alla Storia, in uno snodo convulso dei primi decenni del secolo scorso, tra la tragedia della guerra, la ventata del contagio, l’avvento e l’affermazione della dittatura mussoliniana.
Beninteso, la dottoressa Manganello ha scritto questa storia prima della pandemia piovutaci addosso dalla Cina. Fin dagli studi universitari, era rimasta colpita dai resoconti medici sulla Spagnola. Nel cominciare a scrivere anni fa un affresco popolare di vita e pensieri di provincia nel cuore dell’Italia, mai immaginava che lo sconvolgimento portato da quel virus nelle case, nella società e negli individui potesse ripetersi negli stessi anni del secolo successivo, grossomodo.
Una dura prova planetaria il Covid? Niente, al confronto della Spagnola. Secondo dati ufficiali, al 1 novembre 2021 il Coronavirus aveva ucciso 5 milioni di persone nel mondo e ne aveva contagiato quasi 247 milioni. Una ricerca dell’Università americana Johns Hopkins conta 5.001.817 decessi confermati, Stati Uniti in testa, 132.100 in Italia. Eppure, la più mortale delle pandemie della storia è stata l’influenza Spagnola che si è diffusa nel XX secolo, quando il mondo cominciava a contare su mezzi di trasporto sempre più efficaci. Mentre si combatteva la Prima Guerra mondiale, il virus circolò rapidamente nel pianeta. Il nome deriva dalle prime notizie della malattia sui giornali della Spagna neutrale, non soggetta alla censura di guerra. Identificato per la prima volta in Kansas nel 1918 e provocato da un ceppo virale H1N1, contagiò mezzo miliardo di persone, uccidendone almeno 50 milioni, secondo le stime, dal 3% al 6% della popolazione mondiale.
L’autrice tratteggia uno spaccato dell’atteggiamento nei confronti del morbo, ovviamente secondo una visione funzionale all’esercizio narrativo, non certo da trattato di psicologia. Sta di fatto che il dottor Filippo è impressionato dagli eventi, pur affrontati con mestiere e delicatezza, mentre Romualda è determinista: abbiamo superato altro, passerà anche questo.
Nel romanzo, il dottor Filippo Cesarini è un uomo maturo, non attraente, con una gamba offesa, ma d’intelletto e buon cuore. Non è andato in città come avrebbe potuto, ha scelto di restare a curare la gente misera a Cetona, in Valdichiana, tra Perugia e Siena, territorio oggi di una nitidezza assoluta ma ieri molto povero. Chi non deve tirare la cinghia sono i padroni, i Nesi, la contessa madre, una statua di pietra e quello scialacquatore di Ferdinando, sempre a caccia di selvaggina e di sottovesti ma anche di stoffa modesta.
Il dottore è intelligente e sensibile, merita il paradiso secondo Romualda, brava e riflessiva figlia e zia della famiglia contadina al Casale. Ha quarant’anni, è “vecchia” secondo tanti. È lei ad aver trovato Elena nel casotto degli spiriti, lontano da tutto. Una ragazza pallida, con un fagotto strillante. Tornava dal villino dei Nesi, dopo aver presentato invano il frutto della colpa. La contessa, “abituata al comando proprio e agli inchini altrui”, ha freddamente minacciato di diseredare Ferdinando se avesse riconosciuto il bambino e dato asilo all’amante. Cacciata, sulla via del ritorno Elena si è persa, poi è venuto giù il diluvio e per fortuna aveva trovato quella specie di ricovero.
È Romualda a dare nome al bimbo, Tomasso, tanto alla madre poco importa, è decisa a lasciarlo “agli esposti”, non ha che farsene. È Romualda ad accudire il piccolo e tenerlo sempre accanto, a scanso di sorprese. Comunque l’indifferente Elena va via, a Perugia, da una madrina sarta.
Merita un premio questa salda donna. Il dottore le chiede: “Lo vuoi uno sposo vecchio, zoppo, senza soldi?”. Nonno Vasco acconsente, commosso, “fosse qui la su’ pora mamma, sa che rota da pavone a véda la Romaldina sposa del dottore!”.
È brava, la dottoressa scrittrice, nel descrivere il tenero e l’impacciato nel rapporto tra due maturi, Filippo e Romualda. E quant’è efficace nel ricordare le vite falciate della guerra, dal tifo e dalla Spagnola: hanno voglia i preti a minacciare dal pulpito la fine del mondo, quando qua si muore senza respiro.
Vanno a vivere in casa del dottore, imbiancata a nuovo. Viaggio di nozze al Trasimeno, a due passi, e visita a Orvieto, abbagliati dal Duomo del Maitani. Tomasso cresce con loro, tanti occhi gli si posano addosso e a Romualda sembra che ripetano il cognome Nesi. Tutti zitti, però, la contessa vigila sul patrimonio, già sfoltito dall’erede legittimo. Filippo non teme che la nobile famiglia voglia il bambino, ma da sempre la superbia delle tragedie antiche, l’hybris, riesce a scatenare l’invidia dell’Olimpo.
Infatti... ma questo è il resto del romanzo.
La spagnola. Vita e segreti di una famiglia umbra tra pandemia e fascismo
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