La bellezza è una ferita
- Autore: Eka Kurniawan
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2017
Halimunda è un villaggio che non c’è, sull’isola di Giava. È solo in questo luogo immaginario che ci si può rallegrare della nascita di una figlia brutta dopo tre incantevoli, tutte condannate alla prostituzione. Perché in casa della bella Dewi Ayu, per metà indonesiana e metà olandese, “La bellezza è una ferita”, come eloquentemente annuncia il titolo del romanzo di Eka Kurniawan, pubblicato da Marsilio nel 2017 (pp. 490, euro 20,00, ebook euro 9,99).
Ma se accennare alla bellezza come un danno favorisce un incipit efficace della recensione, non è affatto vero per l’autore che le negatività ricadano solo addosso alle belle, nella vita. Possono capitare anche ai brutti, secondo i capricci della sorte.
È narrativa esotica, colorata di rosso sangue e che non esclude attività sessuali insolite. Con disinvoltura, si accenna nel romanzo a uomini che violentano pecore, vacche, galline e a cani che violentano donne. Il quarantatreenne Eka Kurniawan ama il grottesco e mescola realtà e finzione, tanto da scatenare simmetrie col realismo magico di Garcia Marquez. Paragoni che Kurniawan respinge al mittente, sostenendo di preferire lo stravagante al fantastico. Rompe volutamente gli schemi della letteratura indonesiana, nella quale il vero è sempre nettamente distinto dall’inventato. Contamina la realtà con la pura invenzione narrativa, spesso torrenziale, pur sviluppando la vicenda inverosimile di Ayu nel vivo della storia indonesiana del Novecento. È un lungo periodo a fare da sfondo, dalla presenza olandese prima dell’arrivo dei giapponesi, all’occupazione nipponica durante la seconda guerra mondiale e alla liberazione da parte degli alleati, fino all’avvento di Suharto e alle sue dimissioni.
Resta in sospeso il genere del romanzo. È storia? È solo immaginazione? È una favola in forma di saga matriarcale o una saga sotto forma di favola?
“Il pomeriggio di un fine settimana di marzo, Dewi Ayu risorse dopo ventun anni che era morta”.
“La bellezza è una ferita” si avvia col suo risveglio nella tomba, tra lo spavento e la curiosità morbosa dei compaesani, a due decenni dalla morte, avvenuta a cinquantun anni, dodici giorni dopo aver dato alla luce ancora una femmina, Bellezza.
Dewi era nata da una coppia formata da un fratello e una sorella, figli dello stesso padre ma di madri diverse. È stata cresciuta dai nonni e quando i due fratellastri-genitori tornano, hanno la faccia tosta di scandalizzarsi della dedizione di Ayu al meretricio. Fanno i moralisti loro, che hanno consumato un’unione incestuosa.
Dewi Ayu ha esercitato la prostituzione, l’ha fatto con gli invasori giapponesi. Ricorda tutti gli uomini, centosettantadue. Il più vecchio aveva novantanni, il più giovane dodici ed era circonciso da una settimana.
Quando ha partorito la quarta, ha pensato ancora una volta che non c’è condanna peggiore che partorire una bella bambina, in un mondo di uomini infoiati come cani. Le tre precedenti, Adinda, Alamanda e May erano meravigliose. Questa, finalmente, orrenda. La levatrice non capiva se aveva estratto una neonata o un cumulo di feci. Le vicine avevano provato spavento alla vista del volto infernale della piccola. Avevano suggerito di chiamarla Piaga o Ferita. Era lei che aveva scelto Bellezza.
Non volendo fare altre figlie – di questo passo, ai cento anni ne avrebbe avute otto – aveva deciso ch’era tempo di morire. Confezionato da sé un sudario, s’era fatta cospargere di un conservante e aveva atteso il momento di spirare, puntualmente arrivato, a comando.
Una volta rinata, visto che le altre tre erano andate via appena imparato ad aprire la patta di un uomo, Ayu si ritrova con quella figlia, che esce solo di notte, quando in giro non ci sono bambini a importunarla, sia pure a debita distanza dalla sua faccia spaventosa da ustionata.
Tutti vanno a chiedere alla rediviva come ci si si sente da morti. Risponde ch’è divertente, ecco perché nessuno di quelli andati di là ha voglia di tornare.
Ad Halimunda si pensava che i giapponesi, con i loro occhietti stretti non avrebbero mai trovato un posto così piccolo. Ma quelli ci vedevano bene, erano arrivati e avevano deportato le donne in un campo di prigionia, selezionando successivamente tutte quelle tra i diciassette e i ventotto anni. Portate in una casa lussuosa, nutrite, lavate, profumate, erano diventate le prostitute del bordello di Mama Kalong, riservato agli ufficiali del Sol Levante. Si era andati avanti tutte le notti a strepiti e violenze, poi erano cominciate le gravidanze.
È così che Dewi diventò prostituta ed ebbe quattro figlie di quattro padri diversi.
Se Mama Kalong era la regina della città, Dewi Ayu era la principessa.
Gli uomini passano, le donne restano, in “La bellezza è una ferita”, questo romanzo “grottesco” al femminile, dove la parità di genere è ribaltata: non c’è maschio che tenga davanti alla sapienza di Ayu, alla calma, alla capacità di intendere persone e cose, di conoscere il passato e il presente. Non c’è nessuno come Dewi Ayu, la puttana, la mamma di Bellezza l’orrenda, che ha pure lei però uno spasimante. Perché, come dice quest’uomo: si può fare sesso con le brutte esattamente come con le belle.
La bellezza è una ferita
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